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L’impresa grigia

L’impresa grigia

di Stefania Pellegrini

MERCOLEDÌ 5 GIUGNO 2019

Una mafia che non spara è una mafia innocua, non pericolosa? Una mafia che non mette a repentaglio l’incolumità fisica delle persone è per questo “sopportabile”?

Di fatto, una mafia economica pone in essere dinamiche criminali ed illegali che vengono tollerate e legittimate fino a quando non oltrepassano la soglia che garantisce la sopravvivenza. Il punto è comprendere quando questo confine viene superato e a che punto la presenza della criminalità organizzata produce una contaminazione tale da mettere a repentaglio la sopravvivenza di una comunità.

Le mafie al Nord vengono viste ancor troppo soventemente come prodotto di una contaminazione esogena che coinvolge realtà circostanziate, con una diffusività limitata ed una offensività del tutto secondaria. Il processo di investimento delle mafie nella imprenditoria del settentrione appare sottovalutato nella sua profonda essenza di violenza che, invece, caratterizza sia l’origine dei capitali che vengono investiti, sia le modalità di relazione sistematicamente applicate nelle relazioni economiche.

Il Nord spesso avverte la presenza della criminalità organizzata come conseguenza di un contagio endogeno prodotto da un’orda criminale sempre riconducibile ad un Sud contaminato e contaminante il quale, mediante un potere pernicioso e subdolo di una mentalità profondamente criminogena, ha reso inefficaci sperimentati strumenti di difesa sociale.

Ad una attenta analisi della percezione sociale rispetto alla presenza delle mafie in territori “non tradizionali” emerge la necessità di superare immaginari collettivi e stereotipi legati ad un’idea di mafia che non può più essere narrata utilizzando metafore ormai inadatte e anacronistiche. La lettura di atti di indagine e di risultanze processuali, conferma il superamento di un processo di “colonizzazione”, inteso come una «occupazione (più o meno violenta) di un certo territorio, sulla base di una qualche pianificazione della sua utilizzazione», e l’ormai consolidato evolversi di una “simbiosi mutualistica” che rimanda ad una relazione che comporta un vantaggio reciproco per gli individui associati i quali, senza essere obbligati a tale rapporto, possono vivere anche indipendentemente gli uni dagli altri.

L’analisi dei fenomeni tradizionalmente considerati alla base della trasmigrazione delle mafie al Nord, induce quindi a sottolineare l’importanza di una contestualizzazione dei nessi causali, finalizzata a ricostruire i concreti meccanismi che li hanno resi operativi. Di contro, vanno rigettate quelle generalizzazioni che finiscono con il distorcere gravemente la realtà.

Una spiegazione legata unicamente all’ipotesi etnica, fondata sul contagio culturale di cui sarebbero portatori i meridionali, lavoratori migranti o boss al confino, deve essere respinta con forza, in quanto l’espansione mafiosa non può essere un fenomeno esclusivamente dipendente dalla popolazione.

E’ necessario quindi ampliare il raggio dell’indagine, includendo altre variabili di analisi relativamente indipendenti, come l’appetibilità delle zone di destinazione e la permeabilità del sistema socio-economico dei territori di approdo. Di fatto, alla base di una strategia di espansione è naturale ravvisare una valutazione di un interesse a trasferirsi in una zona ad medio/alto reddito, in cui prospera un’attività industriale o agricola fiorente. Ci si rivolgerà quindi soprattutto alle zone più ricche e più economicamente vivaci nella prospettiva di avere maggiori possibilità di compiere affari e di impiegare denaro proveniente da attività illecite. Non va altresì sottovalutata la disponibilità di parte dell’economia del Nord ad accogliere le risorse economiche di natura criminale. Quest’ultima rappresenta un fattore determinante il successo delle mafie nel settentrione del Paese.

Si tratta quindi di rovesciare il paradigma di analisi: non esclusivamente un Sud che colonizza il settentrione, ma parte del Nord che accoglie gli investimenti criminali del meridione.

A tale fine, appare necessario introdurre il c.d. “il fattore scelta”, in base al quale una fetta della classe dirigente, imprenditoriale e porzioni della stessa comunità del Nord, “hanno scelto” di stringere affari con la criminalità mafiosa, di non vedere, di non denunciare.

Tutti questi comportamenti hanno prodotto atteggiamenti parimenti perniciosi, differenziabili in “responsabilità attive” e “responsabilità omissive” che rappresentano, al contempo, causa ed effetto della diffusione della mafia. Tali condotte non solo hanno inciso sulle dinamiche economico/imprenditoriali, ma hanno plasmato i comportamenti collettivi e gli atteggiamenti delle istituzioni.

E così la mafia è divenuta paradigma sociale e potente agente di contaminazione delle dinamiche sociali, sino a radicarsi nei territori e rappresentare un sistema sociale che interagisce in una rapporto di funzionalità reciproca con gli altri sistemi. Essa opererà in rapporto di “funzionalità reciproca” con altri sistemi, ricevendo risorse (input) dall’ambiente circostante e producendo effetti (output) a loro volta immessi nell’ambiente.

Dopo una prima fase del processo di infiltrazione, la criminalità mafiosa prolifererà, traendo beneficio dalle connivenze con apparati di potere politico/economico e da un disinteresse diffuso da quella parte di comunità che si ritiene al riparo da contaminazioni esterne.

Si tratta di un processo subdolo e pervasivo che ha necessitato il coinvolgimento di nuove figure di partenariato che, seppur provenienti da contesti diversi, si sono mostrate da subito disponibili a inedite forme di collaborazione divenute sempre meno sporadiche e più frequenti, al punto da divenire infungibili.

La criminalità organizzata oggi agisce ed opera utilizzando soprattutto attività imprenditoriali divenute mezzo necessario per compiere operazioni che necessitano di imprenditori disposti a far subentrare nella compagine societaria investitori di dubbia moralità e di professionisti in grado di veicolare capitali, altrimenti inerti, tramite operazioni attuabili mediante competenze che i consociati non posseggono.

Il ruolo di questi imprenditori e professionisti non deve essere analizzato solo nella sua rilevanza penale, ma approfondito in considerazione della responsabilità sociale ad esso connessa. Una forma di responsabilità complessa, indirizzata all’esecuzione e alla realizzazione di un determinato fine, le cui modalità sono affidate alla scelta individuale.

 

Fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/