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Il mafioso che “preferiva non farsi vedere” con l’ex senatore di Forza Italia Antonio D’Ali

La Stampa, 20 Aprile 2018

Il mafioso che “preferiva non farsi vedere” con l’ex senatore di Forza Italia Antonio D’Ali

A dirlo Vittorio Signorello, uno dei 21 arrestati per mafia nell’appena condotta operazione “Anno Zero” che ha decimato il clan di Cosa nostra capeggiato dal latitante Messina Denaro

di RINO GIACALONE

Il politico è sotto inchiesta? Meglio non farsi vedere assieme a lui. Il pensiero, anche se non reso in questa forma letterale, appartiene ad un presunto mafioso, Vittorio Signorello, uno dei 21 arrestati per mafia nell’appena condotta operazione “Anno Zero” che ha decimato il clan di Cosa nostra capeggiato dal latitante Matteo Messina Denaro, sfuggito ancora una volta, come avviene da 25 anni, all’arresto. 

Signorello, dipendente civile del ministero della Difesa, in servizio alla base di Birgi, sede del 37° Stormo della nostra Aeronautica, è stato intercettato nel novembre scorso dai carabinieri del Ros a spiegare ad un altro indagato di “Anno Zero”, Giuseppe Li Gambi, il perché del rifiuto a partecipare ad un pranzo presente l’allora ancora senatore di Forza Italia, l’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì. Un politico al quale tanti continuano a stringere le mani, nonostante i processi in corso per i suoi contatti con Cosa nostra. Ma paradossalmente a fare un passo indietro rispetto alla possibilità di stare assieme a lui, nell’occasione di una normale conviviale, è proprio un soggetto accusato di essere un mafioso. “…Mi avevano invitato là al Baglio Vecchio a mangiare… c’era il senatore D’Alì.. no… gli ho detto me ne vado perché mia moglie aspetta me…”. 

Insomma se ci sono politici che “non rispettano la distanza di sicurezza dai mafiosi” come di recente ebbe a dire il sostituto procuratore della Repubblica di Trapani, il pm Andrea Tarondo, l’inquirente più impegnato da anni, nella trincea giudiziaria trapanese, sul fronte delle indagini sui contatti tra Cosa nostra e la politica, vien da dire che ci sono mafiosi, anche se presunti tali, che si preoccupano di non farsi vedere con politici discussi e chiacchierati come lo è il senatore D’Alì. Da anni è citato in tante indagini antimafia, l’ultima è del mese scorso, l’operazione “Pionica”, fotografato dai carabinieri a concordare con esponenti mafiosi l’affitto di un suo terreno. Ex sottosegretario all’Interno tra il 2001 e il 2006, è sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa: la giustizia ha già pronunciato due sentenze identiche, prescrizione per i fatti contestati sino al 1994, quando risulta accertato il contatto stretto con i Messina Denaro che facevano da campieri nei suoi vigneti di Castelvetrano, assoluzione per i fatti contestati sino al 2011 e cioè dall’accusa di aver fatto da cerniera nei rapporti tra mafia e imprese coinvolte in decine di maxi appalti pilotati, ma di recente la Cassazione ha annullato e ordinato il ripetersi del processo di appello. 

Frattanto, D’Alì, che non si è ricandidato alle Nazionali di marzo, interrompendo la carriera da senatore che durava dal 1994, e che ha dovuto archiviare amaramente il tentativo di farsi eleggere sindaco di Trapani alle amministrative dell’anno scorso, il prossimo 26 aprile (il caso vuole lo stesso giorno del 56° compleanno del boss Matteo Messina Denaro) vedrà concludersi il procedimento per l’applicazione nei suoi confronti della misura di prevenzione dell’obbligo di dimora chiesto dalla Procura antimafia di Palermo che lo ha definito un soggetto pericoloso. Tanto pericoloso anche per i mafiosi? Signorello sempre nella stessa intercettazione spiegava così il fatto di non voler essere andato a quel pranzo: “…non so niente… e non voglio sapere niente… qualche giorno… qualche giorno da me vengono… qualche giorno da me vengono…minchia se vengono… se la fanno ficcare in culo…”. 

Su D’Alì ci sono indagini, meglio non farsi vedere assieme sembra essere stato il pensiero di Signorello. Uno che per il resto non andava per il sottile. È lui ad essere stato ascoltato a definire “giusta” la morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, ucciso dai mafiosi nel 1996 per punire il genitore che collaborava con la giustizia o ancora a paragonare i Messina Denaro a dei santi. Come ha dimostrato l’indagine “Anno Zero” Signorello ha avuto una spiccata a celarsi agli occhi degli altri, ci ha tentato anche nel giorno del suo fermo. Quando all’alba di mercoledì i carabinieri sono andati ad arrestarlo, ha telefonato al suo capo ufficio dicendo che quella mattina non sarebbe andato al lavoro, “consideratemi in ferie per i prossimi 15 giorni” ha detto. Ma l’assenza pare essere destinata ad essere molto più lunga.