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L’antimafia indaga sull’”antimafia”

Era ora che ci si  svegliasse per fare  un pò di chiarezza  nel grande bluff di centinaia di soggetti e sigle che utilizzano la definizione di “antimafia” per camparci,fare soldi,pompando quattrini dei cittadini per “progetti”,”gestioni” e quant’altro del genere che non hanno portato e non porteranno mai alcun contributo pratico alla lotta alle mafie.Chiacchiere su chiacchiere e fiumi di denaro senza produrre una sola denuncia,un solo arresto,una sola indagine  seria .Paolo Borsellino diceva che é un  DOVERE  dei cittadini contribuire  alla lotta alle mafie  aiutando  concretamente le forze di polizia e la Magistratura.Un dovere civico,un dovere morale ed anche un dovere giuridico in quanto  chi é a conoscenza di un reato ha l’obbligo di denunciarlo.Ed,invece,alcuni intendono l’”antimafia”,l’”antiracket” ecc. come una sorta di grande abbuffata ,uno strumento per  guadagnare e camparci.Gestendo i beni confiscati,organizzando i “corsi della legalità° nelle scuole” ed altre attività del genere che  non servono a niente sul piano pratico.Un pò di scena  e tanti tanti quattrini  pubblici,scena condita magari da qualche convegno  nel quale si parla di tutto e di niente.Temi generici non collegati alle situazioni dei territori nei quali si organizzano.Tanto per buttare un pò di polvere negli occhi e dire “io ci sono”.La bandierina! E’ una vita che  noi dell’Associazione Caponnetto  andiamo gridando che  SENZA DENUNCE,NOMI E COGNOMI  E SENZA INDAGINI NON E’  LOTTA ALLE MAFIE! La lotta alle mafie si fa con le VISURE CAMERALI,i DATEBASE,GLI ARCHIVI  e le segnalazioni  a chi di dovere.Magari informali talvolta ,se certe situazioni e certi momenti lo impongono,ma segnalazioni e denunce.Senza segnalazioni e denunce  alla magistratura inquirente ed ai corpi specializzati di polizia NON è  antimafia.
E’ altro!  Bluff,arrembaggio alla dirigenza,rapina per dirla con una sola parola. Poi c’é anche l’”antimafia” politica,il modo di taluni politici per costruirsi carriere,prendere lauti e prestigiosi incarichi e procurarsi voti.
Spesso leggiamo di  qualche “antimafioso” che va a finire in galera o  viene indagato addirittura per concorso esterno in associazione mafiosa.Gli infiltrati.
Ed arrivano schizzi di fango in faccia a tutti,anche a chi,come noi,ha sempre rifiutato e rifiuta  di prendere soldi  da chicchessia.Per aver il PROFUMO DELLA LIBERTA’  DA TUTTO E DA TUTTI,siano essi partiti  politici  ,istituzioni e quanti altri  che potrebbero,prima o poi,trovarsi coinvolti in scandali e ruberie perché é proprio nella politica e nelle istituzioni che si annidano i mafiosi più pericolosi.Noi non vogliamo soldi ,convenzioni,agevolazioni,benefici  dal SISTEMA  marcio,corrotto e mafioso.Nemmeno  un comodato d’uso  per un locale dove allocarci  perché preferiamo delle sedi mobili,in case di nostri iscritti fidati,per tutelare  la loro integrità fisica e per non sentirci compromessi con chicchessia.
L’Antimafia indaga sull’”antimafia”? Bene ,ma che sia una cosa seria,non una delle solite  cose all’italiana  ,dove si fa finta di fare qualcosa di serio ma per lasciare le cose come stanno e buttare un pò di polvere negli occhi degli allocchi. Che sono tanti in Italia,i più. Via la cacca dal nostro mondo e facciamo capire a tutti che la lotta alle mafie si fa non con le chiacchiere e gli affari,ma con l’INDAGINE e la DENUNCIA.
Chi non é d’accordo non può stare con noi ed utilizzare le sigle dell’ANTIMAFIA

L’Antimafia indaga sull’antimafia: dopo gli scandali, audizioni in Parlamento

di  | 1 dicembre 2015 

L’Antimafia indaga sull’antimafia: dopo gli scandali, audizioni in Parlamento

Mafie
Per la prima volta, la Commissione bicamerale approfondirà carriere, attività e bilanci di chi si erge a paladino della lotta alle cosche. Il vicepresidente Fava: “Bisogna smascherare le autocelebrazioni e i poteri personali costruiti su questo fronte”. La decisione dopo una serie di inchieste, da Confindustria Sicilia al giudice Saguto. Primo intervento, quello dello storico Salvatore Lupo. L’addio polemico di Franco La Torre a Libera
di  | 1 dicembre 2015 
In via informale la chiamano “antimafia dei pennacchi”, e sarebbe poi quel proliferare di carriere e fortune protette dall’ombra di una fraudolenta battaglia contro Cosa nostra. Un cortocircuito pericolosissimo quello della legalità diventata vessillo protettivo per potenti che lucrano con gli stessi metodi mafiosi, e che adesso diventa per la prima volta materia d’indagine per il Parlamento. La commissione Antimafia, infatti, comincia questa sera una lunga serie di audizioni per approfondire limiti e contraddizioni del vasto insieme che negli ultimi anni si è auto posizionato in prima fila nella lotta per la legalità: postazione un tempo scomoda e pericolosa, che oggi è diventata alibi fondamentale per costruire fulgide carriere.L’indagine della commissione. È per questo motivo che adesso palazzo San Macuto vuole vederci chiaro, passando in rassegna ogni dettaglio di quel variopinto mondo che è diventato il movimento antimafia. “Una decisione insolita ma necessaria”, la definisce Claudio Fava, vicepresidente di Palazzo San Macuto, che poi spiega: “Occorre intervenire su chi ha costruito carriere e potere all’ombra di una lotta alla mafia soltanto presunta, bisogna smascherare le autocelebrazioni, dare nomi e cognomi a coloro che hanno trasformato questo impegno in una risorsa di potere personale, di vanità, di esibizione”. Il primo a sfilare davanti alla commissione sarà lo storico Salvatore Lupo, autore di una serie di libri su Cosa nostra, e anche di un contestatissimo saggio (firmato con il giurista Giovanni Fiandaca) che sostiene una tesi giustificazionista della trattativa Stato-mafia. “Lupo – dice Fava – darà un quadro d’insieme: poi toccherà a giornalisti, magistrati, imprenditori, associazioni antiracket. Ascolteremo tutti e analizzeremo bilanci e contributi di enti e fondazioni. Non ci sovrapporremo all’attività della magistratura, ma dobbiamo intervenire coi nostri strumenti anche per salvaguardare il prezioso lavoro di un’antimafia concreta e sociale che in questi anni ha dato i suoi frutti. Un risultato che è messo a rischio dalla mutazione del fenomeno: il nostro obiettivo è provare a capire come sia potuto accadere che l’antimafia finta e vuota abbia fatto anche più danno della stessa mafia”.

Da Sciascia al caso Saguto. Un fenomeno paradossale, quello che adesso diventa tema d’indagine per la commissione, ipotizzato prima di tutti da Leonardo Sciascia, autore del profetico e celebre fondo sui professionisti dell’Antimafia: locuzione oggi attualissima, quando sono trascorsi poco meno di trent’anni dalla pubblicazione di quel contestatissimo editoriale sul Corriere della Sera. In attesa delle audizioni, infatti, i tavoli dei parlamentari di Palazzo San Macuto sono già occupati da decine di recentissimi articoli di giornale che raccontano la cronaca di quello che passerà alla storia come l’annus horribilis dell’antimafia, travolta non solo dalle polemiche ma soprattutto dalle indagini della magistratura. L’ultima in ordine di tempo è quella che ha colpito Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, la zarina che per anni ha amministrato i beni confiscati a Cosa nostra. Per la procura di Caltanissetta si è macchiata di abuso d’ufficio, corruzione e concussione: all’ombra della “robba” dei boss aveva creato un cerchio magico fatto di favori, prebende e raccomandazioni. “Avrei voluto che Libera si accorgesse del problema nato sulla gestione dei beni sequestrati, prima che arrivasse la magistratura”, ha detto Franco La Torre, figlio di Pio, il parlamentare comunista assassinato da Cosa nostra, che ha appena lasciato l’associazione dopo essere entrato in polemica con don Luigi Ciotti.

Sempre da Caltanissetta è arrivato il primo pesantissimo colpo alla credibilità dell’imprenditoria antimafia siciliana. Da più di un anno infatti i pm nisseni indagano per concorso esterno a Cosa nostra Antonello Montante, presidente di Confindustria sull’isola, delegato per la legalità di viale dell’Astronomia, uno dei frontman della riscossa antiracket degli imprenditori siciliani.

Indagini e arresti: l’annus horribilis dell’antimafia. Un settore, quello confindustriale, che più di tutti ha utilizzato i vessilli antimafia negli ultimi anni, e che viceversa adesso vede alcuni dei suoi leader travolti dalle inchieste. Si va da Salvo Ferlito, dimessosi da presidente di Ance Sicilia (l’associazione dei costruttori edili di Confindustria) dopo una condanna a tre anni per truffa, a Ivo Blandina, nominato commissario degli industriali di Siracusa quand’era già indagato per truffa alla Regione Siciliana (dopo il rinvio a giudizio ha lasciato l’incarico), fino al caso di Francesco Domenico Costanzo, il patron della Tecnis autore di vibranti moniti: “La legalità per un imprenditore è responsabilità sociale e dovere morale”, diceva prima di finire ai domiciliari nell’inchiesta sulle tangenti Anas.

Ha già rimediato una condanna a quattro anni e otto mesi, invece, Roberto Helg, l’ex presidente della Camera di Commercio di Palermo che per anni ha spiegato di essere in prima fila contro il “pizzo” e l’usura, poi “incastrato” mentre chiedeva una tangente da centomila euro a un commerciante: un’estorsione in piena regola, come quelle che diceva di combattere ogni giorno. L’elenco dei vip antimafia finiti nei guai dopo aver tenuto una condotta quasi peggiore rispetto a quella dei boss è insomma ormai sterminato, ed è per questo che pochi mesi fa lo stesso don Ciotti aveva lanciato l’allarme. “L’antimafia – diceva il fondatore di Libera – è ormai una carta d’identità, non un fatto di coscienza. Se la eliminassimo, forse sbugiarderemmo quelli che ci hanno costruito sopra una falsa reputazione. L’etichetta di antimafia oggi non aggiunge niente. Anzi”. Uno spunto raccolto dalla commissione Antimafia che adesso indagherà sulla stessa antimafia: sembra una boutade, un errore, un paradosso. E invece è solo il prologo della triste degenerazione di un fenomeno, nato sul sacrificio di pochi uomini coraggiosi, mai come oggi così poco rispettati.