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Mafie, corruzione, evasione: gli allarmi della DIA disattesi dalla politica

Mafie, corruzione, evasione: gli allarmi della DIA disattesi dalla politica

23 Ottobre 2019

di Piero Innocenti

A volte bisognerebbe chiedersi cosa sarebbe successo in questo Paese se fossero state accolte tutte – o solo alcune – le osservazioni, analisi, suggerimenti e proposte fatte negli anni passati dagli analisti della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) per poter tracciare efficaci strategie politiche contro tutte le mafie che hanno continuato ad espandersi e a consolidarsi da noi ma anche in altri Paesi e altri continenti.

La domanda viene spontanea se si leggono le corpose relazioni semestrali della DIA presentate dai vari Ministri dell’Interno al Parlamento negli ultimi venticinque anni. E la stessa domanda si può fare se guardiamo alla situazione riguardante il consumo e lo spaccio di stupefacenti aumentati in modo straordinario e quasi incontrollabile – nonostante la repressione delle forze di polizia – come si può rilevare dalle relazioni annuali della DCSA (Direzione Centrale per i Servizi Antidroga) e del DPA (Dipartimento delle Politiche Antidroga).

Allarmi e indicazioni operative, in generale, rimasti solo sulla carta senza produrre quelle forti “controspinte” ad un’azione criminale divenuta sempre più arrogante e senza confini. Forse questa disattenzione è intenzionale anche perché – come ho più volte scritto – una buona parte di quelle ricchezze criminali va ad incrementare quella nazionale (il Pil) e, quindi, fa comodo alla classe politica dirigente sottolineare quel punto percentuale in più statisticamente ricavato dai proventi (stimati) derivanti dal narcotraffico, dalla prostituzione e dal contrabbando di sigarette.

Quanto alla cosiddetta lotta alla evasione e alla corruzione di cui in questi giorni si sente un gran parlare ai vari livelli politico istituzionali con ampollose dichiarazioni, anche per colpire i mafiosi (sul punto anche il recente intervento del Procuratore della Repubblica di Milano), il ritardo in queste (lodevoli) intenzioni è, a mio avviso, incolmabile.

Peraltro, come viene segnalato dalla DIA nelle varie relazioni “se anni addietro poteva risultare paradossalmente conveniente per il mafioso essere etichettato come “evasore fiscale” – in quanto, pagate le tasse, poteva reinvestire le risorse sanate – ad oggi i sempre più sofisticati meccanismi finanziari e i cavilli burocratici proposti da figure professionali colluse, rendono meno vantaggioso, per il mafioso, “ambire” ad essere tacciato di evasione”.

E’ preferibile, insomma, rientrare nella categoria degli “elusori fiscali” ed è questo segnale di uno spostamento dei mafiosi che è stato segnalato dalla DIA e che consentono, anche attraverso le modalità di false fatturazioni “di radicarsi anche fuori dalle Regioni di origine e all’estero (..) legando i propri interessi con quelli della realtà economica locale”.

Insomma, è sempre la DIA a mettere in guardia, “le mafie, oltre che a capitalizzare i proventi illeciti in attività imprenditoriali, puntano anche a realizzare gli indebiti risparmi d’imposta”.

In qualunque categoria siano inquadrabili, i mafiosi si distinguono sempre per quelle “rilevanti capacità corruttive” in tutte le regioni italiane – come annotava la DIA sin dal 2010 – che hanno fatto emergere anche “condotte delittuose di concorso esterno” alle associazioni mafiose, ambito criminale ancora poco esplorato.

Una (maggiore) conoscenza di queste tematiche da parte di tutti i parlamentari accrescerebbe la consapevolezza di come solo mettendo all’angolo le varie mafie ci possa essere una speranza di un reale risorgimento per il nostro Paese.

Troppe insensibilità e sottovalutazioni verso tutte le mafie

E ancora, ci sono alcuni passaggi nella ultima relazione della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) presentata al Parlamento nel luglio scorso che sottolineano una gravità senza precedenti della criminalità mafiosa nel nostro Paese. Una situazione di allarme che avrebbe dovuto “scuotere” deputati e senatori se solo fosse stata sfogliata e magari studiata con quell’attenzione e rispetto doverosi nei confronti non solo di chi l’ha redatta, ma anche dei cittadini perbene, delle forze di polizia, dei magistrati e giornalisti che lavorano ogni giorno per un paese migliore, libero dalle mafie.

In realtà non c’è stato nessuno “scossone” parlamentare né, tantomeno, preoccupazione particolare nei palazzi governativi – in primis al Viminale – alle prese con le solite beghe interne di partito, con la quadratura dei conti pubblici, sottovalutando, ancora una volta, la c.d “questione meridionale” e la sua “radice mafiosa”.

E’ sferzante sul punto la relazione della DIA (organismo, lo ricordo, interforze) laddove sottolinea che “in molte aree del sud, l’arretratezza economica e il disagio sociale rappresentano l’humus che rigenera le strutture mafiose, a loro volta in grado di far gemmare “cellule” da rilanciare fuori della Sicilia, della Calabria e della Campania”.

Occorre, allora, “affrontare in maniera sistemica la questione meridionale” e per far questo “c’è bisogno di una presa di posizione decisa contro una microcultura mafiosa che è cresciuta progressivamente in tutto il Paese, spogliandosi della sua veste violenta e sfruttando l’insensibilità e la sottovalutazione”. Atteggiamenti, questi ultimi, imputabili in gran parte alla classe politica in generale ma di più a quella che si è alternata al Governo del Paese negli anni trascorsi (con poche eccezioni) e solo nelle “emergenze”.

Le analisi (e le conclusioni) degli operatori della DIA sono significative parlando di una “mancanza di allarme sociale (..) che sembra aver anestetizzato la coscienza collettiva rispetto alla pervicacia delle mafie”. Metastasi mafiose che hanno ormai raggiunto non solo tutto il territorio nazionale ma che si sono diffuse, su tutte la ‘ndrangheta, anche in molti altri paesi di diversi continenti. Da noi, tuttavia, la situazione è da molti anni ben peggiore intanto per quell’elemento di debolezza della società civile “rappresentato dalla diffusione di condotte corruttive che costituiscono un pilastro delle capacità infiltrative del continuum criminale organizzato.” (cfr. la relazione DIA del secondo semestre 2010).

Basti pensare al significativo numero di persone denunciate e/o arrestate ogni anno per associazione a delinquere di stampo mafioso che annotano nel loro curriculum criminale denunce per delitti di natura corruttiva.

C’è, poi, l’altro aspetto, quello della elusione fiscale dei mafiosi messo in evidenza nell’ultima relazione della DIA. Non più evasore fiscale, il mafioso, oggi, tende ad eludere le norme fiscali attraverso “professionisti che (..) prestano la loro opera proprio per schermare e moltiplicare gli interessi economico-finanziari dei gruppi criminali” per capitalizzare i proventi illeciti in attività imprenditoriali e realizzare, così, “indebiti risparmi d’imposta”. Anche per questo il contrasto alla criminalità mafiosa è diventata attività difficile, complessa. Non è per niente semplice individuare e neutralizzare questi “facilitatori” (“veri e propri artisti”, secondo la DIA) del riciclaggio al servizio di mafie divenute sempre più imprenditoriali.

Anche per questo obiettivo la DIA riconosce l’esigenza di “ricalibrare costantemente la propria strategia di prevenzione e contrasto” ben tenendo presente quella, egualmente importante, di “scardinare” il “capitale sociale” costituito dalle risorse allocate in una fitta rete di relazioni umane che hanno contribuito a far crescere gli interessi delle cosche mafiose in Italia e in molti altri Paesi.

Fonte:www.antimafiaduemila.com