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Nome in codice “Rutilius”

Nome in codice “Rutilius”

20 Novembre 2020

Le indagini sulla strage di via D’Amelio vengono affidate, sin da subito, al capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. Lo stesso era accaduto per quelle su Capaci.

La Barbera era arrivato a Palermo nell’agosto 1988, per volere espresso del Capo della Polizia di Stato Vincenzo Parisi che gli affida il compito, citando la stampa dell’epoca (Repubblica, 4 gennaio 1992), di «”rifondare” gli uffici investigativi di piazza della Vittoria, dilaniati dalle polemiche sulla presunta “talpa” e decapitati dopo il trasferimento del dirigente Antonino Nicchi e di alcuni funzionari definiti “la memoria storica” nella lotta alla mafia».

All’epoca La Barbera, che arriva da Venezia, è considerato uno degli uomini di punta della Polizia di Stato. Lo precede una fama da “duro”. In due scontri a fuoco ha ucciso due rapinatori; un terzo lo ucciderà a Palermo, nel gennaio 1992, reagendo ad una tentata rapina: «Sono stato più veloce, ho sparato prima di loro e li ho colpiti» dichiarerà alla stampa.

Qui interessano solo le modalità investigative nelle indagini sulle stragi (non sempre ortodosse) di La Barbera. Ben riassunte in Commissione dal ricordo che ne ha il dottor Gozzo:

GOZZO. Quello che è emerso immediatamente è il modus operandi… del gruppo di persone che faceva capo La Barbera, un modo un po’ predatorio – diciamo così – di intendere la giustizia… come disse una collega, “La Barbera non fa prigionieri” nel senso che quando è convinto che tu sia responsabile di qualcosa ti attribuisce una serie di piccole contestazioni fino a quando non arriva alla contestazione più grossa. Ed è effettivamente è quello che è successo in questo processo, nel senso che tutti questi sono stati incredibilmente inseriti in questa vicenda meramente molto più grande di loro.

La tecnica, ha spiegato di giudice Gozzo in Commissione, era quella di fare avvicinare in carcere i soggetti – le vittime, sarebbe meglio dire – da altri detenuti che avevano avuto precedentemente problemi giudiziari con La Barbera o con persone di sua fiducia.

GOZZO. Queste persone venivano detenute assieme e stimolavano i soggetti, se la vogliamo vedere in maniera positiva, a rivelare quello che sapevano veramente, se la vogliamo vedere negativamente, probabilmente anche a dire cose che non c’entravano. E questa è una tecnica che è stata utilizzata per tutti i soggetti coinvolti in questa vicenda, non solo Scarantino, che viene avvicinato nel carcere di Venezia da tale Pipino. Lo stesso Candura subì lo stesso trattamento, e si trattava sempre di ex detenuti sulla base di indagini compiute da La Barbera.

Le indagini sulla strage di via D’Amelio hanno sin da subito un avvio alquanto singolare. L’ufficio diretto da La Barbera dispone un sopralluogo – delegato alla Polizia Scientifica di Palermo – presso la carrozzeria di Giuseppe Orofino già alle 11 del lunedì 20 luglio 1992, perché quest’ultimo aveva denunciato, appena un paio d’ore prima, il furto delle targhe (ed altro) da una Fiat 126 di una sua cliente all’interno della sua autofficina. Perché quel sopralluogo, di fronte al semplice furto di una targa? Nessuno, la mattina del 20 luglio, sa ancora che l’auto imbottita d’esplosivo fosse proprio una 126. A quell’ora non sono stati ancora rinvenuti né la targa né il blocco motore: la conferma sul modello di auto arriverà solo il giorno dopo. Eppure a poche ore dall’esplosione si individua – senza alcuna plausibile giustificazione – nell’Orofino e nel suo garage una probabile pista investigativa. E dalla squadra mobile di Palermo si ipotizza (così come rilanciato da un’Ansa) che per l’autobomba sia stata utilizzata un’utilitaria di piccole dimensioni, probabilmente proprio una 126. Come faceva La Barbera a conoscere il modello di auto prima ancora che in via D’Amelio si recuperasse il blocco motore della 126? Perché mandare la polizia scientifica in un garage per un banale furto di targhe?

Solo il 13 agosto arriverà la nota del Centro Sisde di Palermo sugli autori del furto della 126 e si legittimerà la pista che porterà rapidamente a Candura e Valenti: dopodiché Scarantino avrà i giorni contati. Come faceva La Barbera a predire questi sviluppi a poche ore dalla strage? Qualcuno informò il capo della squadra mobile di Palermo e quegli elementi (l’atto, la targa, il furto…) erano, come dire, già noti per altre vie agli investigatori?

Fonte:https://mafie.blogautore.repubblica.it/