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Mafia e appalti a Catania. Sequestrati beni per 400 milioni, 48 arresti, coinvolti politici e imprenditori

Catania – Aveva un vero database dei clienti il mafioso che gestiva per conto di Cosa Nostra catanese il racket delle estorsioni: la cosiddetta “carta delle imprese”, l’elenco delle aziende che avevano osservato la “messa a posto”, cioè il versamento del pizzo, con i relativi importi. E mentre alcuni boss si occupavano delle esazioni, altri incontravano politici, amministratori e burocrati ora collusi, ora direttamente interessati agli illeciti.

Nell’ambito dell’operazione Iblis dei carabinieri del Ros, scattata a seguito dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Catania, sono finiti in manette anche un deputato regionale, un consigliere provinciale, un consigliere comunale e un ex assessore, oltre a imprenditori, boss locali, professionisti. È la stessa inchiesta in cui è indagato il presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, non coinvolto nell’operazione perché nei suoi confronti la Procura, dopo “attenta valutazione” di ogni elemento, non ha ritenuto di dovere agire. Ben 60 gli arresti chiesti dai Pm, 50 quelli autorizzati dal Gip Luigi Barone e 48 quelli eseguiti dai carabinieri. A tutti è contestato il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, ad alcuni a vario titolo concorso esterno, estorsioni, omicidi. Imponente l’insieme dei beni sequestrati tra Sicilia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, tra i quali figurano 105 imprese, 522 tra immobili agricoli e urbani, 137 tra auto, motoveicoli e macchine agricole e industriali, per un valore che i magistrati stimano “prudenzialmente” in almeno 400 milioni.

L’indagine, durata tre anni e condotta dal Ros con pedinamenti, intercettazioni, accessi sul posto, ha permesso di documentare in maniera “certa e incontestabile” la vischiosa dinamica mafia-politica-affari nel Catanese, riscontrando l’esistenza di “diretti collegamenti di esponenti criminali locali con rappresentanti del mondo politico in grado di favorirne gli interessi e le intraprese economiche”, spiega il procuratore di Catania Vincenzo D’Agata. Diversi i politici finiti in carcere. A cominciare da Fausto Fagone, già sindaco di Palagonia, grosso centro agricolo in provincia di Catania, e attualmente componente dell’Assemblea regionale siciliana: secondo gli inquirenti, il politico, eletto con l’Udc e passato recentemente con la costola da questa fuoriuscita, i Popolari per l’Italia di domani, avrebbe intrattenuto “strettissimi rapporti” con il mafioso Rosario Di Dio, il quale appena scarcerato avrebbe curato la campagna elettorale di Fagone, si sarebbe adoperato per definire le alleanze, avrebbe gestito rapporti con imprenditori per consentirgli guadagni costanti durante la sindacatura. Consigliere provinciale di Catania è Antonino Sangiorgi, già consigliere comunale di Palagonia dov’era referente della famiglia Santapaola. Era assessore al Comune di Ramacca, altro paese agricolo della zona etnea, quando taglieggiava una cooperativa edilizia e partecipava alle riunioni mafiose Giuseppe Tomasello, anch’egli arrestato. Stessa sorte per Franco Ilardi, detto “Chiuviddu”, imprenditore e attualmente consigliere comunale di Ramacca.

Tra i mafiosi in manette, spicca la figura di Vincenzo Aiello, rappresentante provinciale di Cosa Nostra, che appena scarcerato si è dato da fare per riannodare i rapporti con le altre famiglie. A Palermo, con i Lo Piccolo, per la “messa a posto” di imprese operanti nel territorio (come nel caso della discarica di Bellolampo); ad Agrigento, con gli uomini del boss Giuseppe Falsone, per l’apertura di un supermercato. Sul territorio etneo, Aiello aveva carta bianca nel dirimere ogni questione, seguiva gli appalti e ne monitorava i bandi, gestiva la “carta delle imprese”. Dall’ordinanza emerge il quadro dei nuovi interessi di Cosa Nostra nell’eolico e nel fotovoltaico, nella costruzione di centri commerciali come La Tenutella alle porte di Catania, nei trasporti e nella metanizzazione, persino nella realizzazione di un parco divertimenti tematico: quello, mai nato, di Regalbuto, in provincia di Enna.

Così, come ricostruiscono carabinieri e magistrati, Cosa Nostra condiziona importanti iniziative imprenditoriali assicurandosi l’aggiudicazione diretta degli appalti, gestendo i subappalti attraverso un circuito di imprese amiche, esigendo dalle ditte aggiudicatarie la “messa a posto” in misura del 2-3% dei lavori, concedendo anche il pagamento a rate in relazione allo stato di avanzamento dei lavori. E però, secondo i magistrati, l’imprenditoria oggi “non è più vittima ma compiacente strumento per l’operatività della mafia nel mondo degli affari”.

(Tratto da Il Sole 24 Ore)