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Il saluto del Segretario Elvio Di Cesare al Convegno di Fondi del 19 settembre 2014 che celebra i 15 anni di vita dell’Associazione Caponnetto. Quindici anni di lotte, di sofferenze, di pericoli, combattuti senza chiedere ed accettare privilegi dalle istituzioni e dalla politica, in assolute libertà ed indipendenza da tutti e da tutto difese con i denti

IL SALUTO DEL SEGRETARIO, NONCHE’ FONDATORE DELL’ASSOCIAZIONE CAPONNETTO, AL CONVEGNO DI FONDI DI VENERDI’ 19 SETTEMBRE 2014 CHE CELEBRA I 15 ANNI DI VITA DELL’ASSOCIAZIONE
E’ con orgoglio che noi stasera siamo, qui a Fondi, a celebrare i 15 anni dalla fondazione dell’Associazione Caponnetto in Italia.
Con orgoglio perché abbiamo voluto fortemente decidere di celebrarli in quello che è stato il primo campo di battaglia che ci siamo trovati ad affrontare, insieme all’altro di Civitavecchia, il primo a sud ed il secondo a nord della Capitale.
Le due località – Fondi e Civitavecchia – dove ci siamo trovati ad affrontare, facendoci le ossa, i primi, feroci attacchi politico-giudiziari che ci hanno consentito di trovarci faccia a faccia con la realtà esistente nel nostro Paese:
l’intreccio perverso, cosciente od incosciente, fra mafie-politica e pezzi cospicui delle istituzioni.
Dobbiamo a quegli attacchi ed agli autori di essi se abbiamo avuto la possibilità di aprire gli occhi sulla tragedia di questo Paese, una tragedia determinata dall’esistenza delle strettissime connessioni che ci sono, appunto, fra criminalità organizzata e pezzi di quella politica e di quelle istituzioni che appaiono sempre più evidenti anche ai ciechi.
E dobbiamo a quegli attacchi ed agli autori di essi se ci si è offerta l’occasione di comprendere la necessità di privilegiare un “modello” di lotta alle mafie basato tutto sull’INDAGINE e sulla DENUNCIA piuttosto che sulle commemorazioni e sul racconto di fatti passati, collaborando con quelle parti della magistratura e delle forze dell’ordine che, fedeli al giuramento fatto nei confronti dello Stato di diritto, combattono in prima linea contro le mafie, la corruzione, il malaffare.
Noi le prime denunce le abbiamo ricevute proprio da Fondi e Civitavecchia.
I primi insulti li abbiamo avuti da Fondi e Civitavecchia.
Le prime minacce le abbiamo subite proprio da persone provenienti o, comunque operanti. a/da Fondi e Civitavecchia.
Consentiteci di ricordare, con molta sofferenza, a chi ha la memoria corta quella incauta nota che tendeva a delegittimarci e che ha fatto il giro di tutti i palchi nelle piazze del Lazio e di molte emittenti televisive durante un’intera campagna elettorale di alcuni anni fa.
Come pure consentiteci di ricordare, con orgoglio ora, l’esito infausto delle denunce che abbiamo ricevuto proprio da Fondi, esito che, a mò di boomerang, è servito ad accendere i riflettori su una realtà che molti non volevano che venisse a galla, riuscendoci, purtroppo, in parte.
Ci riferiamo, in particolare, al fatto che non tutto degli intrecci fra pezzi della politica, delle istituzioni e del malaffare, secondo noi, si è scoperto e che resta moltissimo ancora da fare per mettere a nudo il “sistema” che attanaglia ed opprime il Lazio, il Basso Lazio, e l’intero Paese.
Non riveliamo un mistero se affermiamo che nel Basso Lazio -ed anche qui a Fondi- ci sono presenti ed attivi molti clan della camorra e ‘ndrine che ritroviamo, poi, anche altrove, compresi soggetti di Cosa Nostra ed anche della mafia
pugliese come dimostra la provenienza del tentato attentato dinamitardo di qualche settimana fa.
Clan, ‘ndrine ed altri gruppi criminali che non è azzardato sospettare che abbiano trovato in loco compiacenze, se non sostegni, di varia natura.
Non a caso noi, prima che iniziassero le inchieste “Damasco”, sollevammo il problema delle “residenze” di soggetti provenienti da altre regioni e che si sono spostati su questi territori.
Qualcuno ci rispose che si trattava di… “persone perbene che si erano trasferite qui per sottrarsi agli artigli della camorra”!
Può anche darsi che per alcuni sia così; può darsi, però, che per altri non sia così.
Certo è che noi, poi, con le notizie che grado a grado andavamo raccogliendo soprattutto con le “visure camerali” – notizie che ci hanno consentito la costituzione di un bagaglio di informazioni invidiatoci da molti -, siamo stati in grado di provare che parte di quanto ci si voleva far credere era inesatto.
E che molti abbiano tentato di farci credere che sbagliavamo e che noi facevamo solo del “terrorismo” che… ” fa scappare i turisti e gli imprenditori ” li abbiamo trovati in più partiti ed in molti Uffici pubblici.
Da qui l’ostilità, la solitudine, le calunnie, le minacce, velate o meno, che noi – ritenuti i più “pericolosi “di tutti gli altri sin dal momento dei primi nostri vagiti perché tutti sapevano che non saremmo stati… “quelli delle commemorazioni “- ci siamo visti costretti a subire.
Soli, quasi contro tutto e tutti.
E qui è nostro dovere dare atto pubblicamente al carissimo Bruno Fiore – il nostro attuale Segretario Organizzativo- di essere stato e di essere uno dei pochissimi – e sottolineiamo, pochissimi a Fondi e non solo, per non dire l’unico all’inizio – ad esporsi affiancandoci ed arrivando a subire, perciò, ben due attentati incendiari.
Altri hanno preferito… , coraggiosamente (si fa per dire) darsela a gambe stando alla larga, restare alla finestra!!!
Facendo, anche se taluni indirettamente, il gioco dei mafiosi.
Perché a Fondi?
Perché a Fondi ci sono state le inchieste giudiziarie ” Damasco” che hanno messo in luce, in parte, certi collegamenti e certi intrecci fra mafie e soggetti della politica e delle istituzioni.
Perché a Fondi c’è stato il “caso” del misterioso suicidio del Comandante della Compagnia della Guardia di Finanza Fedele Conti, arrivato qua da qualche mese e sulle cui cause si sarebbe, secondo noi, dovuto indagare più a fondo.
Perché da Fondi si dipanano alcuni tentacoli che potrebbero condizionare la vita di altri comuni del sud pontino.
Perché la vecchia Procura della Repubblica di Latina non ha inteso vagliare a fondo il contenuto -e procedere di conseguenza- della Relazione della Commissione di accesso nella quale erano presenti molti rilievi a carico di taluni, rilievi che avrebbero potuto, a nostro avviso, contenere profili di rilevanza anche penale, come ad esempio, la mancata richiesta dei certificati antimafia ad imprese impegnate in lavori e forniture pubblici.
Perché ci insospettisce il rifiuto del Governo Berlusconi di accedere a ben 2 richieste di scioglimento dell’Amministrazione Comunale per mafia avanzate dal Prefetto di Latina e dal Ministro degli Interni.
Perché ci inquietano l’assenza di una reazione ed i silenzi adeguati di fronte a tale rifiuto da parte di tutti gli altri partiti, anche quelli di opposizione a
quell’Amministrazione comunale, alcuni dei quali hanno avuto anche l’onere nel passato di gestire la cosa pubblica.
Perché, malgrado quello che è successo, la classe politica, compresa quella che ha gestito, continua a gestire, fatta qualche rarissima eccezione.
Perché, insomma, tutto il vecchio “sistema di potere” è rimasto in piedi, quando, invece, era evidente la necessità di cambiare radicalmente tutti gli apparati pubblici e dello Stato.
E perché, infine, siamo preoccupati – questo è il capitolo più dolente – dell’inadeguatezza degli apparati investigativi provinciali e locali dello Stato, il quale, dopo quello che è successo e succede, avrebbe dovuto mettere in piedi un impianto costituito dai migliori inquirenti del Paese.
Nel Basso Lazio – ed in particolare – in provincia di Latina- noi abbiamo avuto partiti politici che, anziché preoccuparsi dei problemi della collettività, si sbranavano e si sbranano al loro interno per questioni di potere e dove i confini e le diversità fra di essi erano molto labili; prefetti (eccetto Frattasi a Latina e Mosca a Roma) che, anziché occuparsi delle infiltrazioni mafiose e mettere in piedi un’azione di prevenzione
attraverso accertamenti ed “interdittive antimafia ” a tutto spiano, si preoccupavano di non inimicarsi il potere centrale che era talune volte deviato come nel caso di Scaiola, Cosentino ed altri; procuratori della repubblica che al posto di rubricare i reati di mafia come tali li rubricavano come reati ordinari non comunicando nulla alle Direzioni Distrettuali antimafia; dirigenti di Commissariati, comandanti di compagnia, di brigate ecc. che in materia di “indagini patrimoniali e finanziarie” ci capivano meno di quanto chi vi parla capisce di lingua araba.
Apparati, insomma, che facevano acqua da tutte le parti.
Per Fondi noi dobbiamo tutto, se qualche sensibile miglioramento c’è stato nell’impianto investigativo, all’intelligenza ed alla sensibilità del vecchio Comandante provinciale della Guardia di Finanza di Latina, Col. Kalenda, con l’assegnazione alla Compagnia di Ufficiali e Sottufficiali di provata esperienza e conoscenza della materia.
Ma più di tanto non siamo riusciti ad ottenere da tutti gli altri.
Nè si riesce ad ottenere da un prefetto che pure è il massimo responsabile della sicurezza e dell’ordine pubblico in una provincia e che, pertanto, dovrebbe intervenire “PRIMA” e non dopo le sentenze dei magistrati.
Domandate al Prefetto di Latina quante “interdittive antimafia” ha emesso in un anno.
Domandate ai Comandi provinciali ed alla Questura di Latina quante “indagini patrimoniali ” hanno fatto in un anno e che abbiano fatto emergere presenze ed attività mafiose.
Eh, sì, perché oggi quando si parla di mafie si deve parlare di investimenti, di movimentazione di capitali, di appalti, di subappalti, di intrecci societari, di affari economici e non di quacquaracqà.
E di uomini delle istituzioni e della politica che colludono con i mafiosi.
Questa è la mafia oggi e perciò noi parliamo di mafie.
Al plurale.
Eppure i clan erano e sono padroni di tutto. Inchieste come la “Formia Connection ” a Formia e le ” Damasco” a Fondi hanno messo in evidenza, anche se non sono state approfondite come dovevano essere approfondite, pericolosi
collegamenti fra soggetti della criminalità organizzata mafiosa ed uomini della politica e delle istituzioni.
Ci sono scarsa preparazione, scarsa attenzione, un uso irrazionale delle forze disponibili (vale per tutto citare l’esempio dell’esistenza dei due Commissariati della Polizia di Stato a Formia e Gaeta, a 6 chilometri l’uno dall’altro, quando, poi, ci sono tutti i comuni dei Monti Lepini senza un Commissariato, oltre all’area Sabaudia, San Felice Circeo, Pontinia, area di attività mafiose inquietanti, completamente scoperta. Si sopprima il Commissariato di Gaeta e si trasferisca il personale a Fondi ed a Formia dove si dovrebbe costituire un Supercommissariato, come a Scampia, diretto da un 1° Dirigente e non da un semplice vicequestore e con una sezione distaccata della Squadra Mobile di Latina, come a Cassino).
Ecco, questo – e non solo – per noi della Caponnetto, è… “antimafia”!