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Inchiesta Tiberio, dopo un ventennio crolla il regno di Cusani

 

Inchiesta Tiberio, dopo un ventennio crolla il regno di Cusani

Martedì 17 gennaio 2017 – 2:08

di clemente pistilli

Corruzione e turbativa d’asta. Appalti pilotati fino a dar vita a una vera e propria associazione per delinquere composta da funzionari pubblici e imprenditori. Un sistema di favori in cui in molti erano pronti a delinquere per ottenere denaro e potere. L’inchiesta “Tiberio” ruota tutta attorno a tale spaccato. Nata a Sperlonga e poi allargatasi sul business importato nei centri dei Lepini, da Priverno a Prossedi. Con un protagonista, il sindaco Armando Cusani, e tanti volti e nomi sconosciuti ai più. Questa è “Tiberio”. Ma le manette scattate all’alba di lunedì scorso, andando oltre le diverse contestazioni di cui si trovano a rispondere i dieci arrestati, sembrano andare oltre e sembrano aver fatto calare il sipario su un certo sistema di potere, su un leader del centrodestra che prima nel suo borgo marinaro e poi nell’intera provincia di Latina aveva fatto apparire possibile tutto, anche partire lancia in resta contro prefetti, giudici e ministri.
I lampeggianti dei carabinieri hanno illuminato la fine del ventennio di Cusani. L’esponente di Forza Italia indossò la fascia da sindaco, a Sperlonga, per la prima volta il 26 aprile 1997, quando era da poco crollata la prima Repubblica e la seconda, quella del sogno berlusconiano, iniziava a dispiegare tutta la sua forza. Una fascia che, di fatto, l’uomo ben presto considerato il ras del gettonatissimo centro balneare non abbandonerà più. Quando non c’è stato lui alla guida del Palazzo c’è stato infatti Rocco Scalingi, sua espressione, e lui in quei momenti aveva un piede in consiglio comunale e l’altro in Provincia, dove lo aveva voluto presidente lo stesso Silvio Berlusconi. Stessa situazione con Francescantonio Faiola facente funzioni.
Un ventennio in cui a Cusani, grazie anche a quel vicino che non ha mai cessato di denunciare gli abusi all’hotel “Grotta di Tiberio”, quello del potente politico, e alle denunce di agguerriti oppositori, come Nicola Reale e come il compianto Benito Di Fazio, i problemi non sono tra l’altro mancati. Tra accuse di abusivismo edilizio e abuso d’ufficio, nella sua struttura ricettiva scattarono i sigilli. Venne alla fine ipotizzata anche la lottizzazione abusiva. L’esponente di Forza Italia finì imputato e poi condannato. E un’altra condanna la collezionò per la rimozione della comandante dei vigili urbani a lui sgradita. Abbastanza per farlo allontanare dalla Provincia di Latina in applicazione della legge Severino.
Tutto però sembrava scivolare su ras Armando. Il Tar metteva dei paletti alle azioni del centrodestra che lui rappresentava? E lui faceva esposti all’allora presidente Franco Bianchi. Il prefetto Bruno Frattasi chiedeva lo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Fondi, simbolo in terra pontina del potere della Casa delle libertà? E lui rispondeva con dichiarazioni al cianuro. I giudici lo processavano e condannavano? E lui si lanciava in altre accuse come nel caso dei giudici Gabriella Nuzzi, Lucia Aielli e Mara Mattioli. Non si faceva problemi neppure a demolire un’esponente di primo piano del Governo del Cav, come fu nel caso del ministro Stefania Prestigiacomo nel braccio di ferro sul futuro del lago di Paola. Fatto fuori dalla Severino, Cusani non si era fatto alcuno scrupolo a tentare l’impresa di ottenere un seggio nell’Europarlamento, alle elezioni del 2014. E a osannarlo erano tanto il numero uno di Forza Italia in provincia di Latina, il senatore Claudio Fazzone, che lo stesso Silvio Berlusconi.
Proprio nel 2014, però, iniziò ad essere chiaro che a Sperlonga l’aria era cambiata. Erano iniziati i sequestri di imponenti complessi immobiliari e le indagini sul cosiddetto piano integrato, una sorta di città bis, stavano prendendo il largo. Qualche imprenditore, vedendo apporre i sigilli al cantiere su cui aveva investito tanto, forse tutto, bussò alla porta della caserma dell’Arma e iniziò a raccontare storie di mazzette, di tecnici e ditte imposti da politici e dirigenti comunali per avere i permessi che la magistratura aveva poi considerato viziati. E tra i nomi che vennero fatti vi fu quello dello stesso Cusani. Ma anche quello non bastò a far scattare gli arresti. Sono arrivati di recente gli avvisi di garanzia e nulla più.
Il “ras” è stato rieletto sindaco e forse deve anche aver pensato che ormai nulla poteva farlo realmente cadere dal suo trono. Non è apparso più di tanto turbato neppure dagli accertamenti avviati sulla cittadina meta di tanti vip da parte dell’Antimafia. I suoi tentativi per salvare il suo hotel e un certo sistema che sembra avesse ormai preso la mano anche ai funzionari pubblici, gli stessi che avrebbero dato vita a un’associazione per delinquere senza neppure avere la necessità di farvi entrare Cusani, hanno però scatenato lo tsunami. E dalle carte con cui sono stati disposti gli arresti emerge appunto una certa concezione della cosa pubblica finita con le manette. Un’inchiesta che rappresenta uno spartiacque nella stessa storia della provincia. Di quella della seconda Repubblica. Di quella in cui vigeva la “legge di Armando”.

fonte:www.h24notizie.com