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La mafia é ormai dovunque,al nord come al sud e nessun territorio é indenne.Chi nega la sua esistenza é un colluso

Ogni tanto qualche inchiesta della magistratura ricorda come la mafia sia ormai penetrata e si sia saldamente ramificata anche al Nord Italia, come essa non sia più solo Cosa Nostra ma Cosa di tutti. Un’organizzazione senza latitudine e senza confini, sempre più evoluta, con una inaudita capacità di infiltrarsi nel sistema degli appalti e di mettere le mani su ingenti somme di denaro pubblico grazie ai contatti giusti, a maglie troppo larghe nei controlli, magari alla connivenza di politici, imprenditori, professionisti e amministratori pubblici.

Secondo la procura di Milano è successo anche con l’Expo, almeno stando all’inchiesta sulle infiltrazioni negli appalti dell’Ente Fiera di Milano e, appunto, di Expo 2015, che la scorsa settimana ha portato all’arresto di 11 persone, con accuse che vanno dall’associazione per delinquere al riciclaggio e alla frode fiscale. D’altra parte è stato subito ovvio che un evento così importante, su cui l’Italia ha deciso sin da principio di investire tanto, rappresentasse un’occasione troppo grande perché Cosa Nostra non provasse ad allungare i suoi lunghi tentacoli.

E’ un tipico caso tipo di colonizzazione mafiosa, che ormai – rincresce dirlo – non sorprende nemmeno più. E’ da anni, infatti, che le grandi organizzazioni criminali hanno imparato a diversificare e a delocalizzare le loro attività illegali, mantenendo un forte radicamento nelle regioni d’origine, dove continuano quindi ad avere un grande potere d’influenza, ma aprendo succursali ovunque, tanto più dove ricche attività produttive, finanziarie, edilizie, imprenditoriali offrono opportunità di grandi guadagni, per lo più illeciti.
Io ho cominciato a dire queste cose anni fa, quando ero ancora pm a Palermo. Più volte ho chiesto di mettere da parte il vetusto luogo comune secondo cui il problema delle mafie sarebbe indissolubilmente legato alla questione meridionale e al sottosviluppo del Sud Italia. Più volte ho denunciato l’espansione degli interessi mafiosi al Centro e al Nord, divenuti territori di elezione per il reinvestimento del denaro sporco proveniente dai traffici illeciti, e ho denunciato l’infiltrazione di Cosa Nostra in ampi settori dell’economia, della finanza e dell’imprenditoria. Purtroppo il mio allarme è rimasto per lo più inascoltato e anzi da alcuni sono stato anche duramente attaccato. I fatti stanno dimostrando ancora una volta che non mi sbagliavo. Purtroppo per miopia, spesso per vera e propria collusione, si è colpevolmente sottovalutato quando non deliberatamente negato quello che già all’epoca era evidente a me e ad altri che ci occupavamo di cose di mafia e cioè che le cosche avevano accantonato i vecchi schemi per evolvere in una organizzazione al passo con i tempi.

La Cosa Nostra di Totò Riina e Bernardo Provenzano non c’è più, e non solo perché è stata decapitata dagli arresti che hanno portato in carcere quasi tutti i boss degli anni Novanta. Oggi c’è un’altra Cosa Nostra, moderna, che ha cambiato strategia d’attacco senza però rinunciare a colpire. E’ una mafia più sofisticata, più istruita. Una mafia finanziaria, degli affari, ai cui vertici siedono insospettabili colletti bianchi. Una mafia che alle armi preferisce gli strumenti dell’alta finanza, che privilegia la corruzione alla violenza, che talvolta rinuncia anche al controllo militare del territorio in favore di una strategia di sommersione, attraverso la quale è più facile sfuggire all’attenzione della magistratura, dei mezzi d’informazione, dell’opinione pubblica. Una nuova mafia che ha allargato il suo raggio d’azione in tutti i sensi, gettando basi ovunque e imparando a cogliere anche quelle opportunità verso le quali una volta manifestava poco o nullo interesse.
Questa mafia – che non è solo Cosa Nostra ma anche ‘ndrangheta, camorra, Sacra Corona Unita – è sempre più borghesia mafiosa. Lo è al Sud, come dimostra la crescita di tanti capimafia che vengono dal mondo della borghesia professionale, e lo è – a maggior ragione – nel Centro e nel Nord Italia, dove la mafia è soprattutto impresa. Così oggi si deve purtroppo ammettere che non esistono più territori incontaminati: le mafie sono in Lombardia e Piemonte ma sono anche in Friuli, in Umbria, nelle Marche. Basti pensare che poche settimane fa il Comune di Brescello, in Emilia Romagna, è stato sciolto per “infiltrazioni mafiose” dopo che sono state accertate forme di condizionamento della vita amministrativa da parte della criminalità organizzata.

Si sta sempre più affermando, insomma, un processo di insediamento mafioso nei territori e nell’economia del centro-nord così ampio e diffuso da poter parlare non solo di ‘colonizzazione mafiosa’ ma addirittura di una sempre più estesa ‘mafiosizzazione’ del Paese. Un processo che è sempre più un affare di classi dirigenti, di quei settori dei ceti dirigenti, nazionali e locali, adusi a ricorrere al crimine per realizzare i propri interessi. Il rischio più grave che si profila all’orizzonte è il compiersi della definitiva saldatura fra economia criminale e sviluppo economico, in un intreccio che rischia di divenire inestricabile, in un processo di commistione e integrazione fra economia legale ed illegale che rischia di diventare irreversibile. Prima che ciò accada occorre correre ai ripari. Se non si vuole correre il rischio di dover dare torto a Giovanni Falcone quando diceva che la mafia in quanto fenomeno umano deve avere una sua storia, sicché come ha avuto un inizio dovrà avere una fine, occorre eliminare ogni forma di convivenza con la mafia, e per farlo è presupposto indefettibile recidere ogni legame della classe dirigente locale e nazionale coi ceti violenti e mafiosi. E fin tanto che non si recideranno tali legami, la sfida sarà improba.