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L’altro virus: così le mafie assalteranno l’economia italiana

L’Espressoo, 17 Aprile 2020

L’altro virus: così le mafie assalteranno l’economia italiana

Il lockdown non è stato un affare per i clan. Ma sono pronti a ripartire. Tra traffici di cocaina sfruttando al tecnologia, business nella sanità privata e shopping di aziende in crisi. In Italia ma anche nel resto d’Europa

DI FEDERICO MARCONI E GIOVANNI TIZIAN

17 aprile 2020

Il Coronavirus e l’emergenza. Il silenzio e il caos. Eccoli gli alleati perfetti delle cosche, il concime che darà vigore alla malapianta mafiosa nell’economia tramortita dalla crisi sanitaria. Certamente con il lockdown alcune filiere illegali, lo spaccio di droga per esempio, hanno risentito del blocco, e la gestione dei latitanti si è fatta più rischiosa. Ma i clan guardano avanti, al mondo dopo la pandemia da Covid-19. Ridono e sognano lauti profitti osservando le macerie, che questa volta non sono accumuli di pietre e cemento come dopo un sisma. Sono detriti sociali ed economici, di aziende sane sull’orlo del fallimento, di interi settori economici in sofferenza di liquidità, di famiglie impoverite e perciò ricattabili: chi è ostaggio dei bisogni è facile preda delle richieste dei clan, dall’acquisto di voti per le prossime elezioni all’offerta di lavoro nero o illegale.

L’attenzione dei reparti investigativi è massima. La procura nazionale antimafia guidata da Federico Cafiero de Raho coordina il monitoraggio, pronta a cogliere i segnali di questa strategia. Al momento gli occhi sono puntati sui comparti economici che la pandemia non ha frenato: la filiera agro-alimentare, l’approvvigionamento di farmaci e di materiale sanitario, il trasporto su gomma, i servizi funebri, le imprese di pulizia, la sanificazione e lo smaltimento di rifiuti. Settori in cui l’impronta delle cosche era già visibile prima del contagio.

EMERGENZA SENZA REGOLE
Non c’è stata catastrofe nazionale a cui non è seguita la speculazione mafiosa. Dal terremoto dell’Irpinia a quello dell’Abruzzo passando per l’Emilia. Lo stato di emergenza indebolisce e in alcuni casi sospende le procedure antimafia. Cosa accadrà con la pioggia di miliardi destinati dal governo alla ripresa economica? «È necessario che la deburocratizzazione dell’assegnazione dei finanziamenti pubblici si accompagni a un potenziamento di controlli successivi», spiega Giuseppe Borrelli, procuratore capo a Salerno, «che permettano il recupero di quelli finiti in mani criminali. Sono necessarie regole precise che escludano dalla possibilità di beneficiare di questo flusso enorme di denaro soggetti che abbiano dimostrato in passato di essere interlocutori inaffidabili della pubblica amministrazione». Inoltre, avverte Borrelli, «il superamento dei vincoli burocratici e del sistema dei controlli è stato sempre utilizzato, da una certa parte degli apparati tecnici della pubblica amministrazione per avvantaggiare interessi privati che finiscono molto spesso per coincidere con veri e propri sistemi criminali».

E i boss al 41 bis potrebbero riuscire a sfruttare l’emergenza coronavirus I governi Berlusconi hanno vissuto di stati di emergenza. L’insofferenza per le regole, per i controlli, visti come nemici supremi della ripresa. Il leader della Lega Matteo Salvini, ha invocato la sospensione del codice degli appalti, la fine di ogni lacciuolo in nome della semplificazione fatta di condoni, pace edilizia e fiscale. In pratica maglie larghe per i furbetti. E per gli imprenditori delle cosche. Il rischio è che si aprano autostrade per chi vive di scorciatoie.

Anche nella sanità alla prese con il Covid, ora che alcune regioni hanno coinvolto i laboratori medici privati per l’analisi dei tamponi che diagnosticano la positività o meno al virus. Nessun bando, ma solo avvisi pubblici degli assessorati. Così si riducono all’osso i tempi di ingaggio, ma anche le verifiche sulla proprietà delle strutture, un segmento della sanità spesso finito al centro di inchieste della magistratura antimafia. Al momento non sono emersi collegamenti con le cosche. Gli investigatori stanno monitorando. Anche perché la sanità è tradizionalmente un settore strategico per cosa nostra, ’ndrangheta e camorra. Mafie che hanno a disposizione imprenditori nelle cliniche private, ma anche boss e affiliati laureati in medicina e farmacia. I farmaci, appunto. Le ultime indagini della magistratura mostrano l’intraprendenza dei padrini, soprattutto della ’ndrangheta, nel commercio di medicinali. Investimenti in farmacie delle grandi città. E società in paradisi fiscali. Secondo il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, la ’ndrangheta privilegerà nell’immediato «una strategia conservativa», che definisce «di “ordinaria operosità silente”, mirata a mantenere inalterato il peso della struttura criminale nei settori tradizionali in cui è inserita da alcuni decenni, tra i quali rientra l’ambito sanitario e i servizi collegati».

VOTI IN SALDO
La crisi sanitaria acuirà le disuguaglianze. I poveri saranno sempre più poveri. E i welfare paralleli si rafforzeranno. Soprattutto nei quartieri delle città dove la presenza delle cosche è capillare. La spesa a domicilio organizzata dai clan, come accaduto al quartiere Zen di Palermo, è solo uno dei segnali. Alla base c’è l’offerta di lavoro nero che le mafie offrono sul territorio. Le cosche operano come agenzie interinali. Raccattano braccia per conto di imprenditori “rispettabili”, che con il blocco delle attività sono stati costretti a chiudere bottega e cantieri. Questa massa di persone rimasta senza paga dipenderà dall’offerta dei capi mafia. I loro diritti saranno barattati con favori concessi dai clan.

«Anche le famiglie in difficoltà, i lavoratori in nero e stagionali potrebbero rappresentare un ulteriore bacino d’utenza come nuova manovalanza a basso costo. La miseria è un moltiplicatore di ricattabilità», ha scritto il capo della polizia Franco Gabrielli in una lettera inviata ai 194 paesi che aderiscono a Interpol. Le cosche provvederanno al sostentamento dei disoccupati, offriranno la spesa ai più bisognosi. Poi passeranno all’incasso. Per esempio in campagna elettorale. Il voto avrà un prezzo anche dopo la pandemia. Le competizioni per scegliere i governatori delle regioni sono state spostate a data da destinarsi. Di certo, però, si svolgeranno in un’Italia cambiata, prostrata, più povera. E al suk del voto i diritti costeranno ancora meno.

L’AZZARDO IN QUARANTENA
Il lockdown imposto dal governo per limitare i contagi ha fermato l’attività delle sale slot e delle sale bingo. Le puntate dei giocatori si sono così spostate sui giochi online. Basta un click sul proprio smartphone per giocare centinaia di euro, in pochi minuti, comodamente seduti sul divano. Parliamo di un giro d’affari che prima della pandemia valeva circa 110 miliardi l’anno, quasi il 6 per cento del Pil. Troppi soldi per non destare l’interesse delle mafie. I clan mafiosi si sono ritagliati «una posizione di predominio rispetto agli operatori del circuito legale», ha scritto la Direzione Investigativa Antimafia nell’ultima relazione.

Ma con la chiusura delle sale da gioco voluta dal governo, il business delle scommesse si sta spostando su internet: secondo le stime della Gan, fornitore di quasi il 50 per cento dei maggiori operatori di gioco italiani, dall’inizio dell’anno le attività di gioco online sono cresciute dell’8,4 per cento rispetto al 2019. Dopo la chiusura della prima “zona rossa” a febbraio, l’incremento è stato del 13,9 per cento. La crescita maggiore è quella del poker dove sono stati spesi 78,1 milioni di euro nei primi tre mesi del 2020. Avviso Pubblico, l’associazione antimafia che riunisce gli enti locali, è stata la prima a lanciare l’allarme sull’aumento del gioco online: «A fronte di 408 siti legali che operano in Italia con concessione dei Monopoli, nel solo 2018 ne sono stati bloccati 1.042 illegali», si legge nel vademecum pubblicato dall’associazione. Quasi tutti erano gestiti dai manager dei clan, spesso con base a Malta o in Romania.

DROGA E PANDEMIA
Se con il gioco d’azzardo continuano a fare soldi, le mafie potrebbero avere qualche problema con la gestione dei latitanti. La pandemia, infatti, ha provocato un cortocircuito nella gestione di alcuni ricercati. C’è chi è stato catturato nei giorni del lockdown. E altri più blasonati che temono di fare la stessa fine. Con le strade vuote e i posti di blocco triplicati è più facile individuare i vivandieri che devono prendersi cura dei boss in fuga. Chi ha bisogno di cure quotidiane è Francesco Pelle, “Ciccio Pakistan”. Il capo clan calabrese vive in sedia a rotelle ed è scomparso dai radar per la seconda volta in dieci anni. Sarà difficile per lui fare a meno dell’assistenza dei fedelissimi.
Anche se non nell’immediato, il business più florido per le cosche potrebbe subire qualche rallentamento: la droga. I paesi da cui importano non sono ancora stati colpiti duramente dal coronavirus. Così la produzione continua. Come anche il trasporto, via mare: al momento sono bloccati solo alcuni canali. «Nei porti italiani e spagnoli in questi giorni è tutto fermo, ma non in quelli di Belgio e Olanda: abbiamo riscontrato che da Rotterdam e Anversa la cocaina continua ad arrivare e a uscire», racconta all’Espresso Stilian Cortese, comandante del Gruppo Operativo Antidroga di Roma della Guardia di Finanza.

Se pure i traffici dovessero interrompersi, la droga non mancherebbe per almeno tre mesi: «Ci sono tonnellate stoccate, 5-6 solo intorno alla Capitale». Chi ha depositi sarà più rapido a ripartire: in piena pandemia a Gioia Tauro, in un terreno della cosca Molè, la polizia ha scovato oltre 500 chili di coca. E di certo non è l’unica riserva immagazzinata dalla ’ndrangheta.

Il problema principale è quello delle trattative per nuove importazioni. «I trafficanti, se l’epidemia andrà avanti, non potranno che affidarsi alla tecnologia e alle comunicazioni criptate», continua Cortese. Dispositivi all’avanguardia che, negli ultimi anni, i narcos che operano in Italia hanno cominciato a esportare nel mondo, «spesso vantandosene».

Non si ferma nemmeno lo spaccio. Il via vai nelle piazze è diminuito, gli introiti sono calati, ma i pusher non smettono di vendere. Se sono aumentate le consegne a domicilio dei servizi di e-commerce, sono aumentate anche quelle degli spacciatori. La compravendita avviene per messaggio, ma anche nei parcheggi dei supermercati o in fila per la farmacia. «L’epidemia è un’occasione per chi vende stupefacenti: sono tagliati peggio, e i prezzi aumentati», conclude Cortese.

BASTA UN CLICK
La droga arriva direttamente a casa anche attraverso i market del dark web. Bastano pochi clic per farsi spedire, con metodi sicuri, cocaina, eroina, Mdma, metanfetamine, Lsd. Negli ultimi mesi, gli annunci di stupefacenti sono aumentati: soprattutto quelli in “corona sale”, con i venditori che invitano a affrettarsi per comprare al solito prezzo, prima che aumenti per via dell’epidemia. I black market sono 25, tra cui il più gettonato è l’Empire. E ci si trova di tutto: non solo droga, ma anche armi, documenti e banconote false, prestanome di conti corrente, codici di carte di credito, medicine.

Questi market online non sono direttamente gestiti dalle mafie, «ma li utilizzano, senza dubbio: le armi e la droga non possono che essere fornite che da loro», dichiara Giovanni Reccia, comandante del Nucleo tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza. Lo scorso novembre, le indagini delle Fiamme Gialle hanno portato alla chiusura di uno dei più importanti mercati del dark web, il Berlusconi Market, e all’arresto dei tre ragazzi italiani (tra i 19 e i 25 anni) che lo gestivano. Il giro d’affari dei market è di oltre 180 milioni di euro l’anno: tanti soldi, che fanno gola organizzazioni criminali. «Se durante la pandemia registriamo una diminuzione dei fenomeni illeciti “di strada”, le autostrade del dark web sono diventate vie privilegiate dalle mafie finanziarie, legate principalmente ai traffici di droga, di armi e di esseri umani. La criminalità organizzata 2.0 investe moltissimo nelle nuove tecnologie», ha scritto Franco Gabrielli nella lettera all’Interpol.

Da fine febbraio, sui market sono spuntati gli annunci di chi vende clorochina, l’antimalarico in via di sperimentazione per combattere il Covid-19: 50 pillole in media costano l’equivalente di 60 dollari in bitcoin.
Ma gli annunci più presenti sono quelli di chi vende mascherine, di ogni tipo. I prezzi variano dai 2 dollari di per una chirurgica, ai 5-6 per le FFP2 e le FFP3. «Più nei compri, meno paghi: e ne abbiamo quante ne vuoi, ma affrettati perché gli ordini sono tantissimi», spiega uno dei venditori contattati dall’Espresso. «Il marchio Ce non manca», rassicura un altro mostrandoci le foto. «Poi puoi rivenderle al triplo su Ebay o Craigslist», precisa un terzo. «La spedizione? Anche in due giorni», assicurano. Da dove? «Cina, Belgio e Stati Uniti».

IL BAZAR DELLE AZIENDE
Che il futuro sia pieno di insidie lo dicono i numeri. Prendiamo il settore turistico-alberghiero, pezzo pregiato della nostra economia: il lockdown porterà a un crollo del fatturato delle srl del settore (72.748 società che nel 2019 hanno fatturato 37,8 miliardi di euro) pari a 16,7 miliardi di euro, secondo le stime del Consiglio e della Fondazione nazionale dei commercialisti. I clan hanno inquinato da tempo questo settore. E non avranno difficoltà a intercettare le aziende moribonde. A quel punto sarà sufficiente mettere sul piatto un’offerta decente in contanti per rilevare un vecchio albergo a gestione familiare e traformarlo in un cinque stelle di massa. «La criminalità organizzata sarà in condizione di poter rilevare numerosi rami di impresa in crisi. Si pensi alla situazione disperata in cui numerose imprese del Sud verranno a trovarsi al termine di una stagione turistica che vedrà, verosimilmente, l’assenza di tutta la clientela straniera», spiega il procuratore Borrelli.

Il denaro liquido di cui sono in possesso le mafie aspetta solo di essere riciclato, cioè ripulito dalle croste dei traffici. «L’enorme pericolo che corre l’economia legale è collegato proprio al desiderio delle più evolute componenti mafiose di dare attuazione all’ambizioso, ma purtroppo realizzabile, progetto di dar vita ad un vero e proprio “sistema bancario parallelo” a quello legale», osserva Giuseppe Lombardo.

Anche per gli imprenditori della movida sarà un tracollo: locali notturni, pub, discoteche. Per i boss l’occasione di monopolizzare un settore in cui erano già forti è ghiotta. Lo stesso vale per l’edilizia, il trasporto, l’agro-industria. Ambiti ampiamente controllati dai clan, che rischiano di essere monopolizzati.

Per arginare quello che sarà un assalto silenzioso, l’unica strada è obbligare le banche a prestare denaro con più facilità. E vigilare sulla destinazione dei fondi pubblici destinati alla ripresa. Per farlo «è necessario coinvolgere i prefetti, il loro ruolo nel monitoraggio delle aziende è stato fondamentale per la ricostruzione post sisma in Emilia e per altre situazioni in cui le mafe hanno tentato di inserirsi. Hanno bloccato centinaia di aziende sospette», sostiene Lucia Musti, della procura generale di Bologna alla prese con l’appello del maxi processo contro la ’ndrangheta emiliana, dibattimento sospeso per Covid . «La mafia si mimetizza, difficilmente spara, entra nell’impresa sana e se la prende», chiosa Musti.

EUROPA IN VENDITA
Chi crede che sia una questione solo italiana, però, sbaglia di grosso. La crisi economica riguarderà tutta Europa. Germania, Olanda, Belgio, Francia e Spagna sono i territori in cui la ’ndrangheta calabrese ha investito centinaia di milioni di euro. E sfrutta intensamente i porti di Rotterdam e Anversa: i collaboratori di giustizia raccontano di squadre di operai all’interno degli scali che garantiscono l’esfiltrazione della cocaina. Gli ultimi dati investigativi rivelano la presenza di oltre 600 affiliati alle mafie nella sola Germania. Un esercito di boss e imprenditori radicati da tempo nel tessuto nord europeo. Qui a partire dagli anni ’80 i padrini della ’ndrangheta dell’Aspromonte sono diventati proprietari occulti di alberghi, ristoranti, locali e discoteche. Hanno dislocato le proprie basi nei lander al confine con i Paesi Bassi. In un rapporto di qualche anno fa del Bka, l’Fbi tedesca, sulla ’ndrangheta in Germania i detective elencavano centinaia di locali in mano alle cosche di San Luca sparse tra Lipsia, Duisburg e Berlino. Il metodo di infiltrazione nell’economia locale analizzato nel documento è identico a quello usato nel nostro paese: l’acquisizione di società pulite per riciclare le ricchezze del narcotraffico. Con una differenza rilevante: il sistema giudiziario tedesco non è in grado di intercettare queste presenze economico-finanziare, considerate in fin dei conti come normalissimi investimenti. Denari che non destano particolare allarme sociale.

«È arrivato il momento di uniformare le legislazioni degli Stati dell’Unione, dando vita ad un vero Codice antimafia europeo, per una evoluta ed efficace azione di contrasto, che possa spingersi oltre i tradizionali ambiti territoriali e beneficiare sempre più del ruolo riservato all’Eurojust, l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale», riflette Giuseppe Lombardo, che prosegue: «Il territorio, nel prossimo futuro, sarà sempre meno elemento caratterizzante delle condotte associative di tipo mafioso. La ’ndrangheta del terzo millennio spingerà sempre più verso evolute forme di “glocalizzazione criminale”, che troveranno attuazione attraverso la diffusione su scala mondiale di modelli culturali deviati, idee criminali e stili di vita propri delle realtà locali di origine. Ecco la contaminazione mafiosa di cui bisogna aver paura. Mi preoccupa una comunità internazionale che dimostra ancora di non aver capito appieno che l’operatività del sistema mafioso non è soltanto un problema dell’Italia».