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Il “servitore” dei latitanti mafiosi

Il “servitore” dei latitanti mafiosi

Confisca da 3 milioni di euro contro Pietro Centonze, marsalese. Colpito anche suo cugino Domenico. La decisione è stata presa dal Tribunale di Trapani. Le indagini della Divisione anticrimine della Questura di Trapani e l’analisi finanziaria da parte della Guardia di Finanza

Da Rino Giacalone -20 Settembre 2020

La figura più rilevante è quella di Pietro Centonze, 51 anni. Un nome che da anni ricorre in diverse indagini antimafia. A suo carico una condanna a 2 anni e 6 mesi per avere favorito Cosa nostra marsalese. La confisca dei beni, dopo il sequestro preventivo risalente al 2017, è stata disposta dal Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani, collegio presieduto dal giudice Enzo Agate. A sostenere la decisione dei giudici (a latere Nodari e Badalucco) le risultanze processuali ed anche l’attività di indagine condotta per un verso dalla Procura di Marsala e in particolare dalla Divisione anticrimine della Questura di Trapani, sul versante dei rapporti con Cosa nostra, continui in un vasto arco temporale. Rapporti investigativi coordinati dal primo dirigente Giovanni Leuci. Sono stati ripresi in esame ed attualizzati le indagini antimafia delle inchieste “Peronospera” e “Golem”, dal legame con il boss Natale Bonafede, i fratelli Giacomo e Tommaso Amato, e con Francesco De Vita, all’epoca latitanti, svelati anche dal collaboratore di giustizia Mariano Concetto, sino ad arrivare ai contatti a ridosso del capo mafia tutt’ora latitante Matteo Messina Denaro. Centonze per i giudici è stato infatti a disposizione di Salvatore Messina Denaro, fratello del pluriomicida ricercato dal 1993, per mantenere i contatti tra i Messina Denaro e la cosca mafiosa di Marsala. Disponibilità in un particolare momento caldo. Doveva permettere ai Lo Piccolo di Palermo, mentre erano latitanti, di potere entrare in contatto con Matteo Messina Denaro, anch’esso già super ricercato, attraverso la famiglia mafiosa di Marsala capeggiata da Natale Bonafede, detto “u longu” per via della sua altezza fisica.

Pietro Centonze insomma “servitore” di diversi padroni. Cosa questa che gli ha permesso di accumulare un vasto patrimonio di beni, la confisca gli ha sottratto possedimenti per un valore di 3 milioni di euro. Attività variegate, anche numerose estorsioni, ricondotte anche un periodo in cui Pietro Centonze era sottoposto alla sorveglianza speciale, dalla gestione dei ricavi ottenuti da Cosa nostra nei traffici di droga sino al controllo della collocazione di slot machine e video poker in diversi esercizi commerciali, affare enorme dal quale mensilmente la cosca riusciva a guadagnare 13 milioni di vecchie lire a settimana, dalle ingerenze in affari commerciali, come una famosa torrefazione marsalese, “Caffè del Franco”, realizzata con i proventi di un traffico di cocaina gestito dai latitanti Amato, sino alle truffe nel campo dei contributi all’agricoltura e alla pastorizia, per arrivare allo sfruttamento della prostituzione. A carico di tutti e due i Centonze anche l’accusa, non provata in appello, dell’omicidio di due giovani tunisini.

Una enorme sperequazione dei possedimenti rispetto agli introiti ufficiali è stata poi messa in evidenza dal lavoro investigativo condotto dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Trapani della Guardia di Finanza. Da semplice favoreggiatore di boss mafiosi, per i quali si preoccupava anche di acquistare “abbigliamento intimo” o anche attrezzature per gli esercizi fisici, oppure ancora una cassetta di pregiato gamberone rosso destinato “a u longu”, Natale Bonafede. Pietro Centonze secondo le risultanze investigative è riuscito a compiere una vera e propria scalata all’interno dell’organizzazione criminale mafiosa, da factotum a uomo di fiducia e infine in grado di sedere al fianco dei capi mafia, come il castelvetranese Salvatore Messina Denaro. Soggetti socialmente pericolosi i due cugini Centonze. A disposizione anche della macchina elettorale di Cosa nostra. Come fu nel 2012 quando i boss di Cosa nostra contattati, decisero in cambio di denaro di sostenere alle regionali la campobellese Doriana Licata. Nel mercato di questi voti Centonze arrivò a coinvolgere anche il mafioso trapanese Gianfranco Giannì.
Tra gli atti depositati nel processo per la confisca dei beni anche la trascrizione di una intercettazione che prova la caratura di Pietro Centonze. A lui arrivò la notizia di una richiesta a far ammazzare una persona e che avrebbe dovuto far giungere ai destinatari, gli allora latitanti mafiosi Giacomo e Tommaso Amato. Bisognava far uccidere in carcere un tunisino, arrestato per il delitto di un giovane marsalese, figlio del suo datore di lavoro. Un delitto atroce, scaturito dalle vessazioni sessuali subite dal tunisino. Un episodio che ebbe risalto nazionale e nel corso del dibattimento vennero fuori i risvolti che fino allora i familiari della vittima avevano taciuto e poi negato. Per far uccidere quel tunisino, il padre della vittima si era rivolto agli allora latitanti Giacomo e Tommaso Amato. ai quali Centonze doveva far sapere che quell’uomo ” era disposto a pagare qualsiasi cifra”.
ADAMO LUIGI. … non mi fare dimenticare che c’é uno che vuole
fatta una cosa su commissione! Minchia, ma le persone che cervello hanno?
CENTONZE PIETRO….una cosa su commissione vuole fatta?
ADAMO LUIGI: … è venuto uno che vuole fatto un favore… ma cose fattibili… cose… sono
cose di cent’anni fa… e poi c’é da vedere le persone chi sono
CENTONZE PIETRO: … e chi é?
ADAMO LUIGI: chiddu chi appi ddra u riscursu tannu so figghiu… ’ammazzatu du tunnisinu…
CENTONZE PIETRO:…uh…
ADAMO LUIGI: vorrei fatto un favore… se si può fare io pago qualsiasi cifra… CENTONZE PIETRO: Paga qualsiasi cifra? E che vuole fare? A chi vuole togliere di mezzo?
ADAMO LUIGI…. a quello che gli ha fatto “u riscursu a suo figlio
CENTONZE PIETRO.e non é dentro quello?
ADAMO LUIGI. la dentro stesso
L’ordine di uccidere pare fu dato, ma non venne eseguito perché nel frattempo gli investigatori che ascoltavano fecero trasferire dal carcere dove si trovava, in un altro, il tunisino che doveva essere ammazzato per vendetta. Cosa nostra era pronto a eseguire la sentenza di morte.
Contro Domenico Centonze i giudici hanno applicato la sorveglianza speciale per 3 anni e sei mesi. Quattro anni di sorveglianza per Pietro Centonze. Tutti e due sottoposti per lo stesso periodo all’obbligo di soggiorno a Marsala. E se Domenico Centonze non ha subito confisca di beni, questo provvedimento ha riguardato Pietro ed alcuni suoi familiari: 16 beni immobili (abitazioni e terreni agricoli), 4 beni mobili registrati (auto e moto), 4 società (gerenti, tra l’altro, due bar, due rivendite di tabacchi ed un’attività d’intrattenimento) e 14 tra conti correnti e rapporti bancari di varia natura, per un valore complessivo pari a circa 3 milioni di euro.

Fonte:https://www.alqamah.it/