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Lo scandalo si amplia

Mokbel: «Ho 80 agenti a libro paga»

«Tu calcola che ne pago 80 su Roma, delle forze dell’ordine»… Un mito criminale, Gennaro Mokbel: il faccendiere nel carcere di Regina Coeli, arrestato nell’inchiesta sul riciclaggio che coinvolge Telecom Sparkle e Fastweb, così si vantava con un amico in una conversazione intercettata dai carabinieri del Ros dentro una Smart. Ieri, poi, primo interrogatorio in carcere per l’ex senatore Paolo Di Girolamo. Ed emerge più chiaro il ruolo dell’ambasciatore a Bruxelles, Sandro Maria Siggia, nelle procedure sulla residenza necessaria per l’elezione di Di Girolamo.

Rete criminale d’intelligence
Mokbel aveva almeno tre poliziotti che arrotondavamo lo stipendio facendogli da autista. È il meno, però: il faccendiere vanta conoscenze a ogni livello, come il generale della Finanza Francesco Cerreta, consulente della commissione parlamentare Telekom Serbia, deceduto, o il colonnello dei carabinieri Luciano Seno, in forza al Sismi e indagato nel processo per il rapimento di Abu Omar. Quelli dell’Arma, in realtà, sono i più temuti: definiti nelle intercettazioni «i neri, quelli brutti» mentre tra «i grigi», come chiama gli uomini delle Fiamme Gialle, ci sono diverse coperture e talpe. Gli investigatori, infatti, rimangono allibiti quando si accorgono che Mokbel conosce tutto o quasi delle indagini. Sa dell’esistenza dei due tronconi d’inchiesta, quella sul riciclaggio e l’altra sull’elezione illecita all’estero di Nicola Di Girolano. È informato in tempo reale dell’esito delle rogatorie. Ha presente, da subito, i nomi dei pm che indagano, Giancarlo Capaldo e Giovanni Bombardieri. Tanto che, sapendo di essere intercettato, in una conversazione Mokbel pronuncia parole frasi ingiuriose nei confronti della «moglie di Capaldo».

«Bonificate» le cimici Ros
I militare dell’Arma, dopo aver piazzato alcune microspie nell’ufficio di Viale Parioli, il 9 giugno 2008 ascoltano e possono immaginare una scena da spy story. Mokbel, infatti, porta nella stanza un apparecchio che sa individuare le cimici. Poi agli altri presenti annuncia: «Ragazzi, guardate un po’…Sì (Silvio Fanella, n.d.r.) damme un po’ un cacciavite…mozza qui» e click!, disinstalla una prima microspia. Non contento, cerca e trova anche la seconda: «Guarda che carina…eccone un’altra qua, tiè…già so arrivati i Carabinieri». Ma stavolta, quasi per sfida, non la disattiva.

Il ruolo dell’ambasciatore
Gli investigatori stigmatizzano la posizione dell’ambasciatore a Bruxelles, definito negli atti giudiziari «il fautore» insieme ad altri soggetti «della falsa iscrizione ai registri Aire», cioè l’anagrafe degli italiani all’estero, di Di Girolamo: requisito indispensabile per legittimare l’elezione a senatore. Si legge negli atti: «Era infatti lo stesso ambasciatore, per primo, a sollecitare al Di Girolamo la regolarizzazione della sua posizione anagrafica: “…però io volevo dirle insomma bisogna in un certo senso che…troviamo un modo…” e poi “…io la volevo avvertire perché appunto è bene che lei insomma.., stabilisca in un certo senso un… una…un recapito… un gesto di punti fermi..dicendo appunto che lei di tanto in tanto…». Secondo gli inquirenti «il tenore della conversazione evidenziava come l’ambasciatore fosse a conoscenza del problema della residenza del Di Girolamo al punto da fornirgli anche dei consigli per risolverli: “…lei deve cercare di dire che si divide…ma non soltanto tra Bruxelles e l’Italia.., ma anche in Germania…».

Di Girolamo resta in silenzio
Ieri davanti al gip, Aldo Morgigli, l’ex senatore si è avvalso della facoltà di non rispondere. Secondo i suoi legali, Carlo Taormina e Pier Paolo Dell’Anno, «in ragione della complessità e del tecnicismo della vicenda, Di Girolamo ha ritenuto di fornire solamente nel proseguo i necessari chiarimenti all’autorità investigativa non essendo l’interrogatorio di garanzia davanti al gip, al quale si riconosce estremo rispetto, la sede più adatta».

(Tratto da Il Sole 24 Ore)