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L’ALLARME DELLA CHIESA.NAPOLI E’ IN GINOCCHIO E LA POLITICA NON FA NIENTE

L’ALLARME DELLA CHIESA.NAPOLI E’ IN GINOCCHIO E LA POLITICA NON FA NIENTE. ANNI DI PROMESSE,DI GIURAMENTI,DI IMPEGNI .TUTTE PRESE IN GIRO.LA BORGHESIA TACE E LE ISTITUZIONI SONO ASSENTI.TUTTO FUMO E NIENTE ARROSTO.CHIACCHIERE E TABBACHERE ‘E LEGNO E NELLE STRADE SI SPARA E SI UCCIDE.PREFETTO,SINDACO,AUTORITA’ VARIE,TUTTI ASSENTI ED INADATTI.E’ SOLO LA MAGISTRATURA A MUOVERSI MA NON TOCCA AD ESSA RISOLVERE I PROBLEMI PERCHE’ IL SUO COMPITO E’ ALTRO: QUELLO DI PERSEGUIRE I REATI QUANDO SONO AVVENUTI.IL DOPO  E NON IL PRIMA.  

 

Il Mattino, Sabato 20 Aprile 2019

Sepe: «Camorristi peggio di belve Napoli dolente, la borghesia parli»

di Pietro Perone

L’ingresso del Duomo è vestito a festa con la carta delle uova di Pasqua, mentre frotte di turisti si districano tra giacigli di clochard, sacchetti di immondizia, lavori eternamente in corso e parcheggiatori abusivi che restano padroni del territorio anche a pochi metri da casa del cardinale Crescenzio Sepe.

Boom di visitatori e sangue davanti a una scuola, un messaggio terribile. I suoi sacerdoti sono in campo nei quartieri del centro, come in quelli della sterminata periferia anche per supplire spesso ai vuoti dello Stato, ma non sembra che basti.
«Si spara all’impazzata, dovunque. Non sono uomini degni di tale nome, peggiori delle belve, perché quelle pure si danno delle regole a protezione dei cuccioli. Un tempo anche i delinquenti seguivano certi principi, si fa per dire: avevano rispetto per i bambini e anche per le donne. Ma i criminali di oggi non sono neppure degni dei loro padri. Sono degli sconfitti, che credono di essere forti e potenti con le armi, con la violenza, con lo spargimento di sangue. Sono destinati a non lasciare traccia significativa di sé nella loro vita. Non fanno paura neppure ai turisti che continuano a venire, a onorare Napoli con la loro presenza, ammirandola, apprezzandola nonostante le ferite, amandola. Sono i turisti il nuovo volto e rappresentano la vera ricchezza se siamo capaci di capitalizzarne il valore e l’apporto, emarginando e sconfiggendo le bande della violenza. Per i criminali, dunque, non c’è presente e neppure futuro perché il loro percorso di vita porta al carcere o alla morte. Soltanto rivedendo i loro comportamenti, cambiando e pentendosi possono tornare uomini veri. E la Pasqua, questa, può essere l’occasione propizia se si soffermano sulla Croce di Cristo, simbolo di sofferenza e ingiustizia, ma anche di luce e risurrezione».

Intanto la Chiesa cosa fa?
«A beneficio dei più giovani ci sono gli oratori con le attività sportive e educative, il grande torneo interparrocchiale di calcio, le bande musicali, la formazione nel campo dell’artigianato tradizionale e di qualità. Collateralmente ci sono altre concrete iniziative come la Casa di Tonia per giovani donne che hanno scelto di non abortire; la casa di assistenza per carcerati; il progetto Un farmaco per tutti per l’assistenza farmaceutica gratuita; l’asilo per bambini di famiglie povere, l’assegnazione annuale di kit scolastici a alunni i cui genitori non hanno sufficienti risorse economiche, le tantissime mense che accolgono ogni giorni migliaia di indigenti, la medicina solidale per visite specialistiche a beneficio di chi ne ha urgenza e non può aspettare il turno delle liste di attesa, la Casa per l’assistenza ai malati di Aids, il binario della solidarietà per l’accoglienza e il pranzo nelle ore diurne. Stiamo avviando anche un progetto, in sinergia con privati e istituzioni pubbliche, per il recupero e la fruizione turistica di un certo numero di chiese, non solo della Diocesi, da affidare poi alla cura di giovani in cooperativa che possano fare anche da guida».

Si ha però la sensazione che in questa città, più che altrove, c’è una classe borghese indifferente e silente. Quelli che dovrebbero essere classe dirigente di Napoli o voltano le spalle o sono addirittura complici della malavita.
«Non li vedo coinvolti in prima persona e non mettono a disposizione della società quello che è il loro vedere, il loro modo di fare. Come si fa tenere gli occhi chiusi davanti a tutto ciò? Tra le istituzioni e la Chiesa vi sono realtà, come la borghesia, che devono prendere coscienza della situazione e assumersi le loro responsabilità. Il mio appello è di non farsi più da parte».

La Cei da un po’ si interroga su un ritrovato impegno dei cattolici in politica. È necessario anche a Napoli?
«Qui finora si è camminato in ordine sparso, ma da un po’ di tempo a tutti i livelli, clero e laici, stiamo studiando i modi per intraprendere un cammino comune per il bene della stessa politica. Intanto cerchiamo di operare ad ampio raggio, rivolgendoci alle risorse del territorio, al mondo della scuola, alle varie professioni, alle imprese. Certamente non è tutto e si potrebbe fare di più, ma è necessario fare rete, perché solo così si diventa più forti operativamente e l’esempio è stato il Grande Giubileo per Napoli del 2011».

Per amore del mio popolo non tacerò”, quella lettera dei vescovi campani sul finire degli anni ’80, rilanciata da don Peppino Diana, chiedeva alla politica di ridare una speranza a chi vive nei territori della mafia, speranza mai costruita?
«Quella speranza non è mai venuta meno e l’abbiamo gridata sempre con forza, senza mai tacere. Abbiamo ritrovato quello spirito e quell’impegno ancora nel 2009 con il Convegno a Napoli delle Chiese del Sud e ancora nel 2017, sempre in città, quando i vescovi delle regioni meridionali hanno riflettuto e si sono confrontati con istituzioni e forze sociali sul problema lavoro, domandandosi e domandando quale futuro c’è per i giovani nel Sud. Bisogna dire che qualche traccia è rimasta attraverso una maggiore attenzione verso il mondo giovanile, un maggiore rispetto per il reciproco ruolo, qualche iniziativa attraverso anche l’uso in cooperativa di terreni di proprietà delle chiese locali che stenta a decollare per i tempi della burocrazia».

Si litiga su tutto, la tensione tra istituzioni è altissima. Cosa fa la Chiesa per riportare il confronto su temi concreti?
«Il litigio è indicativo della vivacità del confronto e della pluralità delle idee. Esso, pertanto, può risultare utile e positivo se non si fanno prevalere gli antagonismi personali e si privilegiano le scelte, gli interventi, i fatti. E questo in qualche modo lo si vede, bisogna riconoscerlo, altrimenti prevarrebbero gli ostruzionismi gestionali, finendo nel caos e nella invivibilità. La Chiesa, nella realtà data, sviluppa un ruolo di doveroso rispetto, senza interferire, ma non manca di sollevare questioni e problemi importanti per la vita di tutte le comunità, per cui si comporta, sia pure con opportuna discrezione, come pungolo e stimolo, spingendo così verso un positivo confronto operativo».

L’esempio di don Loffredo alla Sanità è il modello da seguire?
«Don Antonio sta lavorando molto bene, da anni, a favore di quel rione così particolare, e i risultati si toccano con mano, tanto da suscitare l’attenzione, la vicinanza e l’ammirazione di soggetti diversi e delle massime Istituzioni, come dimostrato, di recente, dalla visita del capo dello Stato. Il modello di impegno è senz’altro encomiabile e meritorio e diventa esempio per tutte le persone di buona volontà che hanno a cuore le sorti nel territorio sul quale operano. Se modello da seguire sta a significare modello da esportare non posso dirlo, perché altrove mancano le condizioni e le risorse che sono tipiche di quella parte, certamente interessante, della città. È evidente, comunque, che sono tanti i parroci, i sacerdoti e i religiosi che operano in luoghi altrettanto particolari e non facili e lo fanno con il loro carisma, con il loro temperamento, con i loro tempi e con i mezzi che hanno a loro disposizione; ma lo fanno sempre con efficacia e dedizione».

Tutto chiarito con il cardinale Ravasi sul pagamento di quanto dovuto al Vaticano?
«Non è proprio questo il tema, seppure questo abbia suscitato più interrogativi. In effetti, la questione è più di carattere formale che sostanziale: dovendo lavorare per la nuova convenzione tra Pontificio consiglio di arte sacra e questa diocesi rispetto alle Catacombe, evidentemente si è pensato di mettere mano ad un documento che tenesse conto del lavoro fatto in questi anni, dei successi conseguiti e di definire meglio le modalità gestionali alla luce della esperienza acquisita; ovviamente, mai nessuno ha messo in discussione il futuro dei giovani che con tanto amore e competenza si stanno dedicando alle Catacombe».

Cardinale, siamo alla vigilia di Pasqua: anche la Chiesa a Napoli ha qualcosa da farsi perdonare, avverte delle mancanze in alcuni settori?
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Al di là della volontà e dell’impegno, come persona e come Chiesa c’è sempre qualcosa di cui farsi perdonare perché non fatta per mancanza di tempo e di risorse, nonché per mancanza di condivisione e di collaborazione da parte di altri soggetti. Ecco, se debbo individuare un qualcosa che provoca cruccio, penso ai giovani per i quali si dovrebbe fare tanto, ma questo non può dipendere soltanto dalla Chiesa».

Nella sua diocesi si sono verificati casi di pedofilia: la linea del Papa è quella della tolleranza zero. Si è sempre comportato così?
«Non c’è dubbio che rispetto ad una colpa tanto grave e infamante non si esiti neppure un istante ad agire sul piano della repressione e della condanna, nel rispetto di regole e procedure. Non so se la sua domanda si riferisce a casi concreti, posso però dirle che dopo il mio arrivo a Napoli mi trovai davanti ad una denuncia di pedofilia nei confronti di un sacerdote. Su tale caso vennero assunte le necessarie iniziative e sono state espletate due indagini d’intesa con la competente congregazione della Dottrina della Fede, che poi ha affidato tutta la documentazione al tribunale ecclesiastico di Milano per il conseguente processo. E proprio nei giorni scorsi c’è stata assoluzione per il sacerdote accusato».

Non le chiedo un bilancio, perché resterà alla guida della Chiesa napoletana ancora per un po’, ma ha qualche rimpianto rispetto ai tanti anni vissuti in questa città? Qualcosa che poteva essere fatta e non è stata realizzata?
«Riuscire ad estirpare il cancro della malavita e della camorra. Poco dopo il mio arrivo a Napoli lanciai un grido di denuncia e invitai a deporre, davanti al Crocifisso nelle chiese, coltelli e armi. E la risposta fu significativa, ma la delinquenza purtroppo non è finita, magari si è trasformata, è diventata, ahimè, più giovane e più spregiudicata. Ma è chiaro a tutti che sarebbe stato velleitario se io avessi pensato di debellare, da solo e come Chiesa, la criminalità. A nessuno può sfuggire che le cause e le concause sono tante e anche coperte dalla omertà e, in alcuni casi, dalla necessità di portare a casa un reddito, benché questo non giustifichi assolutamente nessuno».

Il Papa sarà di nuovo a Napoli il 21 giugno per partecipare al convegno dei gesuiti con al centro il tema del dialogo tra religioni. Napoli, al centro del Mediterraneo, si candida a capitale dell’unione tra religioni?
«Vedo questa ipotesi come cosa nobile e possibile. La presenza di papa Francesco a Napoli e l’importante documento, senza precedenti, da lui firmato unitamente al grande Imam, lasciano pensare e sperare che realmente Napoli possa candidarsi a capitale del dialogo interculturale e interreligioso. Per la verità, c’è un precedente che risale al 2007, quando invitai a Napoli Benedetto XVI e proprio in quei giorni, su iniziativa condivisa con la Comunità di Sant’Egidio, convennero a Napoli i massimi capi di tutte le religioni del mondo. Fu un evento straordinario, con risultati importanti e incoraggianti anche rispetto al possibile ruolo di Napoli. Del resto, la nostra città è per vocazione storica e per posizione geografica, oltre che per cultura, la naturale capitale della convivenza tra culture e religioni, rispetto al Mediterraneo e come cerniera tra Mediterraneo ed Europa. Da Napoli, anche questa volta e grazie all’autorevolezza morale di papa Francesco, può partire un grande messaggio di pace e di fraternità tra popoli e religioni».

Sicuramente passerà alla storia anche come il cardinale di “’a Maronna v’accumpagna” ma dopo tredici anni è terminata l’operazione simpatia?
«In questi anni ho cercato soprattutto di essere autentico. Essere poi simpatico, come dice lei, non significa rinunciare all’autorevolezza del ruolo che si ricopre».