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Mafia e Politica

Cuffaro, condannato a 7anni per aver agevolato la mafia, lascia l’Udc

L’ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro è stato condannato a sette anni di carcere per favoreggiamento aggravato dall’avere agevolato la mafia e rivelazione di segreto istruttorio. E’ questo l’esito del processo in appello sulle Talpe alla dda di Palermo. Il senatore centrista lascia “ogni incarico di partito”

“So di non avere mai voluto favorire la mafia e di essere culturalmente avverso a questa piaga, come la sentenza di primo grado aveva riconosciuto. Prendo atto, però, della sentenza della corte d’appello. In conseguenza di ciò lascio ogni incarico di partito. Mi dedicherò, con la serenità che la Madonna mi aiuterà ad avere, alla mia famiglia e a difendermi nel processo, fiducioso in un esito di giustizia”. Con queste parole il discusso ex presidente della Regione Sicilia mette fine alla sua carriera politica, dopo la condanna in appello a 7 anni per favoreggiamento aggravato dall’avere agevolato Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio.

Non è più il tempo della spavalderia e dei cannoli, quelli che Cuffaro, allora governatore della Sicilia, ricevette in dono per festeggiare la condanna in primo grado a 5 anni per favoreggiamento nel processo per le ‘talpe’ alla Dda, una condanna che, se aveva escluso l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra, aveva comunque sancito i rapporti tra Cuffaro e singoli mafiosi.

Era il 18 gennaio del 2008. Salvatore Cuffaro, salutò quel primo verdetto con una buona dose di spavalderia e irresponsabilità politica. Attaccato dai partiti della sinistra e dal Pd, sostenuto ad oltranza dall’Udc di Casini.

Oggi il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, esprime “affetto e vicinanza a lui e alla sua famiglia”, sentimenti che scorrono sul piano personale perché, sul piano politico “le dimissioni di Cuffaro da ogni incarico di partito sono più eloquenti di ogni nostra parola”.

Il processo è stato celebrato davanti ai giudici della III sezione della corte d’appello di Palermo. A Michele Aiello, ex ‘re mida’ della sanità privata, accusato di aver costituito una rete di informatori per carpire notizie riservate su indagini antimafia, sono stati inflitti 15 anni e sette mesi. All’ex maresciallo del Ros, Giorgio Riolo sono stati dati 8 anni per concorso esterno e non più per favoreggiamento aggravato.

Il processo per le ‘talpe’ alla Dda, scandito da un susseguirsi di polemiche politiche, poi culminate nelle dimissioni di Salvatore Cuffaro da presidente della Regione dopo la condanna di primo grado a 5 anni per favoreggiamento, aveva diviso la Procura di Palermo, tra i cosiddetti “caselliani” e “grassiani”. All’inizio, Cuffaro era stato indagato e interrogato, il primo luglio 2003, per l’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Secondo i pm, avrebbe voluto favorire dall’esterno, in maniera sistematica, l’organizzazione mafiosa, ad esempio facendo vincere un concorso a due medici raccomandati dal medico-boss Giuseppe Guttadauro e accettando i condizionamenti di quest’ultimo nelle nomine dei primari negli ospedali, agevolando una variante al piano regolatore di Palermo per consentire la realizzazione, su un terreno della moglie del capomafia, Gisella Greco, di un ipermercato: Cuffaro avrebbe per questo motivo boicottato le autorizzazioni alla costruzione di un altro centro commerciale, a Villabate, non lontana da Brancaccio.
Inoltre Guttadauro avrebbe ottenuto, grazie a Cuffaro, la candidatura di Mimmo Miceli, che del chirurgo mafioso sarebbe stato diretta espressione. Uno dei principali favori, poi, sarebbe stato l’aver consentito di scoprire la microspia che il boss aveva nel salotto.
L’accusa di mafia era però naufragata di fronte agli sviluppi dell’inchiesta sulle talpe in Procura: si era scoperto un secondo episodio di rivelazioni di segreti, attribuito a Cuffaro, e il pool coordinato da Grasso e dall’aggiunto Giuseppe Pignatone – tra il 2003 e il 2004 subentrato a Guido Lo Forte nel coordinamento delle indagini su Palermo – aveva preferito puntare su episodi concreti e ritenuti provati. L’episodio Guttadauro era diventato così non uno dei tanti episodi, ma uno dei due elementi centrali della nuova contestazione di favoreggiamento e rivelazione di segreto aggravati dall’agevolazione di Cosa Nostra.

Di fronte alla richiesta di archiviazione dell’indagine per concorso esterno si era dissociato il pm Gaetano Paci che, nell’estate 2004, aveva lasciato il pool, di cui facevano parte Nino Matteo, Maurizio De Lucia e Michele Prestipino. Alla fine del 2006 aveva lasciato anche Di Matteo, che avrebbe voluto che al governatore si contestasse il concorso esterno in aula.

(Tratto da Aprile Online)