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La camorra e i padroni del Veneto orientale

La camorra e i padroni del Veneto orientale

di Alessia Pacini e Francesco Trotta

sabato 3 AGOSTO 2019

Il 19 febbraio 2019, Polizia e Guardia di Finanza, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia sequestrano beni per un totale di 10 milioni; mettono in atto 9 provvedimenti tra obbligo di dimora e divieto di esercitare la professione di avvocato; e, infine, eseguono 50 misure cautelari, tra cui 3 ai domiciliari. L’elenco degli indagati nell’operazione “At least”, però, non finisce. In tutto sono 82 le persone coinvolte in un’inchiesta che fa luce su quella che è considerata una vera e propria “gomorra veneta”. L’epicentro che sconvolge la terra del Doge è Eraclea, comune che si affaccia sulla laguna adriatica, con poco più di dieci mila abitanti, località balneare che vive principalmente di turismo.

Il procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi, ha sottolineato il fatto che per la prima volta in Veneto una cosca, seppur facendo riferimento al noto Clan dei Casalesi, “si era organizzata autonomamente”. La struttura criminale – secondo l’indagine degli inquirenti – si è formata a metà degli anni Novanta, quando nel Nordest la Mafia del Brenta veniva sgominata e lasciava un vuoto di potere criminale, riempito poi da altri malavitosi. A capo di questa organizzazione, secondo gli inquirenti, stavano Antonio Buonanno, Raffaele Buonanno – quest’ultimo imparentato con il capo Francesco “Ciccotto ‘e mezzanotte” Bidognetti – entrambi residenti in Campania, e Luciano Donadio, anche lui di origine meridionali ma da anni trasferitosi proprio a Eraclea. Il gruppo criminale, che inizialmente poteva contare su altri personaggi di Casal di Principe e dell’agro aversano, si è pian piano sviluppato, interagendo e integrandosi con altri malavitosi e soprattutto con individui apparentemente puliti, soprattutto locali; gente veneta, insomma, che non si sarebbe fatta remore a far affari illeciti, diventando di fatto tassello fondamentale di una cellula camorrista, che nell’arco di due decenni si è impadronita del Veneto orientale. E una lunga serie di gravi reati testimonia la pervasività e la sua capacità criminale: estorsione, usura, bancarotta fraudolenta, contraffazione di valuta, emissione di false fatture, truffe e truffe aggravate ai danno dello Stato, riciclaggio e auto-riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, rapina, ricettazione, sottrazione fraudolenta di valori, traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, intermediazione illecita di manodopera, detenzione illegali di armi, danneggiamenti e incendi. In poche parole: controllo del territorio. Fatto assai grave, che si abbina a quanto affermato dal Procuratore Bruno Cherchi, quando spiega che parlare di mafia in Veneto significa anche parlare di una “criminalità strutturata e penetrata nei settori economico e bancario”. In effetti, stando a quando emerge dalle indagini, all’utilizzo della violenza e alla commissione dei reati più “vistosi” – come lo spaccio e la gestione della prostituzione lungo il “Terraglio”, la strada che collega Mestre a Treviso (attività illecita spesso collegata solamente alla malavita dell’Est) – corrispondevano anche le potenzialità imprenditoriali del gruppo criminale, capace di coinvolgere commercialisti, funzionali pubblici, direttori di banca e, appunto, imprenditori. Sottolineiamo quest’ultimo aspetto per far comprendere il ruolo chiave dei “veneti”: se non ci fossero stati loro, probabilmente i criminali non sarebbero diventati così potenti da creare una cellula mafiosa in grado persino di intessere legami con l’apparato istituzionale.

Il legame con la politica. “In più, in meglio”, si legge oggi sul sito internet dell’ormai ex sindaco di Eraclea, Mirco Mestre, 44 anni. E ancora: “Credo che la mia città possa rappresentare il paese in cui i cittadini siano felici di vivere. Non sono un politico ed il mio impegno nasce dalla sincera determinazione di poter aiutare il mio paese. Per far ciò abbiamo deciso di rimboccarci le maniche e formulare questa nostra proposta per dire a tutti oggi si cambia!”. Mestre è tra gli arrestati del 19 febbraio. Il mondo dell’amministrazione pubblica di Eraclea, quindi, si sarebbe incontrato con quello dei Casalesi nella pratica del voto di scambio. Secondo le indagini la cellula camorrista sarebbe riuscita a fare affari d’oro con l’edilizia lungo la costa adriatica, accaparrandosi permessi, in cambio dell’elezione del sindaco di Eraclea. Sempre il Procuratore Bruno Cherchi ha affermato: “L’arresto del sindaco di Eraclea, Mirco Mestre, rappresenta il primo caso in Veneto di voto di scambio, accertato nel corso delle elezioni comunali del 2016”. Mentre però il sindaco viene messo in carcere e il vice, Graziano Teso è indagato, la maggioranza al comune non vuole lasciare il proprio posto di potere, sottolineando che l’amministrazione sia in realtà estranea dalle attività mafiose di cui è accusato il sindaco.

Tra gli arrestati del 19 febbraio anche Denis Poles, direttore di banca che avrebbe lasciato via libera ai presunti mafiosi, operando sui conti societari, omettendo sistematicamente di segnalare le operazioni sospette e concordando persino i prestanome da utilizzare. Il nome di Poles è finito alla ribalta poiché si sarebbe rivolto nel 2002 direttamente al gruppo criminale per recuperare una valigetta che gli era stata rubata dalla macchina, in cui c’era la tesi di laurea della fidanzata. Efficientissimi sono stata i casalesi di Eraclea, in grado di far riavere a Poles la valigetta in ventiquattro ore, come annotano gli inquirenti nell’ordinanza di arresto.

Un altro Poles, questa volta Graziano, è stato coinvolto nell’indagine. L’imprenditore veneziano di settantanni è una vecchia conoscenza delle cronache giudiziarie locali causa il fallimento delle sue società per cui già nel 2013 si sospettava l’interessamento da parte della criminalità organizzata. Poles, insieme alla figlia e alla moglie, aveva creato una holding, attorno alla quale gravitavano altre undici società, costruita su debiti bancari; tutti soldi mai restituiti: un bancarotta da 7,5 milioni. Nel suo impero c’era anche l’Hotel Victory, che l’allora sindaco Graziano Teso avrebbe cercato di vendere in cambio di autorizzazioni edilizie e concessioni. Le società di Poles, secondo la Procura, erano in parte controllate da Luciano Donadio e sodali. Attraverso i prestiti ad usura il gruppo criminale avrebbe ottenuto il controllo anche di altre aziende, i cui titolari in certi casi dapprima vittime, si sarebbero poi trasformati in complici del “sistema”, come nel caso – secondo la magistratura – di Giorgio Minelle, titolare di Soluzione Mipa a Padova, che dopo le minacce e la cessione della sua attività a Donadio per i debiti insoluti, si sarebbe rivolto insieme a Vittorio Orietti di Galzignano, al gruppo criminale per farsi dare centomila euro dall’imprenditore Domenico Chiapperino.

Scrivono gli inquirenti:«Di quest’ultima famigerata e assai temibile organizzazione criminale [Clan dei Casalesi, ndr.] il sodalizio in questione ha riprodotto in queste terre i metodi violenti ed intimidatori, le strutture organizzative e i fini illeciti nei più diversificati ambiti illeciti imponendosi, in breve tempo, come compagine criminale assolutamente egemone nei confronti delle preesistenti formazioni locali, sia quelle che costituivano i residui della banda Maniero sia i gruppi successivamente costituitisi prevalentemente nel settore del traffico di stupefacenti e nell’attività di sfruttamento della prostituzione. Per ottenere questo risultato il sodalizio si è fin da subito accreditato come formazione incondizionatamente disponibile alla commissione di qualsivoglia violenza con uso di armi ed esplosivi.[…] Negli anni successivi il sodalizio mafioso ha accresciuto la sua nomea

non solo negli ambienti delinquenziali ma anche in vasti settori, imprenditoriali e non, della

comunità locale tanto da divenire il ricettacolo di richieste di occuparsi – con modalità

ovviamente estorsive – della riscossione di crediti o di attività di ritorsione e punitive ovvero

di proteggere da legittime richieste di pagamento gli imprenditori che si sono affidati al

sodalizio stesso».

Altro nome illustre nell’inchiesta è quello di Annamaria Marin, la Presidente della Camera penale veneziana, difensore di Luciano Donadio, al quale avrebbe fornito informazioni su indagini e arresti. Ma non solo: a prender parte a queste operazioni “mafiose”, secondo la Procura di Venezia sarebbe stato anche Moreno Pasqual, della Polizia di Stato, che avendo accesso alle banche dati di pubblica sicurezza, sarebbe riuscito a passare informazioni riservate.

Non mancano all’interno del sodalizio personaggi già noti alle Forze dell’ordine, come Angelo di Corrado, consulente del lavoro, e Michele Pezone, già colpito in passato da provvedimenti di confisca. Sorprende – ma non troppo – che all’interno dell’organizzazione avesse un ruolo apicale il venetissimo Christian Sgnaolin, titolare dell’azienda “Imperial Agency”, che si occupa di sicurezza sul lavoro e nel caso dell’assenza di Donadio, gestiva gli affari dell’associazione criminale.

Troviamo scritto nell’ordinanza di arresto: «Questa inquietante presenza criminale, sviluppatasi nel corso dello scorso decennio e consolidatasi negli ultimi anni, è tuttora viva è vegeta ancorché potata in alcuni dei suoi rami più spinosi attraverso indagini collegate condotte da questo Ufficio».

Come ci ha candidamente ammesso una signora incontrata ad Eraclea. “Io ho ancora paura, perché ne hanno arrestati parecchi, ma molti altri li vedo ancora passeggiare tranquillamente in giro…”.

 

Fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it