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Il male e i talebani del “bene”

 

03 dicembre 2017

di Enrico Bellavia

Chiesero a Luciano Liggio se esistesse la mafia e lui serafico rispose, sì, se esiste l’antimafia.

Vero perché troppo spesso in Italia quell’“anti” vive solo nella ragione del suo opposto. Così se c’è la mafia, c’è l’antimafia e se c’è il fascismo c’è anche l’antifascismo. Così i destini del male e del suo antidoto sembrano indissolubilmente legati.

L’antimafia che è o dovrebbe essere la sostanza dello stato di diritto, esiste invece come una setta, una organizzazione da contrapporre alla mafia e non la ragione stessa del vivere civile. Ci si deve accreditare antimafiosi per vedersi riconoscere la legittimazione a dire qualcosa, altrimenti si rischia l’indistinto anonimato dell’ovvietà. Ma con i galloni addosso dell’antimafiosità militante, allora anche la banalità dell’evidenza, veste i panni del martirio sofferto della rivelazione.

L’antimafia che avrebbe dovuto essere la constatazione che nella società, nella vita civile, nel sostrato di regole e diritti di un Paese c’erano già gli strumenti per la ribellione, ha finito con l’essere una comoda tenda sotto la quale accasarsi mentre altri impiantavano il gabbiotto dell’ufficio rilascio patenti.

Il talebanismo antimafioso, fatto di dogmi e uomini simbolo, fatto di eroi di carta vendicatori delle verità negate ha finito con il prendersi tutto il campo, consegnando in dote ai populismi di ogni risma la genuina volontà di un popolo, siciliano, italiano, di farla finita con i bravi. Ecco, l’antimafia come totem, il venerabile nulla al quale votarsi incuranti di selezionare i compagni di strada, consegnando ruoli da guru agli illuminati del momento, la perpetuazione di un male presupposto del bene che gli si oppone è l’unico totem dal quale fuggire e di gran carriera.

Non lo fanno gli antimafiosi tutti d’un pezzo, quelli mai un dubbio, quelli che decidono a chi concedere la benemerenza della parola. Quelli che se la raccontano ogni giorno e sperano, in cuor loro che ci sia sempre un nemico, così tanto per giustificare la loro di esistenza di anti qualcosa. Magari con il fondoschiena poggiato su qualche polverosa poltrona di comando di qualcosa diventata per contatto essa stessa antimafiosa.

L’antimafia del contagio virtuoso è così l’antimafia del contatto provvidenziale. E per tutto il resto basta un po’ di martirio, una spruzzatina di illuminismo, due quarti di ovvietà e un terzo di furbizia. Dopotutto ogni totem incarna un tabù.

( 9 – continua)

 

fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it