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La lotta alle mafie non si fa con le chiacchiere ed attenzione all’”antimafia a pagamento”

Qualche mese fa alcuni esponenti di associazioni antiracket

ed antimafia in Campania ed in Calabria sono stati arrestati

perché utilizzavano soldi ricevuti dallo Stato per fini

impropri.

Non è, purtroppo, la prima volta, né -temiamo – sarà l’ultima.

C’è troppa gente in giro in Italia che fa antimafia per fare

businnes, per camparci, per costruirsi carriere politiche e

quant’altro del genere.

La vera antimafia si fa rimettendoci di tasca propria, in

maniera volontaria e non utilizzando le sigle sotto cui si

combatte per finalità politiche.

E DENUNCIANDO, DENUNCIANDO, DENUNCIANDO

CON TANTO DI NOMI E COGNOMI I MAFIOSI.

Se non si denuncia, aiutando così magistratura e forze

dell’ordine, è fuffa, aria fritta.

La lotta alle mafie si fa non con le chiacchiere…

In Commissione antimafia riecheggia il

grido di allarme di Cantone, commissario

anticorruzione, sull’”antimafia a

pagamento”

Cari lettori, la scorsa settimana abbiamo tracciato il quadro delle attività 2012/2013 del Commissario per il

coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, ElisabettaBelgiorno, reso in Commissione parlamentare antimafia

il 14 maggio (http: //robertogalullo. blog. ilsole24ore. com/2014/06/11/bilancio-20122013-del-commissario-antiracket-
belgiorno-e-lo-strabismo-istituzionale-per-addiopizzo/).

Tutto fila liscio fino a quando Luisa Bossa, parlamentare Pd ed ex sindaco anticamorra di Ercolano (Napoli) fa

riferimento all’indagine della Corte dei conti su alcune associazioni che avrebbero ricevuto finanziamenti dal ministero

dell’Interno con un’assegnazione che non prevedeva il bando pubblico (quindi altre hanno denunciato quest’anomala

assegnazione).

Agganciandosi a questo dato di fatto, Bossa fa un altro ragionamento: nel sud sono nate più di cento associazioni

antiracket e antiusura, 9 in Calabria, 22 in Campania, 22 in Puglia, 52 in Sicilia: è possibile che queste associazioni, che

dovrebbero essere destinatarie di finanziamenti, si chiede, non sono capaci di fare progetti? Come mai nei

finanziamenti, si chiede Bossa, ritrovo quasi sempre le stesse sigle? Logico, dunque, che l’ex parlamentare chiudesse

l’intervento ricordando che in un recentissimo servizio giornalistico il commissario anticorruzione Raffaele Cantone, a

affermato che «c’è il rischio che l’antimafia sociale si trasformi in un lavoro qualsiasi, una sorta di antimafia a pagamento,

magari anche ben remunerata con fondi pubblici». Davvero, chiede Bossa aBelgiorno, esiste questo rischio di passare

da una fase virtuosa del volontariato antimafia a quella di un professionismo remunerato, magari senza controllo?

A rispondere sono sia Belgiorno che la Presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi.

Per Belgiorno «… benvengano le associazioni. Ben vengano, ovviamente controllate e iscritte. Io non sono dell’idea che

più ce ne sono e meglio è. Ho troppa stima per la professionalità, la competenza e la profondità di un magistrato con la

storia di Cantoneper entrare nel merito. Anche se avrò un giudizio, non mi compete».

Bindi, invece, ritiene «che anche l’associazionismo antimafia abbia bisogno di professionalità e come tale non mi

scandalizzo se queste ricevono il giusto compenso per l’attività che svolgono. Non credo, infatti, che si possa pensare di

mandare avanti organizzazioni, soprattutto quelle che hanno una diramazione su tutto il territorio, senza poter contare su

una disponibilità a tempo pieno di persone che vi ci si dedicano, che lavorano. È evidente che, in questo senso,

dobbiamo anche fare un’operazione che definirei di sano realismo. Se la professionalità diventa professionismo e un

modo per dare lavoro a un ceto dirigenziale, evidentemente i discorsi cambiano. Non possiamo permettercelo in nessun

settore, men che meno in questo, chiaramente».

Insomma, viva l’associazionismo, purché non sia dilettantismo opportunista ma solo sano professionismo. Già, ma chi

controlla la qualità e la serietà? Il dubbio assale ancheBindi che infatti, alla fine del ragionamento, chiede a Belgiorno:

«… Vorrei capire se, al di là delle emblematiche e straordinarie iniziative portate avanti, esista un controllo di qualità sui

progetti e sul loro svolgimento oltre alla valutazione delle ricevute. Voglio capire se esista un organismo che presiede

anche alla verifica del raggiungimento degli obiettivi che i progettisti si sono posti».

Non risponde il commissario ma Letizia Miglio, capo ufficio studi del commissariato. Ecco come: «Vari organismi sono

stati costituiti nel momento in cui è partita la 1083 del 2006: prima di tutto, programmazione, come prevede il

regolamento Ce n. il comitato di sorveglianza, previsto appunto dal regolamento comunitario, composto dall’autorità di

gestione, dagli altri ministeri e dalle altre amministrazioni statali.

Un’altra serie di organismi è prevista dalla normativa comunitaria, tra cui il comitato di valutazione, preposto alla

valutazione dei progetti sottoposti all’autorità di gestione per il tramite della segreteria tecnica Pon previa valutazione

della rispondenza dei progetti stessi a tutti i criteri, veramente notevoli e difficili, tant’è che i progetti vengono elaborati

dall’ufficio, studiati, sottoposti a una serie di approfondimenti, valutazioni e rielaborazioni prima di arrivare al comitato di

valutazione.

Esso è presieduto dall’autorità di gestione, come ha detto il commissario, e composto non soltanto dai vari responsabili

di obiettivo operativo, che quindi si occupano del raggiungimento di quello specifico obiettivo nell’ambito dello specifico

programma. L’autorità di gestione, nel momento in cui è partito il Pon, ha provveduto a costituire tutti i vari organismi che

hanno operato. Naturalmente, ci sono le verifiche sui singoli progetti».

Tutto bello, tutto a norma, tutto nei binari della legge, dei regolamenti, dei sottoregolamenti, dei sottoregolamenti dei

sottoregolamenti ma… Ma quella bestia che si chiama burocrazia tutto confonde e spesso corrompe ed è per questo,

forse, che Bindi, forse stremata, chiede «una scheda e, se non è troppo, sarebbe per noi anche interessante vedere, per

esempio, a campione un progetto, l’iter di tutto, presentazione, valutazione e così via. Questa commissione vorrebbe

accendere una luce, non consentire che qualcuno permetta che si allunghino ombre su questo che per noi è uno degli

elementi di forza della lotta alla mafia. Questo è il nostro obiettivo. Si fugano i dubbi soltanto con la conoscenza e la

trasparenza, a mio avviso, non in altro modo».

Già sarebbe bello che tutti capissimo come funziona, a chi vanno i soldi, come e quanti ma, soprattutto: che risultati si

ottengono con questo circuito che, in parte, diventa un’”antimafia a pagamento”?