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La guerra dello Zen, tra funerali, gommoni, armi e panini: così nasce un clan

Il Fatto Quotidiano

La guerra dello Zen, tra funerali, gommoni, armi e panini: così nasce un clan

Gli inquirenti hanno scoperto che gli uomini d’onore si erano organizzati per dar vita a un nuovo mandamento, costola del “Tommaso Natale”, per controllare la zona nord di Palermo. Grazie a un trojan, è venuta fuori persino una “squadretta” per ripulire il quartiere

di Saul Caia | 28 GENNAIO 2021

Due gommoni bianchi a largo del golfo del porticciolo di Sferracavallo, zona marittima di Palermo, si avvicinano uno all’altro. Qualcuno lancia una fune per legare le due imbarcazioni. Una scena che sembra non dare nell’occhio in quel afoso 31 agosto 2017, ma che non passa inosservata agli uomini dell’Arma dei carabinieri palermitani. Sulle barche, non ci sono comuni bagnanti, ma esponenti di rilievo di Cosa nostra che per sfuggire alle intercettazioni, hanno deciso di incontrarsi al largo e discutere i nuovi assetti della mafia palermitana.
Le immagini finiscono 
nell’inchiesta “bivio” della Procura di Palermo e del nucleo investigativo dell’Arma, che ha portato all’arresto di 16 persone, mostrando come gli uomini d’onore si erano organizzati per dar vita a un nuovo mandamento, costola del “Tommaso Natale”, per controllare la zona nord della città, lo Zen.

Zona Espansione Mafia. Sul gommoni c’è il boss Giulio Caporrino, un uomo d’onore che si considera il “quarto figlio” del padrino del mandamento di “San Lorenzo” Salvatore Lo Piccolo, detenuto all’ergastolo al 41bis. Caporrino è stato reggente del mandamento delle zone di Tommaso Natale e di Resuttana, entrato e uscito dal carcere per reati di mafia, nel 2016 balza agli onori della cronaca per essere stato il “confidente” di Massimo Carminati, “il cecato” del Mondo di Mezzo, con il quale scambiava alcune chiacchiere durante l’ora d’aria al penitenziario di Parma. Al summit marittimo, partecipa anche Giuseppe Cusumano, uomo vicino a Caporrino e che presto avrebbe ricevuto l’investitura ufficiale dai Lo Piccolo per controllare lo Zen.

In passato quel territorio era ricaduto sotto il controllo dei capi di Tommaso Natale, ma essendo una borgata popolare molto ampia, in cui abitano circa 16 mila persone, gli uomini d’onore avevano deciso di affidargli un referente. Da quel momento, gli inquirenti non perderanno un incontro dei mafiosi, monitorando ogni singolo spostamento. Dai pranzi al ristorante “Antica Posillipo” a Sferracavallo, conditi da pasticcini portati dagli autisti di boss, agli infiniti incontri in alcuni bar della zona, fino ai pizzini” scambiati all’interno di capannoni di ditte compiacenti.

I funerali dello Zen sono Cosa Nostra. Ambientali e pedinamenti non bastano agli uomini dell’Arma, che vogliono di più. E così riescono a installare un “virus” nel cellulare di Francesco L’Abbate, braccio destro di Cusumano allo Zen. Da quel momento, si apre un nuovo mondo per le indagini. Vengono ascoltate le conversazioni di L’Abbate e si capisce come controlli in territorio, riscuotendo il pizzo per il boss, arrivando persino a torchiare un piccolo ambulante di “pane ca meusa” (panino con la milza), tipica pietanza palermitana dello street food. Intasca i soldi di agenzia di scommesse, da far recapitare a un detenuto, si interessa dell’acquisto di un appartamento, in cui era stata versata una caparra da 26 mila euro, ma che non aveva ricevuto il benestare degli uomini del disonore dello Zen. Persino la celebrazione di un funerale non passa inosservata. Pur essendo organizzato da una ditta in “odor di mafia”, che appartiene al mandamento di Partanna Mondello, L’Abbate minaccia i becchini, che fanno fare un passo indietro restituendo i soldi. Una parte della somma destinata al funerale è utilizzata per i familiari di un altro detenuto.

L’Abbate aveva anche rimediato allo “sgarro” fatto al genero di Antonino Lauricella, detto ‘Scintillone’, boss di spicco del mandamento di Porta Nuova. Il camionista della sua ditta, che trasportava pesce fresco, era stato derubato da alcune persone dello Zen. Il braccio destro di Cusumano era entrato in azione facendo restituire soldi e furgoncino al genero del ‘Scintillone’, che non si può toccare in alcun modo.

La “squadretta” per ripulire il quartiere. L’indagine non ha mostrato solo gli affari del clan, ma anche i retroscena di una possibile guerra di mafia. La preoccupazione del boss Cusimano è dettata dalla presenza ingombrante di “quattro fanghi”, persone che reputava insignificanti e che infastidivano i suoi affari. “Sto facendo una bella squadretta, queste pistole, queste cose mettergliele nel culo e abbuscare (picchiare, ndr), perché gli ho detto, lo sai che dovrei fare in questo quartiere? Lo dovrei portare a macello. Il dialogo tra Cusimano e un suo affiliato è eloquente, bisogna dare una lezione a quelle persone. “Perché a me mi scoccia sono quattro fanghi, chi gli deve dare confidenza, questi ma lo sai che vogliono che ci arrestano a tutti e prendono campo loro […] che se teli studi due giorni, tutti insieme te li fai, te li mangi (li uccidi, ndr)”.

Armi e giubbotti antiproiettile, comprati a 800 euro, sono pronti. Allo Zen si torna a sparare, di giorno e di notte. Le rappresaglie sono continue. La spregiudicatezza di Cusimano, spiegano gli inquirenti, lo spinge persino a progettare un assalto a un portavalori, come nei film hollywoodiani, con armi ed esplosivi plastici, per un colpo che era stato stimato intorno ai 50 mila euro. Sarà l’intervento delle autorità a evitare il peggio.