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Napoli, corvi e soffiate: quattro carabinieri finiscono sotto indagine al Vomero

Il Mattino, Lunedì 13 Luglio 2020

Napoli, corvi e soffiate: quattro carabinieri finiscono sotto indagine al Vomero

di Leandro Del Gaudio

Esposti anonimi contro uno o più ufficiali dei carabinieri. Poi: accessi abusivi al sistema informatico, finanche presunte «soffiate» che avrebbero favorito alcuni esponenti della camorra collinare, tra cui i clan Cimmino, Caiazzo, Polverino. Ma, soprattutto, un clima pesante che si è abbattuto alcuni mesi fa sulla compagnia dei carabinieri Vomero-Arenella, uno degli avamposti più importanti del contrasto al crimine nella zona collinare di Napoli. Un clima che ha imposto ai vertici dell’arma di disporre il trasferimento immediato di alcuni uomini, oltre a compiere verifiche su alcune attività investigative condotte dalla compagnia Vomero, in relazione alla cattura di alcuni latitanti, all’appalto del servizio mensa, ma anche alla registrazione di armi e soldi sequestrati anni fa in più operazioni.

Ma andiamo con ordine, a partire da quanto emerso nel corso di un’inchiesta condotta dalla Dda di Napoli nei confronti di quattro carabinieri che hanno svolto – almeno fino a qualche mese fa – il proprio ruolo di ufficiali di polizia giudiziaria all’Arenella e in altri uffici dell’Arma a Napoli. Una vicenda che conviene raccontare a partire da un paio di premesse: siamo in una fase iniziale delle verifiche, dunque è sbagliato anticipare sentenze di condanna; le indagini sono state delegate dalla Procura agli stessi carabinieri del comando provinciale di Napoli, in un clima di piena fiducia e trasparenza tra istituzioni.  Dunque, ad aprile il blitz a sorpresa, con il sequestro di cellulari e computer dei quattro carabinieri, che poi si sono rivolti al Riesame e che, proprio in questi giorni, si sono recati al cospetto dell’autorità giudiziaria per la copia forense del contenuto dei propri archivi. Tutto ruoto attorno alla figura del luogotenente G.A., costretto oggi a difendersi dall’accusa di «violazione di atti coperti da segreto d’ufficio e di accesso abusivo nel sistema informatico di sicurezza, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di aver agevolato l’associazione mafiosa definita clan Cimmino-Caiazzo-Brandi».

DOSSIERAGGIO
Ma il quadro che emerge è decisamente più complesso, anche alla luce di un’informativa di polizia giudiziaria firmata dal colonnello dei carabinieri Adolfo Angelosanto, che è stata depositata di recente dinanzi al Riesame. Contro G.A., c’è anche il sospetto di un suo ruolo nella redazione di alcuni esposti anonimi finalizzati a colpire ex ufficiali in servizio al Vomero-Arenella (che non risultano indagati, ndr). Una sorta di dossieraggio clandestino tutto da chiarire. Fatto sta che per uso abusivo di sigilli e strumenti veri e per violazione di pubblica custodia, sotto accusa finiscono il carabiniere D.M., in concorso con il luogotente G.A.

Ma a che titolo? «Al fine di redigere un esposto anonimo nel quale venivano rappresentati fatti asseritamente accaduti, a proposito della presunta scomparsa di una somma di denaro di sequestrata nell’anno 2007, ammontante ad euro 245, ripianata a seguito di una colletta fatta da alcuni graduati e militari di quello stesso ufficio», con tanto di sigillo dell’arma usato per certificarne poi la provenienza. Poi ci sono accuse di violazione di atti coperti e di corruzione nei confronti dell’ufficiale E.D.N., che dovrà difendersi per «aver rivelato notizie coperte da segreto istruttorio al luogotente G.A., a proposito di alcuni esposti anonimi che sarebbero stati inviati da G.A. al comando legione dei carabinieri su presunti comportamenti irregolari tenuti da alcuni militari in servizio presso la compagnia Vomero».

Una soffiata che avrebbe avuto una contropartita, a leggere le indagini in corso, dal momento che l’ufficiale avrebbe accettato da G.A. la «promessa di una “pedaliera” per la sua auto (valore 500 euro)». Stessa accusa mossa nei confronti del brigadiere L.B., che avrebbe informato il luogotenente dello stato delle indagini (anche sotto il profilo disciplinare) dopo gli esposti spediti in questi mesi. Difeso dai penalisti Antonio Abet e Marco Muscariello, il luogotenente ha chiesto di sostenere un interrogatorio, oltre a depositare una memoria difensiva. Respinge le accuse di accesso abusivo, prende le distanze dall’ipotesi di aver avuto contatti con il boss emergente del Vomero (ricordando per altro i successi professionali conseguiti nella lotta al crimine organizzato); negando un ruolo nella composizione di anonimi che, dal suo punto di vista, sarebbero una ritorsione per lo zelo professionale mostrato in questi anni. Difesi dagli avvocati Barbara D’Accadia e Giorgio Carta, Leopoldo Perone, Maria Zollo, anche gli altri militari hanno finora risposto alle domande degli investigatori, fornendo ogni contributo utile a dimostrare la propria estraneità rispetto alle accuse finora ipotizzate. Ora la parola ai consulenti, per lo spulcio delle memorie informatiche finora acquisite.