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Immersione, la rinascita della mafia corporativa

Immersione, la rinascita della mafia corporativa

15 Agosto 2019

di Alejandro Díaz

La strategia dell’immersione è stata la linea adottata da Bernardo Provenzano (Capo storico, morto nel 2016), per Cosa Nostra dopo gli anni di Guerra aperta contro lo Stato italiano, che culminarono con l’uccisione nel 1992 dei principali punti di riferimento dell’antimafia istituzionale, i Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Gli attentati e gli estremi atti di violenza non furono decisi da un momento all’altro. Nella decade degli anni ‘60, mentre a Roma si viveva La Dolce Vita, e la stampa si intratteneva con la sontuosa vita di Gianni Agnelli, Cosa Nostra viveva la sua guerra interna nelle strade della Sicilia, davanti agli occhi del mondo intero. Questi conflitti interni si sarebbero protratti per circa due decenni, fino a quando i Corleonesi, con “Toto” Riina in testa, presero letteralmente il comando sterminando gli avversari. Tra il 1981 e 1983 ci furono oltre mille omicidi a Palermo, capitale della Sicilia, che contava allora con una popolazione di circa 600.000 abitanti. Lo cito per avere un riferimento riguardo una modesta densità di popolazione che per due anni si trovò due omicidi al giorno sulle sue strade.
Questa prova di forza, di violenza che caratterizza la storia di Cosa Nostra si avventò contro lo Stato, quando i suoi rappresentanti cercarono di istituire gli strumenti legali per combattere, non solo la violenza di Cosa Nostra, ma anche le sue connivenze politiche ed economiche. Di fronte ad una tale presa di posizione, Cosa Nostra attaccò direttamente lo Stato, con omicidi, stragi, attentati dinamitardi con autobomba… alcune delle immagini di quegli anni riflettono una zona di guerra, non in un angolo sperduto del terzo mondo, ma nel centro culturale dell’occidente, nella Cattolica Italia.
Ogni scontro comporta una misurazione delle forze e persino una certa parità, dichiarare guerra ad uno Stato è misurarsi con esso, significa equipararsi ad esso.
Tutto questo, in un contesto storico che vedeva avvicinarsi la fine della guerra fredda, la caduta del muro di Berlino, il consolidamento dell’Unione Europea e dell’Euro. La tendenza verso un Capitalismo speculativo e selvaggio avrebbe avuto bisogno di ingenti capitali, ed in questo senso Cosa Nostra, ed i suoi associati contavano su un ingente flusso di denaro proveniente dal traffico di droga pronto ad essere iniettato nell’economia “legale”. Perché, nonostante le provocazioni di Cosa Nostra, i rappresentanti dello Stato italiano di quegli anni, (almeno quelli che avevano interessi da perdere), scelsero di non dichiarare guerra alla Mafia, e addirittura adottarono un atteggiamento collusivo, cospiratore, e complice. È questo lo Stato che scese a patti con la Mafia.

Dopo l’arresto di “Toto” Riina nel 1993, Bernardo Provenzano assunse la leadership di Cosa Nostra, e sommerse l’organizzazione, “Il nuovo rigido ed inappellabile ordine era: fare dimenticare a qualsiasi prezzo l’esistenza della mafia. Bisogna operare nell’ombra…”, come descrisse Andrea Camilleri nel suo libro: “Voi non sapete”.
È possibile che gli abitanti di Palermo si fossero dimenticati di Cosa Nostra? Durante gli anni di immersione, la Mafia, non aveva smesso di riscuotere il pizzo, l’imposta di estorsione che applica nei suoi territori, non aveva smesso di ricorrere al traffico di influenze negli uffici pubblici per ottenere contratti e favori. La Mafia non aveva abbandonato la propria abitudine dello scambio di voti in cambio di favori, non aveva smesso di esercitare la propria pressione su Giudici e Pubblici Ministeri. La Mafia non aveva smesso di interagire con i principali leader politici e religiosi. La Mafia non aveva abbandonato i traffici illegali, il narcotraffico ed il traffico di armi, tra i suoi favoriti. A dimostrazione di tutto ciò, le decine di Consigli Comunali sciolti per “infiltrazione mafiosa”, le sentenze dei tribunali per la “Trattativa Stato-Mafia”, le decine di sequestri di droga, gli scandali del Banco Ambrosiano, della P2, ecc. Quindi… la Mafia non ha mai abbandonato la scena, il suo protagonismo, le sue abitudini, il suo atteggiamento, il suo codice. È stato lo Stato a smettere di cercarli, alleggerendo così la tensione.
Provenzano è rimasto latitante della Giustizia per 43 anni, fino a quando finalmente fu arrestato nel 2006 nella località di Corleone, dove era nato, e dove aveva fondato il suo impero, ed in definitiva il luogo che non aveva mai lasciato. Si è conclusa la trattativa con lo Stato? Oggi il suo posto è occupato da Matteo Messina Denaro, latitante dalla giustizia da 26 anni, e che probabilmente, fedele alle abitudini, si nasconde nel suo paese di origine: Castelveltrano. Dove sei Matteo?
Oggi sappiamo che c’è stata una trattativa tra settori dello Stato e la cupola mafiosa. Una relazione su cui si continua ad indagare: molti si sorprendono, ma la storia della mafia è una storia di dialogo e complicità, non solo di violenza“, dice il giornalista Antonio Nicaso, in www.elindependiente.com 
Cosa Nostra non è solo una “banda di sciacalli”, come disse chiaramente Riina a Loruss; Cosa Nostra è anche un progetto sociale, economico e, in definitiva, politico. Oggigiorno, dopo 30 anni di ardue indagini è possibile comprendere la portata della frase di Falcone su “il grande gioco”. Imprenditori, commercialisti, avvocati, latifondisti, comunicatori sociali, intellettuali, religiosi, servizi di intelligence e sciacalli, ognuno di loro è necessario per dare forma ad uno Stato Parallelo, una struttura gerarchica che permane nel tempo, ramificata in un ventaglio di interessi che mescola il pubblico e il privato, e il legale con l’illegale. Un Sistema Criminale Integrato.

Fonte:http://www.antimafiaduemila.com/