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L’appalto fuorilegge del Tribunale a una società in un paradiso fiscale

Il Corriere della Sera, Lunedì 22 maggio 2017

L’appalto fuorilegge del Tribunale a una società in un paradiso fiscale
Maxi ribasso e bando su misura. Ma i pm di Milano e Brescia si rimpallano l’inchiesta

di Luigi Ferrarella

L’appalto del Tribunale di Milano per la pubblicità 2013-2014 delle aste giudiziarie? Assegnato a non si sa chi dietro due «scatole» societarie che finiscono nel paradiso fiscale del Delaware. Punteggiato dalla presenza di zio e nipote sui versanti di chi scriveva il bando e di chi lo vinceva. Bocciato dall’Autorità Anticorruzione di Cantone per errori di calcolo nella base d’asta da parte di Digicamere-Camera di Commercio quale stazione appaltante per conto del Tribunale dell’allora presidente Livia Pomodoro. Finito in un’indagine per «turbativa d’asta» per l’irrazionale ribasso del 72% da parte dell’unico partecipante e per la mancata verifica di congruità. Rimpallato due volte come patata bollente («siete competenti voi», «no, lo siete voi») tra le Procure di Milano e Brescia.

E adesso archiviato. Con una richiesta nella quale i pm milanesi prendono atto «di non essere riusciti» né a trovare «le prove per ritenere che la fornitura dei servizi sia stata preceduta da illecite intese triangolari coinvolgenti esponenti del Tribunale, della Camera di Commercio e dell’impresa»; né «a risalire alla reale proprietà della vincitrice Edicom Finance srl», controllata da Admair Limited con sede in Gran Bretagna, a sua volta controllata da Any Sac LP con sede nel Delaware, cioè in uno dei più impenetrabili paradisi fiscali benché negli Stati Uniti. Il 12 febbraio 2014 Astalegale.net spa denuncia impossibile che il concorrente Edicom Finance srl il 3 dicembre 2012 avesse garantito per 226.000 la «pubblicità degli avvisi delle aste giudiziarie e attività propedeutiche all’avvio del processo civile telematico» messa a gara per una cifra (825.000) ritenuta già in perdita da tutti.

 

Non solo: nelle cancellerie della II e III sezione civile compaiono a lavorare 11 persone (per digitalizzare i fascicoli) che non sono cancellieri del Tribunale, ma esterni pagati 1.400 euro al mese da Edicom. A che titolo? Per un dirigente della Camera di Commercio non facevano parte dell’appalto; per l’amministratore di Edicom invece sì; e una direttrice di cancelleria dice una cosa ancora diversa, e cioè che esisteva una apposita convenzione Tribunale-Camera di Commercio, di cui produce una copia. Che però è senza firme. E ai pm occorre un formale ordine di esibizione alla Camera di Commercio per accertare che una convenzione del genere non è mai esistita.

Perché Edicom sembra dunque fare «beneficenza» al Tribunale? Per una scelta di visibilità e marketing, afferma la società. Ma un’altra risposta la propone il giudice civile Marcello Piscopo, testimoniando di essere stato l’unico giudice a non aderire alla prassi interna di Tribunale che per tutte le procedure imponeva di far effettuare (esclusivamente da una società del gruppo Edicom) anche la pubblicità accessoria, non compresa nel bando di gara: i canali «riviste giudiziarie e free press», «video-tour», e «postal target» (peraltro aumentato da 500 a 1.000 comunicazioni, e da 120 a 255 euro di costo). Con il risultato che così la società incrementava il proprio fatturato dai 440.000 euro del 2012 al milione e 400.000 del 2014.

Si scopre poi la parentela tra chi (zio) ha contribuito in Digicamere a scrivere il bando e chi (nipote) lavora nella società vincitrice, dopo aver peraltro lavorato fino al 2010 proprio in quella concorrente. Il pm Paolo Filippini indaga i due per «turbativa d’asta», e poi il 20 gennaio 2016 (con il visto del capo del pool anticorruzione Giulia Perrotti, e di Piero Forno quale procuratore reggente tra l’uscente Bruti e l’entrante Greco) trasmette gli atti a Brescia, Procura competente per legge a indagare in ipotesi su toghe milanesi. Era già successo il 28 novembre 2014, quando il gip milanese Anna Zamagni, nel negare ai pm l’intercettazione di un carabiniere della Corte d’Appello, aveva ritenuto l’allora presidente (e oggi della Cassazione) Gianni Canzio teorica parte offesa da chi, telefonando appunto dall’anticamera, aveva rivolto parole minacciose a una cronista: Brescia, negando anch’essa le intercettazioni, aveva restituito gli atti a Milano in 6 mesi.

La seconda volta, invece, Milano nel 2016 li rimanda a Brescia perché intanto si fa l’idea che i servizi di pubblicità accessori, fuori bando, possano essere stati poi assegnati in via esclusiva al gruppo Edicom da magistrati del Tribunale di Milano per far riguadagnare alla società quanto perso con il maxi ribasso e con il costo degli 11 lavoratori in cancelleria. Ma il 12 settembre 2016 a Brescia il pm Michele Stagno e il procuratore Tommaso Buonanno, «senza procedere a ulteriori indagini» in quegli 8 mesi, restituiscono gli atti perché Milano non aveva iscritto alcun magistrato, e «la semplice prospettazione o il mero sospetto non sono idonei a fare operare il criterio di competenza» speciale per le indagini sulle toghe. Ma Milano, a babbo morto, ora ritiene di non poter più fare altro che chiedere al gip di archiviare.