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Italia in crisi, arriva la mafia: così le cosche fanno affari sfruttando la pandemia

Il Fatto Quotidiano

Italia in crisi, arriva la mafia: così le cosche fanno affari sfruttando la pandemia

La criminalità organizzata, sfruttando l’emergenza Covid, è riuscita ad attaccare l’economia legale come mai era successo. E anche fornendo un welfare” parallelo alle famiglie in difficoltà. Le indagini di Scico e Dia e le testimonianze delle famiglie dei quartieri poveri avvicinate dalle cosche

di Pietro Mecarozzi

Al di là di ipotesi e proiezioni statistiche, la criminalità organizzata durante la pandemia è riuscita ad attaccare l’economia legale come mai era successo. Il riciclaggio di denaro attraverso l’acquisizione di quote o intere imprese in difficoltà, il ritorno dell’usura, appalti affidati in modalità emergenziale che fanno gola alle imprese riferibili alla criminalità organizzata. E quel “welfare” criminale, l’assistenzialismo alle persone in difficoltà economica, per creare consenso nei quartieri più poveri.

I mesi del primo lockdown, e quelli a seguire di restrizioni comunque pesanti, hanno generato una contrazione economica che ha messo in crisi privati e imprese, piccole e grandi. In questo contesto, chi ha enormi disponibilità finanziarie sono i clan, pronti ad entrare nell’economia pulita sfruttando le enormi lacune assistenziali pubbliche. Come dimostrano i dati elaborati dal dossier dello Scico, il Servizio centrale di investigazione della criminalità organizzata della Guardia di Finanza, tra maggio e luglio 2020 si sono registrati 13 mila atti di compravendita di aziende e quote societarie sospette, per un totale di 22 miliardi di euro. Un dato enorme, in un momento di scarsa liquidità. Ma è tutto il primo periodo della pandemia in Italia a registrare un andamento anomalo delle compravendite. A marzo i soggetti che hanno venduto e comprato azioni, quote, intere imprese, sono stati 2.312, ad aprile in calo (1.633). Da maggio a luglio sono cresciuti fino a 5.665 i soggetti che hanno acquistato e venduto partecipazioni societarie e imprese. Si tratta di operazioni di acquisizione in un momento critico per l’impresa italiana, a corto di liquidità per gli effetti della pandemia.

Per quanto riguarda i beni sequestrati, invece, la Guardia di Finanza tra marzo e settembre ha svolto accertamenti patrimoniali nei confronti di oltre 4.300 persone. Il risultato è stato il sequestro di beni mobili, immobili, aziende, quote societarie e disponibilità finanziarie per un valore di circa 1 miliardo di euro. In soli sei mesi nelle casse dello Stato sono arrivati ufficialmente 840 milioni di euro.

Poi si è intensificato il rischio di usura da parte dei clan. “Sembrano essere ritornati alcuni modelli di comportamento delle vecchie mafie, al quale si uniscono i moderni business finanziari e commerciali”, spiega un agente della Dia (Direzione Investigativa Antimafia), che preferisce rimanere anonimo. “Durante la pandemia la criminalità organizzata ha fortificato il legame con il tessuto popolare delle città e nel frattempo ha fornito liquidità e servizi alle imprese bloccate dalle restrizioni. Per le mafie non c’è mai stata crisi” continua l’agente. Il dossier dello Scico parla anche di un’usura porta a porta che miete vittime tra le fasce più deboli della popolazione, ma anche tra imprenditori, professionisti e titolari di attività commerciali che finiscono nella morsa degli strozzini. Anche in questo ambito la crisi sanitaria ha fatto lievitare i casi: nei primi sei mesi del 2020 il valore dell’usura è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2019. Ed è diventato il secondo reato per crescita percentuale in Italia: dal primo gennaio 2020 al 30 giugno 2020 l’usura è cresciuta del 9,8%, con 101 delitti rilevati.

A ciò si aggiunge l’aumento sospetto delle finanziarieLibera, nel suo dossier “La tempesta perfetta, raccoglie i numeri del Registro Imprese delle Camere di commercio italiane, con aggiornamento al 31 ottobre 2020: nel periodo gennaio/ottobre 2020 si evidenzia un aumento del 4% rispetto allo stesso periodo del 2019 di nuove imprese codificate secondo il codice Ateco (il codice che deve essere dichiarato dalle imprese nel momento in cui iniziano l’attività) come attività finanziarie e assicurative. L’obiettivo delle mafie è il “dirottamento di fondi neri allo scopo di riciclare i proventi illeciti, tra cui quelli derivanti dal narcotraffico” spiega ancora l’agente della Dia. A rischio infiltrazione sono settori come “la vendita al dettaglio di prodotti alimentari, le attività finanziarie e assicurative, i giochi e le scommesse, i servizi di pulizia e sanificazione e le onoranze funebri”. Non solo: iniezioni di denaro sporco sono state monitorate anche dalla Uif, l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, una sorta di centrale antiriciclaggio che monitora le transazioni sospette. Nel suo dossier la Banca d’Italia sottolinea che le segnalazioni di operazioni sospette (SOS) ricevute dalla UIF nel 2020 sono state 113.187, con un aumento del 7% nel confronto con l’anno precedente. Nel secondo semestre del 2020 sono stati 60.220 gli SOS, con un incremento rispetto al precedente anno del 10,3%.

La criminalità organizzata è entrata anche nel giro d’affari che ruota attorno all’emergenza sanitaria. Soprattutto la ’ndrangheta: qualche mese fa infatti con l’operazione “Farmabusiness” la Procura di Catanzaro ha scoperchiato gli affari della ’ndrangheta che voleva mettere le mani sulle farmacie in difficoltà. Le indagini, dirette e coordinate dal Procuratore della Repubblica, Nicola Gratteri, dal Procuratore Aggiunto, Vincenzo Capomolla e dai Sostituti Procuratori Paolo Sirleo e Domenico Guarascio, hanno riguardato l’operatività della cosca Grande Aracri.

Infine c’è il cosiddetto welfare mafioso. Le testimonianze raccontate a Giustizia di Fatto da alcune famiglie di uno dei quartieri popolari di Marsala: “l’urgenza di portare del cibo sulle tavole e di riuscire a guadagnare il minimo indispensabile ci ha resi oggetto di interesse per le teste di legno delle varie famiglie mafiose, pronti a offrire un supporto immediato con la consegna di beni essenziali, o dilazionato nel tempo con concessioni di denaro”, racconta una persona che vuole restare anonima. Anche a Palermo la criminalità organizzata si era candidata come il punto di riferimento per le famiglie indigenti del quartiere Zen, organizzando una distribuzione alimentare per i poveri durante il primo lockdown del 2020. È quanto emerge nell’ambito dell’operazione “Bivio”, che ha portato all’arresto di 16 persone del mandamento di Tommaso Natale. Tra loro c’è il capomafia palermitano Giuseppe Cusimano, che dimostra come Cosa Nostra abbia riacquistato in questo frangente il consenso popolare sul territorio.