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‘ndrangheta, i boss intercettati. Le voci dalla stanza dei bottoni

Operazione dei Ros contro il clan Pelle: in manette due imprenditori che fungevano da prestanome, sequestrati 5 milioni. Nelle intercettazioni il capo di una delle cosche più potenti della Calabria, spiega come muoversi per riciclare i patrimoni sporchi e anche come aggirare i controlli. E dà consigli ai più giovani: “Così si comporta un uomo responsabile…”

REGGIO CALABRIA – “Abbiamo investito un bordello di soldi …, qui stiamo investendo soldi della Madonna!”. Il denaro non erano un problema per il potente clan Pelle di San Luca. I boss sapevano come muoversi per riciclare i patrimoni sporchi e anche come aggirare i controlli attraverso l’uso di prestanome. Oggi i carabinieri del Ros e gli uomini del Comando provinciale di Reggio Calabria, hanno sequestrato beni per 5 milioni di euro di una delle cosche più potenti e temute della Calabria. Società che gestivano attività nel campo edilizio e servizi commerciali, bar e pompe di servizio. Un parte di un impero che è ritenuto ben più consistente e al quale si cerca ancora di risalire.

ASCOLTA: LE INTERCETTAZIONI

L’inchiesta costata la libertà a due imprenditori “di comodo”, aveva già portato all’arresto, lo scorso 22 di aprile, di 9 personaggi ritenuti ai vertici di diverse “famiglie” reggine. Tra questi appunto i vertici mafiosi dei Pelle che anche il giorno del proprio arresto avevano sfidato apertamente gli uomini dell’arma che gli avevano messo le manette ai polsi. Minacce e promesse di vendetta contro lo Stato e i suoi uomini, con uno dei Pelle che aveva annunciato ritorsioni: “Io non sono come mio padre che era un uomo di pace, vedrete cosa succede”.

I carabinieri avevano scoperto che alcuni capifamiglia s’incontravano nella casa di Giuseppe Pelle (detto “gambazza”), boss indiscusso del clan, dopo la morte del padre Antonio. In quella casa di Bovalino, nel cuore della Locride, padrini e picciotti s’incontravano spesso, certi che si trattasse di un luogo sicuro. Non sapevano che il Ros aveva piazzato una microspia che per settimane ha ascoltato i loro discorsi. Incontri di ‘ndrangheta, nei quali si discuteva di cariche e di affari, di riunioni e di business. Senza dimenticare le alleanze da costruire e persino i consigli su come si costruiscono i bunker ( ascolta) per sfuggire ai controlli degli “sbirri”. Così erano finiti in galera esponenti del Pelle, dei Morabito, dei Ficara e dei Latella.

Un’inchiesta importante non solo per lo spessore criminale delle persone coinvolte, quanto per i risvolti che ha avuto sul piano investigativo. In questo senso gli inquirenti hanno scoperto che la ‘ndrangheta non è semplicemente una confederazione di “famiglie” autonome e indipendenti sul proprio territorio. Ma che esiste, quantomeno nel Reggino una sorta di stanza dei bottoni (ascolta). La cupola calabrese si chiama “Provincia” e si riunirebbe in maniera più o meno regolare, o su convocazione di alcuni dei membri più autorevoli (tra questi i Pelle e i Morabito) in momenti straordinari.

Un ‘organismo superiore insomma nel quale un ristretto numero di persone decide le strategie generali e le politiche criminali da attuare in giro per il mondo. La ‘ndrangheta è insomma una, ed una sola (ascolta). “Emergono  –  scrivono gli investigatori  –  indicazioni sul carattere unitario dell’organizzazione mafiosa denominata ‘ndrangheta, sulle sue rilevanti disponibilità economiche e patrimoniali, sugli stretti rapporti esistenti tra gli esponenti più importanti e sull’esistenza di un organo sovraordinato alla struttura territoriale dei così detti ‘locali'”.

(Tratto da Repubblica)