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L’evoluzione del metodo mafioso: il caso di Mafia Capitale

La figura criminosa dell’associazione di tipo mafioso trova il suo punto di partenza nella convinzione tra i giuristi e le forze politiche dell’inadeguatezza del reato associativo di cui all’art. 416 c.p. per contrastare il fenomeno mafioso. Si trova un primo importante passo nella regolamentazione con la legge n. 575/65, recante Disposizioni contro la mafia[1]. Bisognerà poi attendere il 1982 con la legge n. 646 e l’introduzione dell’art. 416 bis sulla spinta emozionale degli attentati contro il politico e sindacalista Pio La Torre e il Generale di corpo d’armata dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa.[2] Avviando una più incisiva strategia di repressione, la nuova figura di legge mirava a “colmare una lacuna legislativa […] non essendo sufficiente la previsione dell’art. 416 c.p. […] a comprendere tutte le realtà associative di mafia”[3].

Per una trattazione più approfondita della fattispecie, si rimanda alla lettura dell’articolo “L’associazione per delinquere di tipo mafioso”[4]. Si ricorda in questa sede solo brevemente come il carattere fortemente innovativo dell’art. 416 bis sia stato la descrizione dell’associazione incentrata sul c.d. metodo mafioso[5] e l’innalzamento delle pene edittali previste dall’art. 416 c.p.

In presenza del metodo mafioso, l’ultimo comma dell’art. 416 bis c.p. prevede che la norma incriminatrice si applichi anche alla camorra e ad altre associazioni, comunque localmente denominate. L’assunto ha consentito l’applicazione dell’art. 416 bis c.p. a forme criminali a struttura organizzata non classiche.[6]

La prima finalità, generica, prevede la commissione di delitti e coincide con la finalità propria del reato previsto dall’art. 416: la forza intimidatrice deve comunque rivestire un ruolo di rilievo.

La seconda finalità consiste nell’acquisizione, diretta o indiretta, della gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, ricomprendendo ogni forma di penetrazione dell’associazione nell’economia con l’uso del metodo mafioso.

La terza finalità consiste nella realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri.

La quarta e ultima finalità, inserita dall’art. 11-bis L. n. 356/92, concerne le interferenze nelle consultazioni elettorali.

Da questa breve analisi emerge come le novità siano essenzialmente due: l’eterogeneità degli scopi che l’associazione mira a realizzare, ed il ricorso alla forza di intimidazione, per il conseguimento dei fini propri della medesima.

Da ultimo, è intervenuto il Legislatore con il Disegno di legge n. 2134-S, approvato in via definitiva dalla Camera il 27 settembre 2017 (“Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate”). Gli interventi della riforma hanno modificato il sistema delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, la disciplina dell’amministrazione, gestione e destinazione dei beni e del sistema di tutela dei terzi, coinvolgendo anche il codice penale e il codice di rito, il decreto sulla responsabilità amministrativa da reato degli enti e la confisca c.d. allargata. È intervenuta, inoltre, allargando il novero dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali. Il Legislatore ha inoltre equiparato i reati della criminalità organizzata con i reati contro la pubblica amministrazione.

Tale modifiche si sono rese necessarie al fine di contrastare in maniera più efficace le attività criminose delle associazioni di tipo mafioso. Soprattutto negli ultimi tempi, a fronte di una corruzione sistemica e diffusa e di un clientelismo politico-sociale onnipresente, sempre più si è discusso sia nei Tribunali sia nella Società di proiezioni mafiose nel Centro-Nord Italia.[7]

Nel dicembre 2014, per la prima volta nella storia italiana, il Procuratore Capo di Roma Giuseppe Pignatone riconosce l’aggravate mafiosa ad un’associazione per delinquere composta da politici, imprenditori, funzionari non provenienti dalle regioni storicamente coinvolte con le mafie, contestando diversi reati, quali: associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, riciclaggio, turbativa d’asta, false fatturazioni.[8]

La nuova organizzazione criminale sembrerebbe presentare, secondo le indicazioni date dal suo leader Massimo Carminati in un’intercettazione del dicembre 2012, una fisionomia particolare ricoprendo il ruolo di trait d’union tra il “mondo di sopra” (la politica e le istituzioni) e il “mondo di sotto” (criminalità), perseguendo come finalità “l’infiltrazione del tessuto economico, politico e istituzionale” con l’ottenimento di lavori pubblici in maniera lecita: è definibile come un “mondo di mezzo”, un tramite tra realtà che altrimenti non avrebbero contatti. Le principali attività criminose si articolano:

  • Nel ramo criminale, operante nel campo dell’usura, del recupero crediti con metodi violenti, dell’estorsione e del traffico di armi;
  • Nel ramo imprenditoriale, operante nel settore dell’edilizia attraverso imprenditori che collaborano con il sodalizio; 
  • Nel ramo della pubblica amministrazione, nel quale operano soggetti che rivestono cariche pubbliche di natura elettiva o di governo di enti pubblici e imprenditori, soprattutto nel settore cooperativo.[9]

Le diverse articolazioni dell’organizzazioni sono state volutamente lasciate non comunicanti tra loro, con il vertice a gestirle, affiancandosi da altri protagonisti, posti a capo di ogni settore in intervento tra il “mondo di sotto” e il “mondo di sopra”. L’associazione parrebbe contare, come confermato dai provvedimenti di sequestro, di beni ingenti, tra cui 274 tra immobili e terreni, per un valore complessivo stimato in oltre 113 milioni.[10]

Mediante la caratura criminale riconosciuta, l’organizzazione ha ottenuto di poter rapportarsi in condizione di parità sia con le altre organizzazioni criminali operanti sul territorio romano sia, soprattutto, con esponenti di apparati dello Stato e con esponenti delle forze dell’ordine. Il sodalizio diretto da Carminati manteneva contatti con il clan dei Casamonica, operante nel settore Sud-Est della Capitale, avendo acquisito un appalto per l’ampliamento e la gestione del Campo Nomadi di Castel Romano attraverso la cooperativa ATI 29 Giugno, in un territorio sotto l’influenza dei Casamonica. Mafia Capitale si sarebbe avvalsa della collaborazione di tale clan anche in virtù della natura della popolazione sia dello stesso clan sia delle famiglie ospitate nel Campo, in modo da tenere sotto controllo le problematiche che sarebbero potute sorgere nel rapporto con i nomadi, facendo ricoprire ai Casamonica un ruolo di mediatore culturale. Dalle intercettazioni, è risultato che l’organizzazione diretta da Carminati riscontrava difficoltà nei rapporti con la popolazione nomade nel nuovo campo di Castel Romano: il capo dei nomadi asseriva che l’amministrazione comunale, in cambio del transito di dimora, avesse assicurato indennizzi economici e l’impiego lavorativo per alcuni componenti della comunità. Salvatore Buzzi, affermando che si trattasse di un’estorsione, rifiutava di cedere a tali ricatti e di essere stato previdente nel farsi accompagnare da L. Casamonica: “no perché io gli ho detto ‘guarda L. è venuto a lavora’ lì parla con lui e non me rompe le scatole a me. Io con te non ce voglio proprio parla’ j’ho fatto: tanto nemmeno te capisco quello che dici quindi questo parla la stessa lingua tua ve capite”.[11]

L’inchiesta “Mondo di mezzo” si è concentrata sul far emergere una organizzazione che poggi le basi su un controllo economico assoluto, favorito dagli accordi con le cosche presenti nel territorio. Secondo gli inquirenti, essa risulta aver mutuato dalle tradizionali organizzazioni di stampo mafioso, con le quali ha avuto costanti collegamenti nel tempo, alcune caratteristiche che corrispondono a quegli indici rivelatori previsti normativamente e a cui fa sovente riferimento la giurisprudenza.

 [1] Il Legislatore, in ragione della pericolosità sociale dei soggetti coinvolti, ha previsto che per i soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose possano essere applicate le misure della sorveglianza speciale e del soggiorno obbligato.

[2] E. Ciconte, Storia Criminale, Sovenia Mannelli, 2008, p. 329 e ss.

[3] Proposta di legge n. 1581/1980

[4] http://www.iusinitinere.it/lassociazione-delinquere-tipo-mafioso-332

[5] Il Legislatore dispone che si tratterà di associazione di tipo mafioso quando “coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che en derivi per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto e di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

[6] Cass, Sez VI, sent. N. 713, 12 giugno 1984, CED – 165261

[7] http://www.iusinitinere.it/il-fenomeno-delle-mafie-silenti-al-nord-9058

[8] “Si individua un’altra associazione, che noi abbiamo definito Mafia Capitale che presenta caratteri di originarietà e di originalità. Originarietà perché è un’associazione romana, senza collegamenti con le altre organizzazioni meridionali classiche, con cui però ha rapporti su un piede di parità. Originalità perché ha caratteri suoi propri, diversi da quelle delle altre organizzazioni classiche meridionali […] questi caratteri di orginalità proprio dal fatto di essere romana”

[9] Informativa Ros Reparto Anticrimine p. 296 e ss.

[10] ELSA Napoli – ELSA Roma, Diritto Penale d’impresa: approfondimento normativo e indagine giurisprudenziale, Padova, 2015

[11] Informativa Ros Reparto Anticrimine p. 242

 

fonte:http://www.iusinitinere.it/