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La Corte dei Conti: la mafia investe nell’edilizia e nella grande distribuzione

L’allarme lanciato dalla Corte dei Conti nella relazione di controllo sulla “Gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata” fotografa il nuovo business della mafia.

La Corte ha osservato che le attività economiche su cui investono maggiormente le organizzazioni criminali sono quelle “edilizie, immobiliari, commerciale e la grande distribuzione”.

Il settore edilizio “è il più aggredito” segnala la Corte “poiché permette di investire e riciclare somme ingenti con una certa facilità”. Il campo immobiliare “fa da sponda naturale agli investimenti nelle costruzioni, creando una rete che va dalla produzione alla vendita del bene”.

Ma il crimine organizzato, rileva la Corte dei Conti, punta anche e soprattutto sul commercio perché “la grande distribuzione consente di investire in noti franchising grandissime quantità di denaro, che diventa difficilmente rintracciabile e riconducibile alle mafie; i proventi illecitamente accumulati non sono utilizzati solamente nel comparto strettamente commerciale della grande distribuzione ma, anche, nella costruzione di centri commerciali e strutture affini”.
L’indagine della Corte si sofferma anche su altri aspetti e sottolinea che circa la metà dei beni confiscati alle mafie, ben il 52, 6 per cento,  resta inutilizzata a causa della lentezza delle procedure: “in media” ci vogliono infatti “dai 7 ai 10 anni”, per giungere alla confisca definitiva e poi finalmente all’utilizzo del bene.
Le mafie, negli ultimi anni, “hanno sviluppato tecniche più raffinate relative all’occultamento dei beni, attraverso reti, spesso fittissime, di prestanome. Inoltre la malavita non investe solo nella propria terra di origine e, pur essendo il numero delle aziende confiscate al sud pari circa il quadruplo di quelle confiscate al nord, si rileva una tendenza crescente all’espansione dei propri interessi verso quest’area del Paese e, ancor più, oltre confine”.
Questa “extraterritorialità” della criminalità organizzata – osserva la Corte – “fa sì che le confische dei beni diventino sempre più complesse; accade, di sovente che per uno stesso bene, ne siano comproprietarie più persone per cui maggiore è il numero dei cointestatari e maggiore sarà la quantità dei processi da eseguire; più cause dovranno essere svolte e, conseguentemente, il termine per giungere alla confisca si presenterà come una sorta di chimera.”
Per questo — conclude la Corte — è “improcrastinabile la necessità che il ministero per i Beni e le attività culturali si doti di un archivio informatico nazionale, dove raccogliere i dati dei beni storico-artistici dei quali si perdono le tracce tra i vari musei, sovrintendenze e gallerie d’arte”.

Maria Loi

(Tratto da Antimafia Duemila)