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Nel leggere notizie del genere,avvertiamo una sensazione di orrore.

14 marzo 2017 14:29

    Napoli. “Un vero e proprio scellerato connubio ed intreccio di interessi tra i militari indagati e Casillo”: quel patto scellerato è stato ripercorso in aula stamattina. In circa un’ora e mezzo, il pm della Dda Raffaele Falcone ha snocciolato fatti e circostanze, corruttele, coperture, indagini manipolate per arricchimento personale e per prestigio investigativo, poco importa. Per l’antimafia i dieci carabinieri in servizio presso il nucleo investigativo di Torre Annunziata, alcuni almeno fino al 2010, devono essere arrestati o quanto meno sospesi. Lo stesso vale per l’avvocato Giovanni De Caprio, trait d’union tra il suo ex assistito e i militari indagati in servizio nella città oplontina. Il pm ha ripercorso i motivi dell’appello, depositato a dicembre scorso, contro il mancato arresto di alcuni degli indagati da parte del Gip. Con grande convinzione ha ribadito la necessità di una censura al comportamento dei servitori dello stato ‘infedeli’ e parte di quell’esposizione ha riguardato anche Pasquale Sario, ex comandante del Nucleo Investigativo della Compagnia di Torre Annunziata, oggi tenente colonnello alla scuola ufficiali di Roma, per il quale – però – non è stato reiterata la richiesta di arresto. Una circostanza ‘nuova’ visto l’atteggiamento tenuto dalla Procura antimafia nei suoi confronti che non è stata sicuramente morbida nei suoi confronti anche nell’atto di Appello dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli. La ricostruzione storica degli anni bui della Compagnia dei carabinieri di Torre Annunziata, sono passati anche per l’esame di numerosi episodi – apparsi all’epoca come brillanti operazioni di polizia investigativa – ma che sottiintendevano, si è scoperto dopo, un patto tra camorra e Stato. Istigatore il boss vesuviano, Francesco Casillo ‘a vurzella, che in alcuni momenti sembra colui che è tenuto sotto lo scacco del ricatto da alcuni dei carabinieri coinvolti, come quel Sandro Acunzo – poi cacciato dall’arma – che con lui ha fatto affari: droga, perlopiù, ‘rubata’ durante i sequestri e poi reimmessa sul mercato. Ma come poteva accadere quello che è accaduto senza la complicità del diretto superiore dei carabinieri coinvolti? Non poteva accadere secondo l’antimafia anche se il Gip assolve Pasquale Sario, ‘giustificando’ la sua condotta con la voglia di ‘prestigio’ che l’allora maggiore avrebbe cercato per farsi spazio all’interno dell’Arma.

    Ma a confutare questa ‘mancanza di dolo’ ci sono gli incontri, con il boss, e i regali (orologi di marca, penne, l’anticipo per il pranzo di nozze a Sorrento) dettagli non sempre provati da riscontri ma che sono nelle dichiarazioni dei testimoni ascoltati durante le indagini.

    E poi l’atteggiamento ‘reticente’ censurato dalla Procura antimafia tenuto da Sario sia durante le operazioni sospette sia successivamente quando è stato sentito come testimone.

    L’udienza di stamattina è servita per ripercorrere un decennio di vita da caserma in cui, alcuni carabinieri infedeli, hanno oscurato il lavoro di decine di altri colleghi militari semplici o ufficiali che a Torre Annunziata hanno lavorato con abnegazione.

    A difesa degli indagati per i quali si chiede l’arresto o la sospensione dal servizio – per chi indossa ancora la divisa – hanno esposto le proprie ragioni gli avvocati difensori. Molti di loro hanno vissuto quegli anni esercitando la propria difesa nei confronti di pregiudicati alcuni dei quali ‘incastrati’ proprio dagli ‘infedeli’ per un tornaconto personale e non di giustizia. Una situazione imbarazzante, a dir poco.

    E proprio a proposito delle contraddizioni emerse con l’inchiesta arrivata oggi davanti al Riesame, l’avvocato Elio D’Aquino, difensore di Catello Di Maio, carabiniere all’epoca in servizio a Torre Annunziata, dopo aver esposto le ragioni giuridiche e di fatto in difesa del proprio assistito ha annunciato che rimetterà il suo mandato difensivo. D’Aquino si è dichiarato incompatibile: figura come testimone e come possibile parte lesa nel processo che si profila a carico dei carabinieri infedeli. Il penalista torrese fu costretto a dimettersi dalla sua carica di vicesindaco nel 2005 anche a causa della condotta ambigua di due carabinieri protagonisti dell’inchiesta per corruzione e traffico di droga: Francesco Vecchio e Gaetano Desiderio. I due carabinieri solitari arrestarono, nel 2005 in un ristorante di Napoli ‘Il caminetto’, un noto pregiudicato di Torre Annunziata, Vincenzo Pisacane. Quel giorno nel ristorante – per esigenze difensive in prossimità di imminenti processi – c’era anche l’avvocato D’Aquino e il suo collega di studio Massimo La Franco. Vecchio e Desiderio, omisero di riportare nel verbale di arresto, la presenza dei due avvocati che erano nel locale per espletare il loro mandato di difensori. Una circostanza che poche ore dopo diventò di pubblico dominio attraverso alcune agenzie di stampa, ingenerando il sospetto che i due legali fossero con il latitante per chissà quali oscuri motivi. D’Aquino, pur non essendo indagato o indiziato di reato, per motivi di opportunità politica rimise il suo mandato da vicesindaco. Una carica che era durata appena una settimana.

    Paventando un danno dei suoi confronti, l’avvocato ha annunciato che già da domani rimetterà il mandato di difesa di Di Maio, rivestendo – nel processo – il ruolo di testimone e possibile parte offesa.

    Nel corso dell’udienza di stamattina, i difensori degli indagati – tra questi gli avvocati Guido Sciacca, Bernardo Brancaccio, Mauro Porcelli – hanno esposto le proprie tesi difensive.

    I giudici del Riesame decideranno sulla richiesta di arresto (in carcere o ai domiciliari) o di sospensione dal servizio per Sandro Acunzo, Gaetano Desiderio, Francesco Vecchio, Franco De Lisio, Antonio Formicola, Antonio Santaniello, Catello Di Maio, Antonio Paragallo e Santo Scuderi, per l’avvocato Giovanni De Caprio e per il pregiudicato Luigi Izzo entro domani mattina.

     

    Rosaria Federico