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L’antimafia dei fatti. E delle chiacchiere.Tante chiacchiere!

Questa è l’Antimafia dei fatti cui mi onoro di appartenere”. Per due giorni, il ministro Maroni ha ripetuto questa frase come se fosse un mantra. Il motivo? L’arresto di Antonio Iovine alias “o’ ninno”, boss del clan dei Casalesi, latitante da oltre 10 anni.

Comprensibile la soddisfazione dell’inquilino del Viminale, non solo perché si è tolto dalla circolazione un pericoloso criminale, ma, soprattutto, perché la cattura di Iovine, dal suo punto di vista, mette la parola fine alla polemica scoppiata con l’autore di Gomorra che, qualche giorno prima aveva parlato dei presunti legami tra i “Padani” e la ‘ndrangheta.

L’arresto di “o’ ninno” è stato un colpo di scena degno di un giallo, un aiuto tanto provvidenziale da insinuare più di qualche dubbio sulla “causalità” del blitz.

Maroni ne ha approfittato subito. Lui che ha catturato 28 dei 30 latitanti più ricercati (chi non lo ricorda in mimetica e anfibi mentre sfonda porte?) si è subito precipitato a Napoli a complimentarsi con i suoi “collaboratori” della Squadra Mobile per l’ottimo lavoro svolto. Per uno che si è sempre vantato di non aver bisogno di scendere al sud per combattere la mafia deve essere stato un sacrificio non da poco scendere nella “città della monnezza”. Almeno ha mostrato buon gusto nel non indossare la solita pochette “verde nordico” che immancabilmente lo accompagna in ogni uscita pubblica.

Nella sua escursione in Terronia però Bobo non era solo. Anche un altro esponente di spicco di questo governo ha fatto la sua comparsata nel palazzone di via Medina che ospita gli uffici della Questura. Si tratta di Angelino Alfano, il Guardasigilli, che, se è possibile, era ancora più entusiasta di Maroni nel festeggiare la cattura di Iovine. Ha dispensato sorrisi e pacche sulle spalle a tutti i funzionari e magistrati che gli capitavano a tiro per poi, al colmo dell’euforia, dichiarare che “l’attuale crisi di governo compromette l’antimafia dei fatti”.

Sarebbe troppo facile ricordargli dei “bolscevichi” Dell’Utri Cuffaro come delle parole diIgnazio Gagliardo, il pentito di Racalmuto (Ag) che lo accusa di avere preso voti dalla mafia.

Mentre osservo il gaudio dei due ministri, non posso fare a meno di domandarmi cosa sia in realtà questa “antimafia dei fatti” di cui tutti si riempiono la bocca. Da come ne parlano, sembrerebbe che da quando è in carica questo esecutivo, siano stati adottati tanti e tali mezzi da schiacciare le criminalità organizzata in un batter d’occhio.

Per capire la realtà dei fatti basta fare un passo fuori dalla luce dei riflettori e raccogliere le “voci di dentro” ossia quelle di magistrati poliziotti che ogni giorno sono impegnati nella lotta alla criminalità organizzata. Donne e uomini che quotidianamente contrastano clan ricchi e feroci con i pochi mezzi a disposizione. Perché, è bene sottolinearlo, l’Antimafia dei fatti è prodiga solo dichiacchiere.

Il primo a evidenziare le gravi difficoltà in cui versa la Procura è lo stesso coordinatore della DDApartenopea, Federico Cafiero de Raho, uno che da 19 anni è sul campo. Subito dopo l’incontro con Maroni e Alfano, il magistrato ha affidato ai taccuini dei cronisti la speranza che “agli applausi del Parlamento per la cattura di Iovine faccia presto seguito una riflessione sulle risorse da impiegare nella lotta alla criminalità”.

Meno diplomatici sono i Pubblici Ministeri dell’antimafia, quella vera. “Allo stato attuale – confidano- non è possibile pagare gli straordinari al personale amministrativo e questo crea delle carenze di organico, difficili da colmare. Capita spesso, infatti, di ritrovarsi a fare da soli le ore piccole senza nemmeno l’ausilio di una dattilografa”. Hanno promesso che a gennaio i fondi saranno assegnati. Speriamo. Non meno preoccupante è il dato sui mezzi a disposizione degli inquirenti. Basti pensare che alla DDA partenopea il numero di auto blindate in uso ai magistrati non è sufficiente. Forse Belpietro potrebbe “prestare” la sua scorta in attesa di tempi migliori.

Non meno grave è la situazione per quanto riguarda le forze dell’ordine. I tagli decisi dal governo, quantificati in 34 milioni di euro per la sola Polizia, hanno causato una mancanza di equipaggiamento. Quando qualche tempo fa fu segnalato dagli stessi operatori della Questura di Napoli che il tipo di giubbotto antiproiettile in dotazione agli agenti in servizio non solo non era conforme allo standard richiesto per garantirne la sicurezza ma il numero di “protezioni” disponibili era insufficiente rispetto alle reali esigenze.

La risposta dell’antimafia dei fatti fu una circolare il cui contenuto, in sostanza, può riassumersi in “fate attenzione”. Non è l’unico caso.

Racconta un ispettore dei “Falchi”, la speciale sezione terrore della mala dei vicoli: “Abbiamo chiesto di rinnovare il parco moto perché alcuni mezzi hanno oltre 400,000 km. Sai qual è stata la risposta? Ci hanno mandato i caschi nuovi”.

Anche l’Arma dei Carabinieri non se la passa bene. Sebbene l’etica militare vieti le lamentele in pubblico, tuttavia, non sono pochi i brontolii sulla mancanza di risorse a disposizione delle varie Compagnie presenti sul territorio.

Ecco l’antimafia dei fatti… loro.

Luigi Sabino

(Tratto da Il Fatto Quotidiano)