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L’ordine pubblico del boss

L’ordine pubblico del boss

05 APRILE 2021

L’arresto a Palermo di Giuseppe Calvaruso

DI FEDERICO VARESE

C’è un’espressione agghiacciante nel decreto di fermo eseguito ieri a Palermo che coinvolge quindici persone, tra cui Giuseppe Calvaruso, il reggente della famiglia mafiosa di Pagliarelli. Una espressione che ricorre almeno sei volte nel decreto dei pubblici ministeri. “Ordine pubblico del territorio.” Tre concetti che sono normalmente associati allo stato moderno, come ci insegnano i classici della filosofia politica, da Machiavelli fino a Weber, passando per Hobbes. A Pagliarelli chi esercita questa funziona è invece Cosa Nostra. Nonostante i fiumi di inchiostro versati da osservatori e studiosi per sostenere che le mafie di oggi sono liquide, transazionali e immateriali, qui si tocca con mano la natura antica di Cosa Nostra, un’organizzazione che si sostituisce allo Stato, che governa l’economia e svolge anche funzioni di polizia.

La famiglia di Pagliarelli fa parte dell’aristocrazia di Cosa Nostra. Alleata di Totò Riina nella seconda guerra di mafia, nel suo territorio si trovava l’appartamento dove venivano torturati i rivali dei Corleonesi. La famiglia è stata guidata per anni da Antonino “Nino” Rotolo. Nei primi anni di questo secolo Rotolo fece parte del famigerato triumvirato che traghettò l’organizzazione nel 21esimo secolo, insieme a Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo, e mantenne ferma la sua opposizione al ritorno degli Inzerillo dall’America. Dopo il suo arresto e un breve interludio, al vertice arrivò Giuseppe Calvaruso, classe 1977. Giuseppe lavora nel solco della tradizione e aderisce alle regole dell’organizzazione. Tutti i mesi i parenti dei mafiosi in prigione ricevono regolarmente il loro stipendio. A Pasqua e Natale arriva la tredicesima per tutti. E poi ci sono la “buca” e i “pacchi”. Giuseppe fa cucinare pesce pregiato e agnello che le mogli portano ai mariti in carcere. “I calamari puliti oppure interi?” chiede la persona incaricata dell’ordine. “Ca ciertu l’ha puliziare di dintra, \[Certo, li deve pulire dentro\]”, risponde l’altro. Sono gesti altamente simbolici, che servono a dimostrare come la punizione dello Stato non cambi il tenore di vita e il prestigio dell’affiliato, come scrivono i magistrati Salvatore De Luca, Federica La Chioma e Dario Scaletta, sulla base delle indagini del Comando provinciale dei carabinieri di Palermo.

Oltre ad assicurare l’ordine interno all’organizzazione, la famiglia assicura l’ordine pubblico. Quando una rivendita di detersivi viene presa di mira da una banda di ladri, che commettono due furti nel giro di cinque giorni, i titolari si rivolgono alla famiglia. Giuseppe e i suoi iniziano l’indagine, il padrone del negozio fornisce tutte le informazioni utili per catturare i ladri, compresi i video delle telecamere esterne al negozio. Nel giro di pochi giorni, i colpevoli vengono individuati, pestati a sangue alla presenza del boss e costretti a restituire la refurtiva. Quando un bar decide di ampliare il locale, i titolari chiedono il permesso alla famiglia di Pagliarelli, che innanzi tutto si assicura che un panificio poco lontano non abbia nulla da obiettare e poi impone loro di usare una azienda edile amica. Quando una persona subisce il furto dell’auto, si rivolge alla famiglia, che la recupera rapidamente… La protezione mafiosa non è mai disinteressata, non produce mai un ordine pubblico equo e fondato su un diritto. È sempre un favore, ma esiste.

Giuseppe Calvaruso si muoveva. Ha lavorato per un po’ a Riccione. Un investitore di Singapore era interessato a ristrutturare alcuni palazzi del centro di Palermo, ma poi, quando ha capito la caratura del personaggio, si è tirato indietro. Negli ultimi tempi Giuseppe era interessato ad una speculazione edilizia nella città brasiliana di Natal. Qualcuno gli aveva detto che lo Stato sovvenzionava la costruzione di case a basso costo e lui era andato sul posto per verificare. Era partito il 3 marzo dell’anno scorso, ma era di ritorno per Pasqua. Come ci insegna Machiavelli, il principe deve risiedere nel suo territorio, egli non può, nel lungo periodo, governare a distanza, altrimenti qualcuno, presto o tardi, prenderà il suo posto. La filosofia politica ci insegna anche che questa situazione è una emergenza per lo stato di diritto, e sua la soluzione non può essere lasciata alla magistratura. La politica dovrebbe interrogarsi sulle ragioni profonde di questo equilibrio perverso e correre ai ripari.

Fonte:https://rep.repubblica.it/