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LA MAFIA IMBAVAGLIA LA STAMPA.

 

LA MAFIA IMBAVAGLIA LA STAMPA

 

 

Informazione Contro!

blog per la liberta’ di stampa e la libera informazione

ITALIA Mafia e querele infondate, la libertà di stampa è sotto 

assedio

da il manifesto

ITALIA

 

Mafia e querele

infondate, la libertà

di stampa è sotto

assedio

Giornalismo. Reporter senza frontiere: anche in Italia c’è una 

regressione brutale. Aumenta l’uso delle cause ingiustificate: una 

forma di censura

 

Nella classifica della libertà di stampa nel mondo, stilata da Reporter senza

Frontiere (Rsf), l’Italia ha perso ventiquattro posti ed è scivolata dalla

57esima posizione del 2013 alla 73esima posizione del 2014. Oggi il nostro

paese si posiziona dietro la Moldavia e davanti al Nicaragua.

Per i giornalisti italiani sono aumentate intimidazioni e minacce, colpite le

loro proprietà e le loro automobili. Si parla di atti mafiosi e abbondano

i casi di atti giudiziari infondati o pretestuosi. L’Italia non è da sola. Nella

classifica stilata da Rsf si registra un calo «brutale» della libertà di stampa

in tutto il mondo. I due terzi dei 180 paesi monitorati hanno subìto un

arretramento rispetto al 2013. «Da Boko Haram all’Isis, attraverso i narco-

trafficanti o la mafia, il modus operandi per bloccare la stampa è lo stesso:

paura o ritorsioni», si legge nel rapporto. I Paesi più pericolosi al mondo

per i giornalisti sono l’Eritrea (180esimo posto), la Corea del Nord

(179esimo), il Turkmenistan (178esimo posto), la Siria (177esimo posto), la

Cina (176esimo). Iraq (al 156° posto) e Nigeria (111°) hanno visto la com-

parsa di «buchi neri dell’informazione» sostiene Rsf. La Grecia è al

91esima posizione superata dal Kuwait. La Francia avanza, ma il rapporto

non ha registrato l’attentato terrorista contro la redazione di Charlie

Hebdo. Per il quinto anno consecutivo la Finlandia si è classificata prima.

In Italia Reporter senza frontiere ha censito 43 casi di aggressione fisica,

7 attentati incendiari contro case e macchine e, soprattutto, un aumento

«ingiustificato» delle cause per diffamazione. Questi atti intimidatori sono

passati da 84 nel 2013 a 129 del 2014. L’organizzazione non governativa

definisce la maggior parte di questi procedimenti giudiziari «una forma di

censura» voluta da «personalità politiche elette». Questa situazione è stata

descritta più dettagliatamente dall’osservatorio sui cronisti minacciati in

Italia, «Ossigeno per l’informazione», promosso dall’Ordine dei giornalisti

e dalla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi). Nel 2014 i gior-

nalisti intimiditi, o minacciati, sono stati 421. Nel 2013, i giornalisti

a rischio era pari a 316. Una crescita esponenziale che giustifica il crollo

dell’Italia registrato da Reporter senza frontiere. Complessivamente, dal

2006 al 2015 i giornalisti intimiditi o minacciati sono stati 2192.

E oggi? Sulla home page del sito notiziario.ossigeno.info c’è un contatore

che riporta in tempo reale le denunce pervenute. Nei primi 43 giorni del

2015 Ossigeno ha documentato minacce a 24 giornalisti. Altri 23 hanno

reso noti episodi avvenuti negli anni precedenti. Dal 1 gennaio 2015 è stato

dunque registrato un incremento di 47 episodi. Cliccando nella sezione «i

numeri delle minacce» e poi sui nomi dei giornalisti, emerge una realtà

caratterizzata dalla prevalenza delle querele per diffamazione. Atti che

molto spesso si rivelano infondati.

Le minacce rispondono a varie tipologie: i dati dell’Osservatorio attestano

una netta prevalenza delle querele «per diffamazioni ritenute pretestuose»:

129 casi solo nel 2014, 324 dal 2011. Seguono le querele per insulti (35 nel

2014, 174 negli ultimi tre anni). Poi ci sono quelle per aggressione (38 nel

2014, complessivamente 129), per abuso di diritto (50 e 128).

Ci sono quelle contro anonimi che hanno inviato ai giornalisti lettere con

proiettili (3 nel 2014, 69 dal 2011), le minacce personali (17, 83), intimida-

zioni mediante striscioni e scritte (9 e 74); discriminazioni ed esclusioni

arbitrarie (16 e 52). Non mancano casi di denunce per intimidazioni con

esplosivi (40 dal 2011), minacce di morte (8 nel 2014, 33 dal 2011), spari,

danneggiamenti, avvertimenti, incendi di auto e abitazioni (7 e 27). Emer-

gono anche casi di minacce su Facebook e altri social media (4, 16) e le que-

rele giudicate «pretestuose» da parte dei magistrati (11 nel 2014, 23

complessivi).

Le denunce vengono in maggioranza dal mondo della carta stampata, 262

i casi censiti dal 2011 al 2014, e crescono in altri ambienti

dell’informazione: nella Tv sono 91 in totale. Chi lavora sul web ne ha

denunciati 76. È stato inoltre segnalato un arcipelago di atti ostili e minac-

ciosi che vanno dai furti allo stalking, dalle «perquisizioni invasive» ai

sequestri giudiziari degli archivi, fino alle telefonate minatorie.

Il monitoraggio ha stilato una classifica delle intimidazioni regione per

regione. Al primo posto c’è il Lazio con 82 casi nel 2014, e 257 dal 2011.

Seguono la Campania con 57 e 262 casi complessivi, la Sicilia (43, 162), la

Lombardia (42, 230), Basilicata e Puglia. A seguire tutte le altre, tranne la

Valle d’Aosta dove non sono state ancora registrate denunce.

Il nuovo testo di legge sulla diffamazione all’esame del parlamento rischia

di aumentare le querele e le azioni temerarie di risarcimento promosse

contro giornalisti e giornali con evidenti finalità intimidatorie. Forte è la

polemica contro il diritto di rettifica senza commento che impedisce

all’autore dell’articolo, o al direttore della testata, una vera replica. Tra le

misure più preoccupanti c’è quella sulle sanzioni pecuniarie che dovreb-

bero sostituire il carcere. «Dietro questa facciata – sostiene il neo-

segretario generale della Fnsi Raffaele Lorusso — si punta a introdurre

nuove forme di bavaglio, a cominciare da un impraticabile diritto di retti-

fica, con il chiaro obiettivo di rendere sempre più difficile l’esercizio del

diritto di cronaca. Davanti a queste norme che peggiorano la libertà di

stampa in Italia i giornalisti non resteranno in silenzio».

 

In questo panorama fosco, destinato a ingrigirsi ancora di più, resta da

capire quali sono gli strumenti per difendere i giornalisti precari o free-

lance che rappresentano ormai il 60% della categoria e non possono con-

tare sulle garanzie dei dipendenti. Con la nuova legge sulla diffamazione, la

loro libertà di espressione verrà ristretta ulteriormente. Perché chi guada-

gna «4 euro al pezzo», anche con il nuovo contratto nazionale dei giornali-

sti, oggi è ricco solo delle sue catene.