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L’inquinamento ambientale a Napoli, le immagini mai viste

L’inquinamento ambientale a Napoli, le immagini mai viste

Disastro ambientale, traffico illecito di rifiuti, scarico al suolo di acque industriali, oltre alla violazione delle norme di sicurezza per i lavoratori. Sono alcuni dei reati contestati dal procuratore aggiunto di Napoli a una delle più grandi multinazionali del petrolio, la Kuwait spa. Gli indagati sono 29, tra questi i vertici della Kuwait e di altre aziende.
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di Amalia De Simone /CorriereTV

Disastro ambientale, traffico illecito di rifiuti, scarico al suolo di acque industriali, oltre alla violazione delle norme di sicurezza per i lavoratori. Sono alcuni dei reati contestati dal procuratore aggiunto di Napoli Filippo Beatrice e dai pm Antonella Fratello e Salvatore Prisco nell’avviso di conclusione indagini che traccia la storia di un’area industriale della città di Napoli e che punta il dito contro una delle più grandi multinazionali del petrolio, la Kuwait spa. Gli indagati sono 29, tra questi i vertici della Kuwait e di altre aziende. 

Negli atti si parla di 42 mila metri cubi di acque oleose smaltite in maniera illecita, di contaminazione delle falde acquifere e dei terreni e di rischio per la salute dei cittadini. Un sistema che come implicitamente emerge in una delle conversazioni intercettate dagli inquirenti viene adottato da 60 anni: “Ci stanno dicendo che è illegale una procedura utilizzata per 60 anni” (…) “ci dicesse, il pubblico ministero cosa possiamo fare! Cioè lei sta dicendo che noi non possiamo fare quello che abbiamo fatto per 60 anni”. Ammettono quindi di avere per sessanta anni osservato costantemente le medesime procedure (in tutto il mondo fanno così, dicono nei dialoghi intercettati), “senza tenere in alcun conto – osserva il pm in uno degli atti dell’inchiesta – della profonda evoluzione della legislazione in campo ambientale intervenuta, normativa alla luce della quale, la Kuwait di Napoli ha richiesto ed ottenuto un’AIA, con delle precise prescrizioni in ordine alla gestione delle acque di processo”.

Prescrizioni che dunque, secondo le indagini svolte dai tecnici dell’agenzia delle dogane e dei monopoli e dalla guardia costiera di Napoli, non sarebbero state del tutto osservate. Alla società petrolifera viene contestato lo stoccaggio di ingenti volumi di rifiuti pericolosi nei serbatoi installati nel deposito fiscale Kuwait di Napoli est (quartiere di San Giovanni a Teduccio), e il loro successivo smaltimento illecito al fine di non sostenere le spese per il corretto trattamento delle sostanze. Un risparmio che secondo gli inquirenti ammonta a 240 milioni di euro, cifra che fu sequestrata a dicembre 2015 dall’autorità giudiziaria. 

La Kuwait ha sempre respinto le accuse ribadendo la piena correttezza del proprio operato ed il puntuale rispetto di tutte le norme di legge nello svolgimento delle proprie attività”. Ora avranno 20 giorni di tempo per presentare ulteriori memorie difensive. Le criticità evidenziate invece dai consulenti tecnici della procura riguardano lo stato delle strutture dei depositi: dalle immagini mostrate nella videoinchiesta si possono notare delle perdite nei serbatoi, canalette di raccolta dei reflui privi di argini , cedimenti e buchi del terreno per le infiltrazioni delle acque oleose. Anche l’impianto di trattamento dei reflui presenterebbe problemi: le foto dei consulenti evidenziano alghe e batteri sul cordolo delle vasche e poi morchie, rifiuti e amianto nelle varie zone del deposito. Dopo il sequestro l’area è stata sgombrata da questi materiali.

Secondo la procura, gli indagati erano a conoscenza della situazione come emergerebbe da conversazioni ed e mail intercettate. Frasi come “è ceduta completamente l’area al …centoventotto”. Oppure: “perde, perde anche di brutto (…) sia da lato degli spurghi (…) e il pozzetto passo d’uomo è pieno e si vede che gocciola proprio parecchio, come il 320”. O anche come quando un operatore della Kuwait, riferiva che la situazione all’impianto WWT (impianto di depurazione) , in particolare nel canale Corsea, era molto critica: “laggiù stiamo proprio a morti proprio (…) ho chiuso tutto, ho sfangato un poco (…) ma sta proprio una catastrofe (…) questo si è otturato…cioè, sta proprio tutto schiuma e fango nel canale corsea (…) ho abbassato la carica, ho fatto un poco di “sciacquamento”.”

Le immagini relative all’impianto WWT sono eloquenti: il colore dei liquidi tende ad essere scuro e la consistenza appare schiumosa, inoltre sui bordi delle vasche le perizie evidenziano la presenza di alghe e batteri. Per quanto riguarda lo stato dei serbatoi, anche in questo caso le immagini raccontano una situazione di grande degrado. Secondo i rapporti di prova effettuati dall’ARPAC e allegati all’inchiesta, le varie perdite avrebbero causato la contaminazione dei terreni circostanti, con l’inevitabile conseguenza dell’inquinamento della falda. Un esempio arriva da uno dei passaggi sul tema, della relazione del consulente tecnico: “l’acqua che fuoriesce dal serbatoio è proprio quell’acqua ad alto carico organico presente al suo interno e che, con le fuoriuscite accertate in passato, si sono evidentemente addentrate nel terreno per raggiungere la falda che è presente a poca distanza dal piano di campagna. A questo dato, coerente tra l’altro con gli alti valori di idrocarburi (leggeri e pesanti e aromatici), va aggiunto che queste stesse acque presentano un valore particolarmente elevato di ferro (…)”.

Tutto questo avviene nel quartiere diventato famoso per il nuovo centro di formazione Apple, nella zona orientale di Napoli. Napoli Est comincia a un paio di chilometri dalla stazione centrale di Piazza Garibaldi. Si parte dai rioni di Gianturco e San Giovanni a Teduccio ed è una lingua di terra che nasce dall’abbraccio del mare con il Vesuvio. Solo che l’odore della spiaggia non di sente più: man mano che ti avvicini la gola comincia a bruciare e si respira odore di benzina. “E’ proprio una caratteristica di questo posto – spiega sarcastico Franco Maranta, battagliero attivista di lungo corso, oggi impegnato nel forum diritti e salute – l’aria acre ti aggredisce naso e bocca. Qui da decenni esiste l’area delle raffinerie, un mostro pericoloso dove trent’uno anni fa ci fu un’esplosione che fece 5 morti 165 feriti e che fece crollare interi palazzi mettendo per strada circa 2600 persone. Ce lo ricordiamo tutti perché il cielo della città diventò nero squarciato solo dalle fiamme altissime che furono domate dopo una settimana”.

Oggi la paura riguarda anche l’inquinamento e la gente della zona sta cercando di organizzarsi, denunciare e reagire. “Ci siamo costituiti in un comitato che si chiama Napoli est brucia, spiega Giuseppe Manzo, giornalista e scrittore impegnato nel progetto – Su questo territorio vivono circa 120 mila abitanti divisi in 5 quartieri e l’area in concessione alla Kuwait petroleum si trova esattamente al centro”. Secondo uno studio dell’associazione giovani ricercatori, nella sesta municipalità (quella dell’area orientale napoletana) c’è un aumento dei tumori alla vescica e all’utero e per monitrare il fenomeno stanno partendo alcune iniziative: “Visto che per avere un registro tumori pare che ci siano complicazioni politiche – dice Marco Sacco del comitato civico San Giovanni a Teduccio – abbiamo avviato una serie di screening tra gli abitanti dell’area per poter avere un dato scientifico sull’incidenza delle malattie e poterlo collegare con il problema dell’inquinamento da idrocarburi”.

L’attenzione rispetto a tutta questa situazione parte da lontano, come spiegano Manuele Murano e Gennaro Grassia del comitato Gianturco – officina 99, ma ovviamente in seguito al sequestro si è cercato di spingere chiedendo bonifiche, trasparenza, provando a riappropriarsi del territorio. Riprendersi il quartiere significa anche fare da sentinella come fa Franco Maranta che va a gettare sassi canale per canale per cercare di verificare il grado di inquinamento: “Guarda lì sotto il manto verde c’è del liquido nero che addirittura a volte ribolle”. Anche Enzo Morreale del comitato civico San Giovanni a Teduccio fa la spola tra gli uffici delle varie amministrazioni per monitorare il progetto relativo all’ampliamento della darsena: “I piani che sono stati presentati, bocciati in una prima fase dal consiglio superiore dei lavori pubblici e successivamente riproposti, prevedono una grossa opera di ampliamento della darsena petroli da dove vengono pompati gli idrocarburi dalle navi per poi essere immagazzinati. Purtroppo è difficile saperne di più, eppure sarebbe importante dato l’impatto che una cosa del genere avrebbe sul mare e sul nostro quartiere”. Sopra i depositi della Kuwait abita una nonnina insieme con la sua famiglia. Lei è nata e cresciuta in quella casa: “Respiro questa puzza da sempre. Quello che si vede da qui è brutto. C’è benzina ovunque. Abbiamo provato anche a ribellarci ma non è servito a niente. E così continuiamo ad avvelenarci”. La sua casa, anche d’estate, ha sempre le finestre chiuse.

fonte:http://video.corriere.it/