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Napoli, la borghesia al servizio dei re della camorra.CAMORRA SEMPRE PIU’ IN GIACCA E CRAVATTA .SALE DI LIVELLO.

L’Espresso, 26 luglio 2018

Napoli, la borghesia al servizio dei re della camorra

Notabili, costruttori e imprenditori, commercialisti e medici, servitori dello Stato infedeli e avvocati avvezzi al doppio gioco. All’ombra del conflitto fra le paranze cresce il Sistema. E prolifera tra i professionisti

DI GIOVANNI TIZIAN

Le paranze dei bambini hanno deposto le armi. La guerra tra le gang di adolescenti, che aspirano a un ruolo nel gotha della camorra, è cessata. Ma non per volere loro. Hanno desistito dopo l’intervento dei pezzi da novanta del “Sistema”: un network di clan con decenni di storia criminale alle spalle e di boss eredi di dinastie camorristiche degne del film Il Padrino.

È l’aristocrazia della camorra, che esercita un controllo asfissiante su Napoli grazie anche a complici insospettabili. Nelle rubriche dei contatti in mano ai boss troviamo notabili e professionisti, costruttori e imprenditori, commercialisti e medici, servitori dello Stato infedeli e avvocati avvezzi al doppio gioco. Sono clan di una camorra borghese che sta al vertice del Sistema. Con capi nelle cui vene scorre il sangue blu di re e prìncipi del crimine organizzato. Il disordine delle paranze dei bambini per loro è stato un beneficio. Sono loro i veri vincitori di un conflitto che non li ha neppure sfiorati. Perché mentre tra i vicoli del centro di Napoli i ragazzini sparavano e morivano, i re di Napoli si sono inabissati. A debita distanza dall’attenzione dei media, delle istituzioni e della politica, tutti concentrati sull’acuirsi del gangsterismo urbano. Nel caos, i clan dell’aristocrazia criminale di Napoli e dell’hinterland hanno consolidato il loro potere, forti di contiguità insospettabili, che hanno garantito la blindatura del tesoro dei camorristi.

Nello scacchiere del crimine organizzato napoletano troviamo famiglie che gestiscono veri e propri imperi. Un Sistema moderno, flessibile, fatto da reti di imprese. Con società di capitali utilizzate per riciclare i soldi della droga e per trafficare carburante sull’asse Malta-Est Europa. Senza dimenticare le ramificazioni finanziarie fuori confine, che arrivano fino a Dubai.

Notabilato violento”

C’è un gruppo che incarna alla perfezione il concetto di camorra borghese. È l’Alleanza di Secondigliano, dal nome dell’omonimo quartiere in cui comandano i Licciardi, fondatori del cartello insieme ai Contini del centro città e ai Mallardo di Giugliano. Il regno dei Licciardi è Masseria Cardone a Secondigliano. Questa triade di camorra gode anche dell’appoggio esterno di un altro potentissimo brand criminale, quello della famiglia Di Lauro di Scampia, padroni del famigerato quartiere del film e della fiction Gomorra. I Di Lauro sono una delle dinastie che da un trentennio dettano legge a Napoli. Camorristi da tre generazioni. Che oggi vantano il latitante più giovane e tra i più ricercati d’Italia, Marco Di Lauro. Introvabile come Matteo Messina Denaro.

La Di Lauro’s family pur mantenendo una sua autonomia è ritenuta vicina all’Alleanza, con la quale si spartisce il territorio. «Le famiglie di questo cartello criminale non provengono da situazioni di emarginazione sociale», spiega all’Espresso Luciano Brancaccio, ricercatore di sociologia dell’ambiente e del territorio alla Federico II di Napoli. «Sono presenze storiche nei mercati legali. I Licciardi, per esempio, nascono come affermati imprenditori dell’abbigliamento». Una genesi opposta alla convinzione diffusa di una camorra figlia della povertà sociale ed economica. Esiste anche questa, certo. Ma è composta dalla manovalanza, da tenere ai margini.

Chi comanda, invece, vanta pedigree imprenditoriali di un certo peso. Anche Edoardo Contini, “’o Romano”, proviene dalla rete dei magliari, ossia i commercianti di tessuti e abbigliamento. Così come i Di Lauro. «I Mallardo, invece, in origine erano commercianti nel settore alimentare. I Nuvoletta di Marano – affiliati peraltro anche a Cosa nostra siciliana – nascono come proprietari terrieri. I Polverino, prima di diventare costruttori e narcotrafficanti, erano impresari dell’agroalimentare. Insomma famiglie con un curriculum elitario. Una caratteristica che ha permesso loro di mescolarsi alla borghesia». L’élite della camorra simile a un potere feudale. Famiglie regnanti che governano il territorio.

A questa conclusione è giunta Gabriella Gribaudi, storica della Federico II, secondo cui la «signoria territoriale» è la metafora più suggestiva della camorra napoletana:«Una sorta di sistema feudale con famiglie regnanti in lotta per il controllo dello spazio e vassalli, valvassori, valvassini che si contendono il favore delle case regnanti». Osserva Brancaccio: «In provincia e nella cintura urbana di Napoli esiste, poi, un modello che nelle nostre ricerche abbiamo definito “notabilato violento”, una vera e propria borghesia camorrista».

Tornando, però, all’intreccio tra camorra e professionisti c’è un elemento che colpisce. «La questione è totalmente ignorata», spiega Stefano D’Alfonso, docente di diritto amministrativo alla Federico II e già consulente per la commissione antimafia. Una sua ricerca, scritta insieme all’ex magistrato Aldo De Chiara e al rettore dell’Università Giacomo Manfredi, affronta il tema “Mafie e libere professioni”. «Il fenomeno non è percepito nonostante siano provati i rapporti con notai, avvocati, medici, costruttori, ingegneri. Di questa promiscuità non si parla.

Eppure il professionista assume il ruolo strategico di cerniera tra due mondi». Chi ha indagato su questa contaminazione tra camorra e borghesia a partire dagli anni ’80 è l’ex magistrato Aldo De Chiara. Da pretore ha messo sotto accusa il periodo in cui la camorra aveva messo le mani sui grandi appalti della città, delle periferie, della provincia. «Nel fenomeno dell’abusivismo non c’era solo la camorra. I clan erano appoggiati da esperti professionisti che suggerivano ai boss come aggirare le regole sull’edilizia. Specialmente dopo il terremoto, c’era un bisogno estremo di case, e qui che nasce una collaborazione strutturata tra potere criminale e pezzi della borghesia».

Una mistura molto attuale. Lo rivelano recenti inchieste della procura antimafia di Napoli, guidata da Giovanni Melillo, che negli anni ’90 da pm ha processato il gotha della camorra e l’ex ministro democristiano Antonio Gava. Cosa è cambiato da allora? Sicuramente i meccanismi, ma il Sistema gode sempre di ottime entrature nella pubblica amministrazione e nella politica. Perché la camorra è un cliente affidabile. In alcuni rapporti della Direzione investigativa antimafia si citano episodi in cui non è il Sistema a cercare i professionisti, ma questi ultimi a bussare a casa dei boss. C’è un anziano avvocato d’affari, per esempio, che propone un business da 20 milioni a un luogotenente dell’Alleanza di Secondigliano. Discutono di scarti petroliferi e grandi appalti. Un pianeta sommerso attraversato anche da consulenti finanziari, che offrono la loro merce migliore: società estere, holding maltesi e londinesi, scatole vuote da utilizzare per far perdere le tracce del denaro sporco. Le prove dello stretto rapporto dei padrini con la borghesia cittadina sono cristallizzate in tre indagini non ancora concluse, firmate da diversi pm coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli.

Le intercettazioni confermano l’indissolubile intreccio tra i due mondi. Il 17 maggio scorso sono finiti in manette due stimati medici napoletani. I fratelli Luigi e Antonio D’Ari. Il primo è anestesista, il secondo chirurgo plastico. Camici bianchi di cliniche private note in città. Ma anche riciclatori di denaro per conto del clan Lo Russo, secondo l’accusa della procura. I Lo Russo sono stati “soci” dell’Alleanza di Secondigliano, oggi, però, sono lacerati dal pentitismo interno. I Lo Russo, amici di alcuni ex calciatori del Napoli, contano su appoggi dei notabili locali. Come i fratelli D’Ari, appunto. I medici-imprenditori indagati per riciclaggio dei quattrini della camorra.

Pax e affari

«Belli guaglioni, vedete di apparare, altrimenti il problema adesso lo avete anche con noi». L’ultimatum è dell’emissario del clan Contini. Ed è rivolto ai baby boss delle paranze dei bambini che avevano messo a soqquadro l’armonia criminale della città. I re, irritati da soldatini insolenti e senza una strategia di lungo termine, hanno recapitato un messaggio chiaro: cessate il fuoco, altrimenti noi, i Contini e quindi l’Alleanza di Secondigliano, saremo il vostro più grande problema.

Grazie a questo intervento «hanno fatto pace», si legge negli atti dell’indagine su tre imprenditori di successo, i fratelli Esposito, legati ai Contini. Il padre dei tre, intercettato, sintetizza così il potere del clan: «Solo questi qua contano, tengono i soldi assai». Il capostipite si chiama Edoardo Contini, detto “’o Romano”. Qualche anno fa un’inchiesta ha ricostruito l’impero economico della famiglia dell’Alleanza di Secondigliano. La magistratura ordinò il sequestro di decine di ristoranti e locali alla moda.

Tra questi la nota catena “Pizza Ciro”, molto in voga nel centro di Roma, frequentata da politici, ministri e personaggi in vista della Capitale. Ma torniamo per un attimo ai fratelli Esposito, amici di molti calciatori del Napoli, da Gonzalo Higuain a Paolo Cannavaro al portiere, oggi al Milan, Pepe Reina. Per la procura sono potenti imprenditori al servizio della camorra. Uno di loro nelle intercettazioni è definito il più importante «discotecaro» della città. E in effetti tra le società finite sotto sequestro c’è anche la discoteca Club Partenopeo, locale della movida chic di Napoli tra le ville di Posillipo. Il Club era meta fissa delle stelle del calcio e dei giovani della borghesia napoletana. Non solo un investimento, dunque, ma un salotto dove dialogare con l’upper class cittadina, orgogliosa di sfilare in quel tempio della camorra. A detta del titolare – intercettato – la discoteca fruttava 140 mila euro a serata.

Tuttavia il business che ha reso famosi i fratelli Esposito è un altro: i giocattoli. Con un loro marchio hanno conquistato fette importanti di mercato. Forniscono negozi in Italia e all’estero. Ma è un sito di merchandising del Napoli calcio a rivelare un dettaglio interessante: «La linea Paggio giocattoli (uno dei brand di proprietà degli Esposito, ndr) è sponsor ufficiale della società sportiva calcio Napoli». Imprenditori ben voluti da tutti, quindi. Accolti nel salotto buono della città, più preoccupata dallo scorrazzare disordinato delle baby gang che dai camorristi in doppio petto.

Figure a metà tra leggenda e realtà. Come l’Ambasciatore. Nel milieu camorristico lo chiamano così. È un distinto e sconosciuto signore che si occupa di mediare tra i clan interessati al grande scalo marittimo della città. Di lui si sa pochissimo. Di certo è emerso in alcune informative degli investigatori e si sa che di mestiere mette d’accordo i boss delle famiglie più in vista del Sistema che usano lo scalo per gestire grandi traffici: dalla droga alla contraffazione. L’Ambasciatore fa convergere gli interessi di tutti, nel nome del benessere collettivo. Anche perché da qualche anno c’è un affare molto ghiotto in ballo. Il carburante illegale che arriva dall’estero, di scarsissima qualità ma molto economico. E che viene commercializzato alla luce del sole, spesso nelle pompe bianche di proprietà degli imprenditori collusi con il Sistema. È più di un semplice sospetto. Ci sono indizi di un vero e proprio cartello di camorra creato da più famiglie dell’élite criminale di Napoli e provincia, tra cui uomini dell’Alleanza di Secondigliano. Il business ha il suo snodo centrale a Napoli. Ma l’origine è all’estero e passa dal Centro e Nord Italia, dove c’è stato già qualche arresto.

La convinzione è che esista una strategia più ampia, con una regia criminale di altissimo profilo. Alcune delle società coinvolte utilizzate per la triangolazione della merce hanno sede a Malta, altre nell’Est Europa. L’isola del Mediterraneo è il ponte per l’Europa del petrolio libico di contrabbando. La giornalista maltese assassinata, Daphne Caruana Galizia, ne aveva intuito la portata. Le società create a Est invece servono per importare l’oro nero da Iraq e Siria. Una volta che la merce raggiunge l’Italia, una buona parte finisce in depositi del napoletano, la cui proprietà è riconducibile a uomini del cartello camorristico. Il traffico riguarda tutta Italia. Sulle tracce dell’oro nero illegale c’è la Guardia di finanza che indaga senza sosta. Anche perché l’evasione delle accise ammonta a centinaia di milioni di euro. Il giro d’affari per i clan che tengono i fili di questo business è da capogiro. E comporta meno rischi del traffico di droga.

Insomma, l’ultima frontiera della camorra. Con un ruolo rilevante ricoperto dai professionisti. Di nuovo loro, gli insospettabili uomini cerniera. Ingranaggi vitali del Sistema governato dai re di Napoli.