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Le accuse dell’ex re della droga ai carabinieri imputati: «Mi proposero di fare e dire delle cose. Sequestri pilotati»

Le accuse dell’ex re della droga ai carabinieri imputati: «Mi proposero di fare e dire delle cose. Sequestri pilotati»

17 Febbraio 2021

di Roberta Miele

«Passo io per il diavolo. Io ho corrotto, io ho fatto. Ma mi hanno proposto, mi hanno fatto fare 4 verbali fasulli, mi hanno portato alla Dda. Per questo ho altri procedimenti in corso».

Dopo un anno e mezzo e dieci rinvii per i più svariati motivi, Francesco Casillo “’a vurzella”, ex narcotrafficante del Piano Napoli a Boscoreale, torna al banco dei testimoni nel processo incardinato a Torre Annunziata a carico dei presunti carabinieri infedeli che, per la procura rappresentata dal pm antimafia Ivana Fulco, avrebbero instaurato una vera e propria trattativa Stato-camorra. In cambio di favori come la restituzione della cocaina sequestrata, ‘a vurzella, ex pentito cacciato dall’Antimafia per avere instaurato una falsa collaborazione, avrebbe passato ai militari le informazioni necessarie ad arresti e sequestri eccellenti, come la cattura del killer del tenente Marco Pittoni e del latitante Umberto Onda. Le dichiarazioni rese contro i carabinieri sono state le uniche confermate da Casillo. Sott’accusa l’ex comandante del nucleo investigativo oplontino Pasquale Sario, i militari esperti nella cattura di latitanti Gaetano Desiderio e Sandro Acunzo e Luigi Izzo e Orazio Bafumi, ritenuti vicini al ras del narcotraffico.

Dopo sedici mesi, l’ex boss dal lungo curriculum criminale, si è sottoposto al controesame delle difese degli imputati, ripercorrendo alcuni episodi oggetto del giudizio. A partire dal sequestro al porto di Napoli, annunciato in conferenza stampa, di oltre tre quintali di cocaina provenienti dal Sudamerica “diventati” in seguito solo 257 chili. Ad avvertirlo dell’arrivo del carico, racconta Casillo, fu Acunzo. «Due giorni dopo il sequestro, mi consegna i primi sedici chili di droga, poi altri venticinque. Dopo un’altra settimana mi dice di andare a Sorrento a prendere gli altri 25. Io, ogni volta che li ricevevo, li vendevo e gli davo una parte dei proventi. L’ultima consegna di 25 chili al Parco degli Aranci». Sandro Acunzo diede a Casillo, che era insieme al fratello, istruzioni nel caso in cui, al ritorno da Sorrento, venisse fermato dai carabinieri: «Se vi fermano andate nella prima stradina, dividete la macchina, la persona e la valigia». E in effetti Franco Casillo venne fermato, il fratello che non era in auto con lui riuscì a scappare, ma cadde in un dirupo e si ruppe una gamba. «Chiamai Acunzo e finsi che era il mio avvocato», spiega Casillo.

Per quel carico sequestrato Casillo diede ai sudamericani solo due o trecentomila euro, una parte del prezzo, «per far vedere la buona volontà» a pagare, e mandò le pagine dei giornali che pubblicarono la notizia. Soldi pagati di tasca sua senza problemi: «In casa disponevo di 2 milioni di euro». E se il carico fosse passato, i margini di vendita sarebbero stati di oltre 12 milioni. Numeri da capogiro, eppure l’ex boss si ritiene un narcos «medio-basso, perché c’è gente che fa portare una tonnellata alla volta». Sui rapporti con Sandro Acunzo conferma di avergli dato soldi «in continuazione» tra il 2008 e il 2010. E fu sempre lui ad avvertirlo dell’arrivo del carico e a dirgli che era meglio portarlo in caserma: «Avrebbe aspettato il momento giusto per sostituire la droga con la farina perché la chiave ce l’aveva il colonnello Paris». Sui ritrovamenti di armi, invece, Casillo dichiara che «erano pilotati». «Le notizie le decidevamo noi a tavolino nella cantina di Acunzo».

Durante il controesame, Casillo scandaglia anche l’episodio dell’arresto, avvenuto nel 2005, del latitante Vincenzo Pisacane, ‘bombolone’, esponente del clan Gionta. Pisacane era al ristorante con i suoi legali, Casillo, la moglie, la figlia. Mentre i commensali erano al tavolo arrivarono il maresciallo Francesco Vecchio e Gaetano Desiderio. Casillo conferma di avere promesso e poi pagato a Vecchio (assolto in abbreviato dall’accusa di favoreggiamento aggravato dal metodo mafioso per carenza di prove) del denaro per non essere arrestato, venti o quarantamila euro, non ricorda. L’ex boss di Boscoreale – dichiara – aveva meno confidenza con l’ex comandante Pasquale Sario a cui dava del “voi” «per rispetto». «Dopo l’omicidio di Pasquale Del Sorbo, Sario venne a casa mia a chiedermi se sapevo qualcosa, voleva prendere i responsabili». I carabinieri di Castello di Cisterna, invece, volevano prendere il latitante Umberto Onda e così, «per fare pressione psicologica», ad agosto 2009 raggiunsero Casillo ad Acciaroli per sequestrargli la barca. In seguito iniziò la falsa collaborazione con la giustizia: «Rispetto alla prima collaborazione non ricordo niente perché erano tutte bugie. Loro mi hanno detto di andare a Napoli per la finta collaborazione, dopo qualche interrogatorio sarebbe stato un nulla di fatto».

Mentre Casillo nel 2011 è in carcere, i suoi dialoghi con il pentito di camorra Angelo vengono intercettati. Ferrara lo mette in guardia, dice che deve stare attento «altrimenti gli fanno la pelliccia». Casillo gli confida che «del maggiore non tengono niente. Il capitano non conta niente, quello non lo volevano accusare». Ma Casillo non ricorda “quello” chi fosse. Angelo Ferrara nel 2012 si è suicidato nel carcere di Carinola (Caserta).

Fonte:https://www.giustizianews24.it/2021/02/17/le-accuse-dellex-re-della-droga-ai-carabinieri-imputati-mi-proposero-di-fare-e-dire-delle-cose-sequestri-pilotati/