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La mafia ed il business della sicurezza. E’ assurdo!!!

Ancora un provvedimento antimafia a bloccare una società di vigilanza privata. Stavolta è il prefetto di Roma ad emetteva un’interdittiva per infiltrazione mafiosa, nei confronti dell’azienda Metronotte Città di Roma. La Guardia di Finanza era già intervenuta lo scorso febbraio, eseguendo, su ordine della Procura di Roma, le perquisizioni nella sede amministrativa di Guidonia e nelle abitazioni dei nuovi e vecchi amministratori della società. Tra questi, anche Fabrizio Montali, condannato a 18 mesi di reclusione per usura nel mese di novembre 2013 e in primo grado. Tra i capi di imputazione contestati, anche il riciclaggio di denaro e l’intestazione fittizia di beni. Nel medesimo processo, come imputato, figura addirittura Enrico Nicoletti, ex tesoriere della banda della Magliana. Anche in questo caso, per dribblare le insufficienti norme antimafia in materia, Montali era uscito dalla compagine aziendale.
L’Istituto di vigilanza in questione, come altri su cui insistono forti sospetti di infiltrazioni mafiose (vedasi Sipro http://quannomepare.blogspot.it/2014/09/lamafia-e-il-business-della-sicurezza.html), si sarebbe aggiudicato appalti di rilievo sino ad occuparsi della sorveglianza di importanti palazzi nell’ambito della Capitale, tra cui Ambasciata americana, ospedali, Asl, Banca d’Italia, Rai, Agenzia delle Entrate, alcuni ministeri e  linee metropolitane.
Lo scorso settembre scorso, un’altra società è stata colpita da interdittiva antimafia. L’Ausengineering srl, con sede a Pieve Emanuele (MI), colpita dal provvedimento del Prefetto meneghino, su imput della Dia, per presunti legami dei titolari della società stessa con la potente ‘ndrina Mancuso di Limbadi (VV). La società si occupava dei sistemi di sicurezza dell’Expo 2015.
E’ evidente a questo punto che anche in questo settore, quello della vigilanza privata, la mafia è definitivamente e prepotentemente entrata in gioco. Il punto di svolta, probabilmente, è stato qualche anno fa, quando il governo Berlusconi decise di privatizzare una grossa fetta della sicurezza e da lì, “Panza mia fatti capanna”, avranno pensato gli esperti economici di mafia holding.
A questo punto le interdittive e i sequestri preventivi di istituti di vigilanza affiorano ormai per ogni dove, ripercorrendone qui di seguito alcuni:
  • Aprile 2010, un’interdittiva antimafia alla società di vigilanza del Consiglio regionale della Campania. Il Prefetto di Napoli emette il provvedimento poiché: “Nei confronti delle aziende riferibili ai fratelli Buglione sussistono concreti, univoci elementi di permeabilità e contiguità con la criminalità organizzata e che rilevano, comunque, l’inconfutabile sussistenza nei confronti delle aziende agli stessi riferibili, dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.
  • Giugno 2013, i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza arrestano 23 ‘ndranghetosi. Dall’indagine emergono interessi della cosca, guidata da Nicola Acri e Salvatore Morfò, sempre in merito a questioni di vigilanza privata.
  • Dicembre 2013, i carabinieri del comando provinciale di Livorno, nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Napoli contro il clan della camorra Belforte, danno esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Carlo Chiaese, nato a Marcianise, del ’65, ma residente a Cecina e proprietario fittizio della società di vigilanza “Fedelpol s.r.l.” . I carabinieri procedono anche al sequestro dei beni della “Fedelpol s.r.l.”, in particolare di 5 conti correnti e 4 automezzi. Sempre a Livorno gli stessi militari sequestrano anche beni intestati alla “Silpress Vigilanza s.r.l.”, con titolare Domenico Di Carluccio, di Marcianise del 1965. Sarà arrestato a Caserta.
  • Gennaio 2014, i carabinieri di Aversa (CE) fermano 12 persone in odor di camorra nell’ambito dei Di Cicco. Da indagini coordinate dalla DDA di Napoli, imponevano ai commercianti di Lusciano (CE) i servizi di una società di vigilanza a loro vicina.
  • Gennaio 2014, la Presidente Boldrini chiede la desecretazione degli atti relativi al ruolo di importanti imprenditori della Vigilanza Privata nel traffico dei rifiuti tossici, ritenuti in odor di complicità con la criminalità organizzata.
  • Febbraio 2014, sedici arresti, otto ai domiciliari, con un provvedimento notificato a un indagato già detenuto e altre 27 persone denunciate in stato di libertà. E’ il bilancio dell’operazione ‘Prato verde’ della Dia di Catania, che disarticola una frangia del clan dei Cappello, eseguendo 25 arresti tra la Sicilia, la Lombardia, la Sicilia e la Germania. Tra gli affari al centro dell’inchiesta, oltre al solito spaccio di droga, il ‘guardianiaggio’ di terreni imposto con metodi mafiosi agli agricoltori della Piana di Catania, tramite il quale la cosca controllava il territorio in questione.
  • Aprile 2014, la Guardia di Finanza arresta il prefetto di Benevento, Ennio Blasco, a seguito di un’inchiesta condotta dalla Procura di Avellino per presunti episodi di corruzione relativi a certificazioni antimafia rilasciate a imprese di vigilanza privata facenti capo ai fratelli Carmine e Carlo Buglione, nel periodo tra il 2009 e il 2011 (vedasi notizia dell”aprile 2010). Il prefetto Blasco, per favorire le imprese di vigilanza privata dei suddetti Buglione avrebbe in ipotesi accettato gioielli, viaggi, un’auto con autista per i suoi spostamenti e perfino il pagamento di spese di lavanderia.
  • Luglio 2014, secondo indagini della Dda di Napoli, l’ex direttore del Consorzio unico di bacino delle province di Napoli e Caserta, Antonio Scialdone, durante la campagna elettorale per le amministrative comunali di Vitulazio del giugno 2009, avrebbe promesso a Maurizio Fusco, considerato referente di zona del clan dei casalesi, in quota Schiavone, l’assunzione di alcuni familiari in società di vigilanza privata e in società operanti nel settore della gestione dei rifiuti.
Potrei continuare, ma credo che il quadro sia già abbastanza esaustivo.
Ormai gli uomini e le donne della vigilanza privata sono circa 50mila unità. Persone che vengono sbattute in strada, senza formazione, costrette a lavorare senza sosta giorno e notte, e che rischiano la pelle per mille euro al mese. Per diventare vigilante basta essere incensurati e ottenere il porto d’armi. Non è previsto alcun test attitudinale o psico-fisico, ma solo un corso di quattro ore dentro un poligono di tiro, al termine del quale si diventa automaticamente guardia particolare giurata. Il vigilante, poi, si deve procurare la pistola, che rimane in suo possesso anche in caso di perdita del lavoro.
Molti di questi arrivano anche a togliersi la vita perché non più in grado di andare avanti, stressati e oppressi da un lavoro che non ti consente una vita normale e serena.
Va da se che anche in questo settore a farla da padrone, in maniera devastante, è l’assurda regola del massimo ribasso, prevista negli appalti. In questa giungla, di fatto, le imprese, anche quelle infiltrate e patrocinate dalla criminalità organizzata, continuano naturalmente a fare affari, schiavizzando i lavoratori, portandoli alla fame con contratti di precariato e allo stremo con orari pazzeschi.
Ovviamente a pagare il dazio in tutto ciò sono le aziende linde e pinte, che scontano questa forte ingerenza della criminalità organizzata, probabilmente, costrette ad accontentarsi delle briciole.
Da anni le società colpite da provvedimenti antimafia, pur chiaccherate la fanno franca grazie a una normativa che è un colabrodo. Un semplice ricorso al Tar e una rapida operazione di maquillage, mettendo nel consiglio d’amministrazione figli, nipoti, o teste di legno, sono sufficienti per continuare a delinquere.
Ma gli escamotage non finiscono qui. Molte aziende, per avere un canale privilegiato con Prefetture o Questure, assumono ex appartenenti alle forze di polizia, nella maggior parte dei casi funzionari o ufficiali, cui assegnano ruoli apicali. In questo modo si lavora meglio e le autorizzazioni sono rilasciate più agevolmente dal prefetto. I titolari della licenze, in Italia sono circa 900. Devono essere incensurati e avere cinque anni di esperienza nel settore o avere frequentato un master. Fin qui tutto bene, ma il problema è che dietro al titolare della licenza, spesso, c’è qualcun altro che comanda.
E tutto questo pandemonio mentre le forze dell’ordine chiudono i posti di polizia e gli istituti di vigilanza proliferano.