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Mafia, l’appello di Grasso “Non candidate gli inquisiti”

Il procuratore in Sicilia con Rita Borsellino a un convegno del Prc sulla legalità

Mafia, l’appello di Grasso Non candidate gli inquisiti”

Ma l’Udc attacca: no così si lasciano fuori anche gli innocenti

 

 

ENRICO BELLAVIA

ALESSANDRA ZINITI

 

 

PALERMO — Fuori dalle liste i politici inquisiti o anche solo chiacchierati. È un Pietro Grasso che non va per giri di parole. Punta dritto, pur senza nominarlo, al presidente della Regione Totò Cuffaro e dalla tribuna del convegno di Rifondazione comunista sulla legalità argomenta il proprio affondo in un clima elettorale in cui Cosa nostra torna a farsi sentire. Nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario a Palermo, con l’Anm e gli avvocati democratici protagonisti di una contromanifestazione, tra Trabia e Caccamo killer di mafia regolano i conti con Antonio Canu, gregario rampante, testimone contro un boss. Più in là, a Corleone, qualcuno brucia l’auto del segretario della camera del lavoro, Dino Paternostro, giornalista e saggista impegnato da sempre contro le cosche. «Fibrillazioni preelettorali — dice il procuratore nazionale antimafia — Altro che invisibilità di Cosa nostra, l’organizzazione non è vista solo da chi non vuoi vederla». E oggi, aggiunge, «il contrasto alla mafia, in particolare alla cosiddetta borghesia maliosa, con i mezzi a disposizione è una missione impossibile».

Dal podio del convegno, con Rita Borsellino, sfidante del centro sinistra alle regionali dr giugno, seduta al tavolo della presidenza, Grasso va giù pesante a più riprese: «Candidare personaggi sotto inchiesta è un messaggio che può suonare assai gradito ai mafiosi. Può costituire una sfida alla giustizia e un appoggio alla illegalità e alla impunità».

E mentre dall’inchiesta sull’ex assessore David Costa, in carcere per mafia, emerge che il politico, quando era assessore, caricò sull’auto blu della Regione il boss Natale Bonafede per andare a caccia dì voti a Marsala, Grasso riflette sui partiti e rincara la dose: «Non è una riduzione di garanzie non candidare personaggi chiacchierati anche sé non indagati. Non si può evocare la responsabilità politica senza praticarla, altrimenti si è di fronte a parole vuote». Nel centro destra le critiche del procuratore trovano una solareplica, quella del segretario Udc Lorenzo Cesa: «Non siamo d’accordo, l’esortazione è fuori luogo, se avessimo adottato questo principio ci saremmo privati del contributo di tanti autorevoli esponenti che hanno poi dimostrato la loro innocenza».

 

Grasso rilancia il tema dell’autoregolamentazione. Con il ritorno al proporzionale, con il sistema delle liste, con i partiti che decidono l’ordine delle candidature, la necessità che la politica si riappropri di un ruolo di controllo è ancora più avvertita. «Il grande contributo alla lotta alla mafia — aggiunge — l’hanno dato le forze di sinistra. La storia ci dice chiaramente chi la mafia l’ha combattuta e chi no — ha aggiunto—negli anni 50 in prima linea c’erano i contadini, i sindacati, il partito socialista ed il partito comunista: questi esempi dobbiamo tenerli presenti», E segnala i pericoli della nuova legge elettorale. «Non è più il cittadino a scegliere—dice Grasso—.Almeno prima si poteva allegare un certificato dei carichi pendenti alla scheda elettorale, così ciascuno poteva scegliersi il candidato giusto».

E poi la giustizia: il procuratore passa in rassegna i mali e i guasti della nuova legislazione e parla di «un processo a ostacoli».

Infine un appello alla classe imprenditoriale che, dice, non può trovare conveniente confrontarsi con una concorrenza che «pratica il falso in bilancio, utilizza il lavoro nero, gioca sull’impunità e la prescrizione». Se la mafia torna all’antico e punta a mediare, appoggiandosi proprio sugli imprenditori «interfaccia con la politica», Grasso immagina una stagione di rivolta come quella di tangentopoli.