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‘Ndrangheta, sequestro da 50 milioni di euro. Così con società cartiere all’estero si riciclavano i soldi sporchi

Il Fatto Quotidiano

Ndrangheta, sequestro da 50 milioni di euro. Così con società cartiere all’estero si riciclavano i soldi sporchi

Il sequestro ha interessato le province di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza, Lecce e Sassari

di Lucio Musolino | 29 OTTOBRE 2020

Beni per 50 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia e dalla Guardia di finanza nell’ambito dell’inchiesta “Energie pulite”. Su richiesta del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e del sostituto della Dda Stefano Musolino, il provvedimento è stato firmato dalla presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale Ornella Pastore che ha disposto i sigilli sui beni mobili e immobili e sulle società riconducibili agli imprenditori Antonino Scimone, Antonino Mordà e Pietro Canale, considerati appartenenti o vicini alle cosche reggine. Il sequestro ha interessato le province di Milano, Brescia, Mantova, Varese, Pavia, La Spezia, Vicenza, Lecce e Sassari.

Gli imprenditori erano stati tutti coinvolti nell’inchiesta “Martingala” che ha consentito alla Dda di accertare l’esistenza di un gruppo criminale che aveva sede a Bianco, nella Locride, con proiezioni operative non solo in provincia di Reggio ma anche nel nord Italia e all’estero. Un gruppo riconducibile alle cosche Barbaro detti i “Nigri” e ai Nirta “Scalzone” di San Luca. Tutto, però, ruotava attorno a Nino Scimone. Sarebbe stato lui, secondo l’impianto accusatorio, il “consulente delle cosche”, il principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali.
Rinviato a giudizio per concorso esterno con la ‘ndrangheta e per avere diretto un’associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di denaro sporco, Scimone aveva messo in piedi un meccanismo al servizio di imprese collegate alla ‘ndrangheta.

Quello che la Procura definisce “sistema Scimone” prevedeva un gruppo di società di comodo che avevano sede in Croazia, in Slovenia, in Austria e in Romania. In realtà, secondo gli inquirenti, si trattava di società “cartiere” che servivano per mettere in piedi operazioni commerciali inesistenti grazie a documenti fiscali e operazioni di pagamento fittizie.

Entro i due anni dalla costituzione di queste società, la sede legale veniva trasferta nel Regno Unito dove poi cessavano l’attività evitando in questo modo accertamenti, anche ex post, sulla loro contabilità. Lo stratagemma così garantiva agli indagati di schermare numerosi trasferimenti di denaro, da e verso l’estero. Trasferimenti che, per i pm, erano funzionali a riciclare e reimpiegare i soldi sporchi della ‘ndrangheta. Ma non solo. Il meccanismo delle false transazioni commerciali serviva a instaurare articolati flussi finanziari tra le aziende degli indagati. Flussi che poi sarebbero stati messi a disposizione di numerosi “clienti” delle società cartiera per frodare il fisco.

Nel decreto di sequestro, c’è scritto che l’indagato “ha instaurato con le cosche operanti nei vari mandamenti un rapporto su un piano di sostanziale parità, volto a conseguire reciproci vantaggi, consistenti, per lo Scimone nell’imporsi sullo scenario come consulente esperto ed ‘affidabile’ in grado di canalizzare gestire ed incrementare ingenti flussi di denaro reimpiegati nella creazione non solo di società scopo, ma anche nell’avvio di attività più tradizionali, ma altrettanto remunerative come la farmacia formalmente intestata alla moglie Maria Mollica, e per l’organizzazione mafiosa, nel riciclare i proventi di attività delittuosa, ottenendo ulteriori risorse, servizi o utilità anche grazie all’infiltrazione nel settore degli appalti pubblici”.

In altre parole, secondo il presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale Ornella Pastore, gli “interessi delle mafie e gli appetiti imprenditoriali convergono in un rapporto interattivo, fondato non più sulla coercizione, ma sul patto di reciproca convenienza”.

In riva allo Stretto, nella città di Reggio Calabria, ci sarebbe stata una folta schiera di imprenditori che ha fruito dei servizi offerti dall’associazione promossa e capeggiata dallo Scimone. Come Pietro Canale, indagato per le ipotesi di reato di intestazione fittizia di beni, per emissione ed utilizzo di fatture false e per reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie. Si tratta di un imprenditore che faceva parte del Consorzio “Gas Natural” al quale il Comune di Reggio Calabria aveva affidato la rete di distribuzione del metano. Il collaboratore di giustizia Enrico De Rosa, inoltre, lo indica come vicino alla ‘ndrangheta di Archi. “Canale gas era con i De Stefano – ha fatto mettere a verbale il pentito – Canale è una persona… è una ditta che è molto vicina… tra virgolette favorita nello svolgere le sue attività dai De Stefano, anche per amicizia del suo proprietario, del figlio del signor Canale… che è intimo amico se non fraterno di Dimitri De Stefano”.

Nell’inchiesta “Energie pulite” è coinvolto anche l’imprenditore Nino Mordà, oggi detenuto e rinviato a giudizio per associazione a delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, bancarotta, usura e reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche e finanziarie, fattispecie in diversi casi aggravate dall’aver agevolato gli interessi della ‘ndrangheta. Dopo le indagini patrimoniali, condotte dal Gico e dallo Scico della guardia di finanza e dalla Dia, la Procura nazionale antimafia e la Dda di Reggio Calabria hanno chiesto e ottenuto dal Tribunale l’applicazione della misura di prevenzione sia personale sia quella patrimoniale del sequestro dell’intero patrimonio riconducibile a Scimone, Canale e Mordà. Complessivamente sono state sequestrate 18 imprese con sede in Italia e all’estero, ma anche 18 immobili, 7 automezzi, un’imbarcazione da diporto, 10 orologi di lusso come Rolex, Paul Picot, Baume & Mercier.

Tra le società sequestrate ci sono pure la “Canale Srl”, operante nel settore della metanizzazione, che aveva sedi in numerose città italiane, e la Pivem Srl operante nel comparto della grande distribuzione, attraverso la gestione di un supermercato nel rione Pellaro di Reggio Calabria. “È una importante operazione di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati”. È il commento del procuratore Giovanni Bombardieri secondo cui l’inchiesta di oggi “testimonia il grande impegno di questa Direzione distrettuale antimafia, in pieno coordinamento e sintonia con la Direzione nazionale antimafia e con il suo procuratore Federico Cafiero De Raho, nel contrasto patrimoniale alla ‘ndrangheta ed agli imprenditori contigui alla stessa”.