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La Quinta Mafia

Quante mafie esistono in Italia?
La DIA ne conta ufficialmente quattro. Forse la quinta è una piovra nuova o forse è solo un “mandamento” di altre tre. Ma troppi forse non servono. Di sicuro esiste e tende i suoi tentacoli a Roma partendo dal fiume Garigliano.
Prima che nascesse Littoria, prima che i veneti scendessero al sud alla conquista della palude, prima di tutto ciò, vi era un’unica grande provincia: Terra di Lavoro. Poi divennero tre differenti provincie divise in due regioni: Caserta, Latina, Frosinone. Il confine nord-sud della Campania e del Lazio. Ma per chi le ha abitate sono sempre state un’unica cosa. Il fiume Garigliano non divide ma unisce da secoli questi lembi di terra tra mare e Appennini.
E’ una terra fertile, ricca di acqua e di origine vulcanica. Da sempre l’agricoltura e l’allevamento sono stati i punti forti dell’economia locale. Da Mondragone le mozzarelle di bufala, dall’agro Aversano pomodori eccellenti, da Fondi un pane unico e frutta a volontà, Formia paese della Pasta Paone e dei frutti del mare. Il sud pontino fu il primo a sperimentare la coltivazione di kiwi in Italia in maniera così massiccia e fruttuosa. Ad oggi è come se in quei posti i Kiwi ci fossero sempre stati e non sono più un frutto esotico. Tante cose accomunano queste terre e ad oggi possiamo dire che la mafia è una di queste.
Accadeva negli anni ’70 che vi fosse a Formia un locale chiamato Seven Up: la più grande discoteca d’Europa. Questo era il locale preferito di Antonio Bardellino: boss della Camorra che inventò Cosa Nuova ovvero ciò che poi i Casalesi misero in atto. Antonio Bardellino, seppur non originario di Formia, la considerava giustamente come una seconda casa: ville, appartamenti, appezzamenti di terreno e tanti affari (non ultimo lo stesso Seven Up che non era di sua proprietà ma era gestito da un suo affiliato). Durante la guerra tra Nuova Camorra Organizzata e Nuova Famiglia (ovvero Cutolo contro Bardellino-Alfieri-Nuvoletta) il sud pontino divenne un luogo di pace dove rifugiarsi e dove trascorrere i soggiorni obbligatori. Non potendo tornare in “patria” il luogo più adatto era un posto non troppo lontano da dove poter continuare a controllare gli affari criminali che aveva in tutta la zona. Nella stessa zona si poteva anche trattare affari con la mafia siciliana e la ‘ndrangata calabrese, entrambe presenti nel sud pontino con gli stessi interessi della camorra: edilizia, traffico di droga, appalti. Gli abitanti del posto all’epoca non erano persone di grandi pretese: quasi tutti di umili origini contadine, dediti al lavoro nei campi. La criminalità organizzata invece guardava avanti, al commercio e alla posizione strategica di quelle zone. Ben presto il cartello criminale di Bardellino iniziò la sua attività di estorsione e usura in tutta la zona del basso Lazio concentrandosi sulla zona litoranea al confine con la provincia di Caserta e sul frosinate. Quando scoppiò la faida interna ai Casalesi il sud pontino fu terra di conquista e parte in causa. L’omicidio di Bardellino iniziò una faida sanguinosa che portò la grande famiglia ,gestita dallo stesso Bardellino, a spaccarsi e i bardelliniani devono scappare a rifugiarsi nella stessa Formia. Il gruppo dei Casalesi (facenti capo agli Schiavone di Casal Di Principe) arriva a pattugliare tutta l’area che va dal Garigliano a Fondi pur di cercare di scovarli ed eliminarli. La famiglia Bardellino però rimane a Formia e continua ad avere un ruolo predominante sulla zona del litorale. Nel frattempo il Seven Up (fallito dopo il crack della società a cui era intestato rivelatasi poi un’espressione dell’economia camorristica) viene dato alle fiamme e muoiono due ragazzi andati a ballare quella sera nel locale mentre una quarantina di presone rimangono gravemente ferite.
La prima indagine che mette alla luce il potere dei Bardellino sulla zona e la loro capacità di “toccare” i rami politici locali è “Formia connection” del 2004. Ernesto Bardellino (già ex sindaco di San Cipriano D’Aversa) viene coinvolto per l’estorsione ai danni di Giovanni Cianciaruso (presidente della cooperativa sociale di Formia “Solidarietà sociale”) ma le indagini non portano a prove certe e rimangono solo indiziarie.
Dagli anni ’90 ad oggi il sud pontino ha visto crescere a propria economia velocemente e senza alcun controllo. Vengono investiti sodi per ipermercati (centro commerciale Itaca-Panorama sopra di tutti, meta di molti casertani e napoletani oltre che degli abitanti locali), negozi di vestiti, discoteche, ristoranti, alberghi, ville e villette, aziende agricole e anche aziende bovine di bufali. La via principale di Formia (via Vitruvio) dove vi erano storicamente i negozi migliori della zona inizia a soffrire una depressione economica forte a causa della concorrenza del centro commerciale e anche a causa dei debiti dei negozianti. Iniziano a spuntare come funghi negozi di vestiti tutti riconducibili ad una stessa azienda con sede a Napoli. Stessa sorte tocca a Latina che ha il suo boom del cemento e dei centri commerciali durante una fase di teorica depressione economica. Anche nel centro di Latina le insegne dei negozi iniziano a cambiare più velocemente di prima. Un lavoro capillare che inizia con usura ed estorsione ma che punta alla rilevazione dell’attività economica in maniera da controllare direttamente l’economia locale.
Il fenomeno dell’usura e dell’estorsione ha delle pieghe spaventose ma più passa il tempo più diminuiscono le denunce mentre rimane stabile il numero di incendi dolosi contro negozi e aziende (l’ultimo in ordine di tempo è contro la Blue Fish , azienda importante di Gaeta, incendiatasi verso la fine di giugno di quest’anno). La diminuzione delle denunce è un dato allarmante perché vuol indicare una presenza oramai accettata passivamente o un controllo delle attività diretto da parte dei clan.
Ma non c’è solo Formia nel sud Pontino. Un altro snodo di traffici e di riciclaggio di denaro sporco è Fondi. La capitale del commercio di prodotti agricoli del sud Italia. A Fondi vi è il MOF, il mercato ortofrutticolo all’ingrosso più grande del sud Italia. A Fondi e nei borghi di Latina vi sono aziende agricole direttamente controllate dai clan che le usano sia come depositi (a volte anche di armi) che come posti dove passare la latitanza o i “soggiorni obbligati”. Sembra che le tre mafie egemoni in Italia si siano “spartite” anche le tipologie di ortofrutta da smerciare: i siciliani le arance, i calabresi i pomodori, i casertani le mele annurche. Ma sono “voci di paese”. Vi è l’ipotesi che il commercio di ortofrutta venga usato anche per far viaggiare insieme alle merci sia armi che droga. Ma sono solo ipotesi non accora accertate. Di certo c’è che quelle volte che le mafie hanno commesso omicidi in zona sono state le uniche occasioni per trovare riscontri effettivi tra ipotesi e realtà. In questo ha contribuito la faida tra i Casalesi e i La Torre a cui ha partecipato il “Gruppo Mendico” di Santi Cosma e Damiano. A questa faida sono infatti ricollegati numerosi omicidi compiuti dal 1990 al 2000 che hanno fatto partire l’inchiesta “Anni ’90”. In particolar modo l’omicidio di Giovanni Santonicola e Rosario Cunto oltre che quello di Alberto Beneduce, ovvero colui che si occupava delle estorsioni per i clan dei Casalesi in tutto il Sud Pontino fino alla Baia Domitia. Per ammissione dello stesso boss La Torre (pentito) vi era un accordo per cui il 50% degli incassi in quelle zone era dei La Torre e il restante andava ai Casalesi tramite Beneduce, ma lo stesso Beneduce iniziò a non rispettare i patti e a sconfinare nei territori dei La Torre. I La Torre gestivano le estorsioni a Cellole, Formia, Scauri, Casteforte, Baia Domitia,Minturno e per accordo spartivano con i casalesi mentre dopo la morte di Bardellino i casalesi misero Beneduce a compiere direttamente le estorsioni in quelle zone facendo irritare i La Torre e sopratuttoi De Falco che puntavano su quelle zone sapendo bene l’importanza economica del sud pontino per i clan.
Formia quindi diviene luogo di caccia per i Casalesi che nella loro faida interna cercano di far fuori tutti i Salzillo (bardelliniani) e i compari. Dario De Simone (pentito) parla di “persone che già abitano a Formia” da mettere insieme per compiere l’operazione. Fa specie pensare alle dichiarazioni di alcuni pregiudicati del sud pontino che denunciarono di esser stati avvicinati da esponenti dei clan locali che , sotto la minaccia di armi, pretendevano di affiliarli in cambio della “liberà” di agire sul territorio (ovvero di continuare il loro lavoro di piccoli criminali locali con la loro benedizione purché pagassero una parte degli introiti ai clan). Il loro potere sulla zona è assoluto se si pensa che non vi sono denunce a carico per i numerosi incendi dolosi avvenuti negli anni (segno di intimidazione ed estorsione) per paura di ritorsioni. Probabilmente uno dei pochi (se non l’unico) che osò alzare la testa fu Ferdinando Di Silvio, pregiudicato locale di origine rom che si occupava di estorsioni, traffico di stupefacenti ed altro: fu fatto saltare in aria con un’ autobomba azionata con un congegno a distanza sul litorale di Latina. Gli unici episodi che fanno riferimento ad una lotta tra clan sono quelli riportati dall’inchiesta “Anni ’90” dopodiché la lunga pace interna e la fazione locale ancora non conosciuta dagli inquirenti (probabilmente i cosiddetti colletti bianchi dell’economia locale e della politica) non hanno più dato segnali che svelassero meccanismi. Quando le indagini vanno a cercare nei meandri dell’economia o della politica si perdono le tracce. Questo è il problema che si ha nel fronteggiare questa mafia di nuovissima generazione: il livello altissimo di assoggettamento della società civile che non porta a denunce e il livello oscuro di azione “dietro le quinte” agevolato da un sistema economico e politico privo di trasparenze, forte di una situazione legislativa italiana che non favorisce i controlli (soprattutto nel campo dei subappalti).
In questa “palude” si intrecciano i clan calabresi e siciliani molti attenti agli appalti pubblici. Basti pensare all’arresto dell’ingegnere Fecarotta, che si è occupato degli appalti per il porto di Gaeta a nome di Cosa Nostra così come fece per il porto di Palermo. La ‘Ndrangheta non fa da meno con la presenza in zona di clan come gli Alvaro, i Galati, gi Ienco e i Tassone. Il clan calabrese dei Tripodo si era addentrato all’interno del MOF di Fondi con sistematiche attività di estorsione.
Questo tipo di Mafia che parte dal Garigliano arriva fino ad Aprilia e Roma dove si intreccia con massonerie e colletti bianchi nel più totale silenzio. Intanto vengono annunciate numerose opere pubbliche lungo tutto il litorale (soprattutto porti turistici-la maggior parte oggettivamente inutili-, l’autostrada o la pedimontana) mentre cala il silenzio sul resto quando è stato accertata l’infiltrazione in passato sia nei lavori per la TAV che per opere pubbliche di vario tipo.
Il cemento non è un affare da poco: spuntano in tutta la provincia cantieri su cantieri a fronte di un’emigrazione lenta e costante di abitanti. Palazzine su palazzine e mancanza di piani regolatori (il sindaco di Latina , Zaccheo, disse che il piano regolatore “è uno strumento oramai vecchio.”..meglio non avere regole insomma) e si cementifica tutto. La provincia ha anche tristi record in fatto di incendi dolosi (soprattutto nella stagione estiva) ma almeno è stata decretata l’inedificabilità di questi terreni per un periodo di 10 anni per combattere il rischio di speculazione edilizia. Il ciclo del cemento richiede manodopera e in questi casi manodopera a basso costo. In queste zone vengono in aiuto le “mafie etniche” di origine soprattutto rumena ed albanese. Mentre si mandano indiani e africani a lavorare nei campi agricoli per il cemento vi è la manodopera dell’est, logicamente sfruttati e schiavizzati da caporali e in larga parte in nero e senza protezioni.

Nel Dossier di Legambiente sulle ecomafie 2007 il Lazio è al quinto posto come regione per illegalità ambientali (dopo le regioni del Sud Italia),al terzo posto per irregolarità nel ciclo del cemento e al nono per il ciclo dei rifiuti. Ma non si preoccupino che per il ciclo dei rifiuti ci stiamo attrezzando a migliorare: ad oggi il Lazio è diventato potenzialmente una nuova Campania con la chiusura (prevista a fine 2008) della discarica di Malagrotta (la più grande discarica d’Europa) si aprono scenari preoccupanti. Se non ci si provvederà ad un piano che contempli il rischio speculativo da parte delle mafie e al suo contrasto lo scenario potrebbe degenerare.

Mentre il processo Spartacus si compie (il primo di una lunga serie) a Latina vi è il primo atto del processo “Anni ’90” che ha poca visibilità ma tanti problemi (non ultimo la distruzione delle intercettazioni sia in versione audio che trascritta per decorrenza dei tempi di custodia o la seconda assenza di seguito di Dario De Simone al processo in qualità di “supertestimone” che invece di presentarsi a testimoniare fa recapitare-in ritardo di tre ore- un certificato medico per “orticaria”).

Mentre la macchina della giustizia fa i suoi primi importanti passi e vince le sue prime battaglie sul lato campano (e nello specifico casertano) nel sud pontino tutto tace, e quel poco che si sente non fa piacere a chi in tutti questi anni si è tappato le orecchie.