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Parliamo di FATTI e non di chiacchiere, di cose da fare e non di situazioni trascorse. Una vera antimafia si fa correggendo le omissioni del “sistema”, le cose che questo non ha fatto e probabilmente non vuole fare per combattere le mafie ormai inserite nei partiti e nelle istituzioni. Alcune proposte dell’Associazione Caponnetto.

Nell’attuale “agenda” politica, purtroppo, la fondamentale questione del contrasto alle mafie è del tutto assente. Basta prendere in esame tutti i programmi di tutte le formazioni e da nessuno una parola. Ancora: negli otto-dieci punti di “emergenza” elaborato dai cervelloni dei partiti, mai un cenno alla questione. Del resto, i circa 60 giorni di sceneggiate & inciuci per l’elezione del Capo dello Stato e per partorire il nuovo governo, sono stati caratterizzati da un assordante silenzio sul tema “mafie”: come se, effettivamente, non esistessero più, si fossero sciolte come neve al sole, probabile parto di giornalisti pazzoidi o fanatici della legalità.
E mentre l’attenzione politica è pari a ZERO, il potere delle mafie, invece, cresce a dismisura, ormai un tumore che divora l’intera penisola, controlla capillarmente ampie fette del territorio nazionale, divora giorno dopo giorno interi comparti e settori economici: le mafie, ormai, sono alta finanza, istituzioni (ormai abbondantemente contaminate), Stato. Non si tratta più di contrasto a un potere antistatuale: la mafia si è fatta Stato, è dentro lo Stato.
Un dato su tutti (documentato, per fare un solo esempio, dalle analisi e denunce di Elio Veltri, animatore del movimento Democrazia Legalità e autore di alcuni testi sull’argomento): l’economia “illegale” sta sopravanzando quella “legale”, a livello di numeri e fatturati. In soldoni, l’economia illegale (capitali mafiosi e riciclati, economia da lavoro in nero, capitali evasi) ha un valore (sic) pari a circa il 40 per cento di quella legale. In questi termini, sembrano sempre più illuminanti le parole di un autentico studioso dell’economia illegale, Amato Lamberti (scomparso un anno fa), che parlava, già una quindicina d’anni fa, di mafia come la vera Fiat del Sud: figuriamoci adesso, con i passi da gigante compiuti dalle mafie negli ultimi anni (e ancor più da alcuni anni, con un’economia legale sempre più in ginocchio per la tremenda crisi economica).
In tutto ciò, gli strumenti di contrasto sono sempre più spuntati, pochi i mezzi, poche le forze impiegate, spesso sbagliati gli indirizzi: e sempre, sullo sfondo, una sempre più precisa non-volontà politica di intervenire. Del resto, si può mai chiedere ai capponi di anticipare il Natale? Si può mai pretendere da quella classe politica spesso e volentieri nata dal voto mafioso e cresciuta a botte di contiguità-collusioni-connivenze, di far leggi contro se stessa e i suoi sodali???
Tutto ciò detto e premesso, ecco alcune possibili linee di indirizzo, per una seria, reale, autentica azione di contrasto (e non i soliti bla bla di facciata o di comodo).
1) Partiamo proprio dalla più fresca “ciliegina”. Un esecutivo appena insediato che non ha speso – come visto – una sola parola per un’auspicabile (ma nei fatti inesistente) azione di contrasto alle mafie, cosa si propone di varare a stretto giro? Forse il giusto inasprimento di pene per chi connive e collude? Macché! Esattamente il contrario. Sì perché – incredibile ma vero – ora viene proposto un disegno di legge per dimezzare le pene per il famoso “concorso esterno in associazione mafiosa”: pene che diventerebbero ridicole, e tali da far in modo che in galera il “colluso” non ci finisca mai. E quindi, in sostanza, disco verde che mafie, mafiosi & collusi (spesso eccellenti). Va sottolineato che negli ultimi anni sono passate per la Cassazione (e firmate in particolare dal presidente della seconda sezione penale della suprema corte, Antonio Esposito, da alcuni mesi presidente onorario della Caponnetto) importantissime sentenze a carico dei “colletti bianchi” (politici, medici, ingegneri, avvocati e anche magistrati), tutti inquisiti e condannati per concorso esterno, che è stato un vero e proprio (giusto) “grimaldello” per cercare di scalfire quel muro che protegge e rafforza le mafie nella loro conquista non solo dei territori, ma soprattutto di larghe fette dell’economia, penetrando nella società, acquisendo consensi e potendo perfino contare su “sponde” nel mondo giudiziario. Una chiave – quindi – il concorso esterno, per colpire “al cuore” le mafie, con lo strategico contorno di quella zona grigia sempre più vasta, fatta di colletti bianchi che contano, pezzi da novanta del mondo politico, economico, professionale. Ora, un “colpo” del genere – il dimezzamento delle pene – è letale per l’azione di contrasto alle mafie. Ma c’è addirittura di più: al fine di provare il vincolo associativo (per cui va comunque previsto il dimezzamento della pena sempre più eventuale), occorre provare il “beneficio economico” che l’associato ha avuto: circostanza del tutto folle, come se le mafie pagassero con bonifici o assegni bancari i loro aficionados!!! Siamo ai confini della realtà: o meglio, alla prova provata che questa governo Letta appena insediato non ha la benché minima volontà di colpire le mafie: anzi, ha tutta l’intenzione di favorirle. Quindi, se il Movimento 5 Stelle vuol fare qualcosa di concreto, dovrebbe impegnarsi fin da SUBITO nel far in modo che questo abominio non vada in porto. Se mai, quelle pene andrebbero INASPRITE e facilitata la dimostrazione (non resa impossibile con “il beneficio economico”) del vincolo associativo! Passiamo poi agli altri nodi, in molti casi “storici”, dell’azione antimafia: affinché dai bla bla si passi a provvedimenti concreti.
2 – CONFISCHE – E’ il nodo centrale, di cui si parla inutilmente da anni senza trovare una soluzione (proprio per la specifica mancanza di volontà politica di cui sopra). E’ dai tempi della Rognoni-La Torre – quindi inizio anni ’80, oltre trent’anni fa – che si è posto il problema: senza cavar quasi un
ragno dal buco. Processi ultradecennali per passare dai sequestri alle confische, e quando alla fine – in una piccola parte dei casi – il fiasco finale, con una non gestione o malagestione dei beni. Quindi, oltre al danno, la beffa. Un vero peccato, perché è proprio aggredendo al cuore economico le mafie che può ottenere i maggiori risultati: aggredire il nemico sul suo terreno, che è quello dei soldi, economico-finanziario. Al tempo stesso, soprattutto in un tragico momento economico per il Paese come l’attuale, l’introito dalle confische (o meglio dalle vendite di beni confiscati) può rappresentare un grosso sollievo per le esangui (per i cittadini e non per mafiosi & sodali) casse pubbliche. Quindi, il punto è: dar corpo e soprattutto gambe ad una EFFETTIVA, REALE LEGGE in tema di CONFISCA dei BENI MAFIOSI: che riveda le burocrazie e farraginosità attuali, dia certezza dei TEMPI, dia certezza dei RISULTATI in termini economici, non sia una finzione (come capitato spesso con la pratica “restituzione” – anche via aste taroccate – dei beni a prestanome degli stessi mafiosi “confiscati”), ma un concreto strumento di lotta antimafia. In due parole: RIFARE una NORMATIVA semplice, agile, non burocratica, ma inattaccabile e soprattutto efficace: cioè capace di raggiungere gli obiettivi originariamente previsti ma regolarmente mai raggiunti, anzi calpestati.
3 – APPALTI & SUBAPPALTI – Anche in questo caso, è da anni e anni che si attende una vera, reale, efficace normativa sugli appalti, con una precisa chiave antimafia. Nel senso che continua da sempre a mancare trasparenza & legalità in tutto il mondo degli appalti pubblici, a partire proprio da quei settori che sono diventati, nel tempo, veri e proprio “feudi” per le mafie: movimento terra, calcestruzzo, edilizia e infrastrutture; ma non solo, perché le mafie si sono allargate nel tempo al mega business dei rifiuti e all’arcipelago delle commesse in campo sanitario (apparecchiature, forniture ospedaliere, lavanderie, mense etc) per fare solo due esempi eclatanti. Siamo alle solite: le imprese che gareggiano per gli appalti pubblici (da quelli medio piccoli e quelli giganteschi, ad esempio per lì’Alta velocità, un caso su tutti) presentano il solito certificato antimafia che ormai hanno anche (immacolato) le imprese di mafia e camorra con qualche santo in paradiso (o meglio in prefettura, habita purtroppo spesso “naturale”, come vedremo più avanti). Quindi, occorre RIVEDERE alla RADICE tutta la NORMATIVA sugli APPALTI, proprio in chiave antimafia, per porre i giusti argini e le maglie giuste per arginare il più possibile il fenomeno di infiltrazione. Non bastano le già obsolete SUA, ossia le Stazioni Uniche Appaltanti, diventate mere ripetizione di meccanismi poco trasparenze e per nulla garatisti (per le imprese ancora non contaminate). Allora, RIFORMA RADICALE, alla BASE, della NORMATIVA che regola gli APPALTI PUBBLICI. Perché
fino ad oggi hanno fatto la solita “finta”: finte leggi, pseudo normative, agevolmente dribblate dalle imprese di mafia. Un giochetto da ragazzi. Il perché? Il solito: ma quale motivo mai avrebbero dovuto avere i “politici” di riferimento delle mafie (e cioè organici, collusi o contigui, tutti dunque pieni attori da 416 o 416 bis) a varare una normativa che va contro i loro stessi interessi (e dei loro sodali)?
4 – TESTIMONI & COLLABORATORI di giustizia – Va prevista una tutela per testimoni e collaboratori di giustizia, che nel corso degli anni si è affievolita o – addirittura – non è mai esistita. Clamoroso – ai confini della realtà – il caso, o meglio, le storie dei tanti testimoni di giustizia oggi del tutto abbandonati al loro destino (che può anche essere di morte). Si tratta di persone che hanno “testimoniato” di vicende delle quali sono venute – spesso loro malgrado – a conoscenza, molte volte perché hanno assistito ad episodi di sangue. Hanno deciso di collaborare con la giustizia, di raccontare la verità dei fatti, di fare in pieno il loro dovere di cittadini, al contrario di tanti altri che preferiscono ancora voltare la faccia dall’altra parte, chiudere bocche, occhi e orecchi. Nonostante le prime tutele (a base di trasferimenti lontani dai loro luoghi di origine e di residenza/lavoro), poi il nulla: nessuna protezione, nessun futuro, e un presente che può suonare come una condanna, braccati da chi hanno denunciato (o, evidentemente, membri del clan). Stesso destino, molto spesso, per altri “testimoni” bollenti (comunque non etichettabili come testimoni di giustizia né come collaboratori di giustizia): ossia persone che hanno avuto la forza e il coraggio di raccontare agli inquirenti storie di mafia, di riciclaggi, di reinvestimenti illeciti: come – per fare un solo caso – è di recente capitato ad un dipendente di una ditta che per anni ha fatto man bassa di appalti stradali, una vera e propria regina del settore, azienda originaria dell’area vesuviana e allargatasi con appalti in tutta Italia. Il dipendente ha verbalizzato, davanti a svariate procure a numerosi pm, su quanto ha potuto conoscere – era il “contabile” dell’azienda – in quegli anni, ha ricostruito meccanismi, svelato protezioin & collusioni. Ebbene, oggi è SOLO, senza tutele, senza protezione, fuggiasco per mezza Italia.
Per questo, è necessario RI-CREARE una legislazione ad hoc, capace di tutelare in concreto – e non al solito a parole – chi decide di mettere in gioco la propria vita (e quella dei propri familiari) per servire lo Stato. Fatti, atti, norme, provvedimenti. Non le solite, liturgiche, ormai scontate “adesioni” di facciata.
5 – Ancora, in rapida carrellata. Per via delle penetrazione sempre più incisiva e pervasiva dei clan nelle regioni del centro-nord, è necessario predisporre un’adeguata azione di contrasto. Ad oggi quasi del tutto assente per il fatto che esistono ancora poche DDA (Direzioni distrettuali antimafia) sul territorio nazionale. Prendiamo il caso del Lazio, già ampiamente invaso – e da anni – dalla camorra (e da svariate mafie). Esiste solo la DDA di Roma, poi il deserto. Ad esempio, in una procura di frontiera come quella di Cassino (con un tribunale a stento “ripescato” dal taglio) non esiste una Dda, non v’è neanche uno, un solo pm antimafia. Il che la dice lunga – ancora una volta – sulla reale volontà politica di fronteggiare il fenomeno: in un procura dove corrono fiumi di denunce su reati chiaramente mafiosi, il silenzio, il nulla, lo zero assoluto. Ed è così che i pm locali nel migliore dei casi chiedono una co-delega alla Dda più vicina, nel peggiore chiudono gli occhi. Quindi, l’azione antimafia è ridotta alla raccolta del mare col secchiello. Lo stesso discorso vale un po’ per tutte le aree del Paese: possibile che non vi siano presidi antimafia nelle procure che si trovano in quei territori ormai invasi dalle mafie? Possibile chiudere sempre non uno, ma due occhi? Quindi, E’ NECESSARIO che a livello legislativo e normativo, venga prevista l’istituzione di DDA localizzate strategicamente su tutto il territorio nazionale: non quindi una dislocazione a vanvera, come capita, tanto per mettere una pezza a colori su un cancro ormai quasi inarrestabile. Ma precisi presidi antimafia, DDA nei principali capoluoghi di regione dove le mafie hanno ormai allungato – e da anni – i loro tentacoli.
6 – Un altro punto-base. Più trasparenza, meno opacità in organismi vitali sul fronte dell’ordine pubblico e, quindi, del contrasto antimafia, come le Prefetture. Si ricorda che lo stesso capo dello stato, quando ricopriva la carica di ministro degli Interni, inviò una circolare a tutte le prefetture, affinché nei comitati provinciali per l’ordine pubblico attivati presso le stesse prefetture, venisse inserito un rappresentante della Dda, quindi un magistrato antimafia. Quella circolare di Napolitano è rimasta lettera morta, mai applicata. E’ necessario, in un momento di particolare forze (soprattutto economica) delle mafie, realizzare quell’obiettivo e andare molto oltre. In particolare, è necessario vengano attivati a livello territoriale/comprensoriale organismi ad hoc (“osservatori”) capaci di monitorare in modo capillare la presenza di fatti anomali (leggi ingenti capitali sporchi in un momento di scarsissima liquidità). Organismi che vedano la presenza di comuni, enti locali, forze dell’ordine, inquirenti, associazioni di categoria e antimafia. La non-presenza, in tali organismi, di comuni ed enti locali sarebbe già sintomo di “non gradimento” (quindi di possibile “contaminazione”, quanto meno). Ancora. E’ sempre più frequente il caso di scioglimento di comuni per
infiltrazioni mafiose: fenomeno frequente soprattutto in Campania, ma ormai sempre meno inusuale in altre regioni. Bene continuare su questa strade, e procedere ad un monitoraggio sempre più efficace. Ma va segnalato con preoccupazione un altro – ancor più insidioso – fenomeno: quello che alle amministrazioni sciolte dopo il lavoro della commissione d’accesso e il provvedimento siglato dal ministro degli Interni, si insedi una Giunta commissariale (per il tempo necessario ad indire poi nuove elezioni), a volte se non peggiore, quanto meno “non migliore” della giunta estromessa. Per la serie: via i ladri, ne arrivano altri. Ciò è tanto più grave in quanto avviene sotto l’egida statale, per mano delle Prefetture. Che fare? E’ necessario prendere adeguati provvedimenti normativi. E cioè far sì che venga istituito – presso la Direzione Nazione Antimafia – un comitato ad hoc, che controlli e dia il suo ok su tutto quanto ha a che vedere non solo con lo scioglimento dei comuni e di altri enti locali (ad esempio le asl, ormai al sud preda delle cosche), ma soprattutto con l’insediamento dei nuovi organismi, anche se provvisori. E’ un’emergenza sempre più avvertita sui territori, e in modo particolare da quei funzionari ancora “fedeli” dello stato che – per il sol fatto di cercar di fare il loro dovere – vengono regolarmente marginalizzati e delegittimati. Un’emergenza che, però, al solito è assente nell’agenda politica di lorsignori.