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Il grande convegno di Cassino del 27 ottobre u. s.

Dopo Pastena, Terracina e Formia, la “carovana” dei volontari per la liberazione del Lazio dalle mafie ha toccato ieri Cassino, dove è stata accolta dal sindaco Giuseppe Golini Petrarcone nell’affollatissima sala comunale intitolata a Pier Carlo Restagno. Sono gli uomini e le donne dell’Associazione Antimafia Antonino Caponnetto guidati  Segretario  Elvio Di Cesare: ed è stato lui che, dopo i saluti del primo cittadino, ha introdotto i lavori, facendo il punto su una situazione che, dati e cifre alla mano, si presenta come una autentica e capillare penetrazione della criminalità organizzata nei gangli delle Istituzioni locali e dell’economia laziale, ben lungi quindi dal quadro di semplici “infiltrazioni” fin qui molte volte evocato in altri contesti.

“La mafia a casa nostra. Nuove strategie di contrasto: più che la retorica, l’indagine e la denuncia”: è da qui, dal titolo dell’incontro, che hanno preso le mosse i relatori per offrire lo spaccato reale, in presa diretta, della loro attività sul territorio. Anche perché Di Cesare è partito da una provocazione forte: l’inadeguatezza tante volte mostrata da una parte delle forze dell’ordine o della magistratura di fronte al dilagare del fenomeno, come dimostra ad esempio il fatto che negli ultimi anni le sezioni giudicanti del Tribunale di Roma non hanno emesso alcuna condanna per il reato di associazione mafiosa, bensì solo di semplice associazione per delinquere.

Nonostante l’assenza dei vertici della Procura di Cassino , pur invitati alla manifestazione, l’incontro di sabato 27 ottobre mostra che Cassino potrà rappresentare, dal punto di vista delle attività inquirenti, un deciso punto di svolta. A cominciare proprio dall’elevata caratura professionale e morale delle diverse, alte autorità partecipanti al dibattito. Come è emerso con chiarezza dalle relazioni del dirigente del commissariato Francesco Putortì, con una lunga esperienza alla Direzione Investigativa Antimafia di Roma, e dei colonnelli Antonio Menga e Roberto Piccinini, rispettivamente a capo del comando provinciale dei Carabinieri e della Guardia di Finanza a Frosinone. Entrambi hanno fatto il punto su un’attività d’investigazione e contrasto che sta subendo un’accelerazione nei tempi e nei metodi, non senza sottolineare le criticità di un territorio sul quale i fenomeni criminali sono ormai radicati da almeno due decenni. Ancor più lucido e rigoroso, se possibile, il quadro della penetrazione reso dal questore di Frosinone Giuseppe De Matteis, il quale ha ricordato come fino a metà anni ’80 il nostro legislatore non avesse nemmeno previsto la fattispecie di reato sull’associazione di stampo mafioso, e che proprio in quegli anni si trovò lui stesso ad applicarla, ma non in Campania, Calabria o Sicilia, bensì a Domodossola, in Piemonte, dove la ‘ndrangheta non sparava per strada, ma controllava grosse fette dell’economia locale, proprio come oggi viene alla luce in Lombardia.

Sulla lunga catena di comuni sciolti per mafia, un fenomeno che ormai sempre più spesso tocca anche il Nord, si è soffermato il giornalista dell’Espresso Nello Trocchia, autore fra l’altro del recente “Roma come Napoli”, impietoso confronto sulle mafie nelle due metropoli.

L’incontro di Cassino, condotto dalla giornalista de La Voce delle Voci Rita Pennarola, è giunto al clou con gli interventi dei tre magistrati di punta giunti a portare il loro efficace contributo: Catello Maresca, sostituto procuratore alla Dda di Napoli, Francesco Cascini, nello stesso ruolo alla Dda della capitale, ed Antonio Esposito, presidente della seconda sezione penale alla Cassazione. Maresca, fra l’altro artefice della cattura di Michele Zagaria, ha reso in poche battute lo scenario di una camorra con un’ala imprenditoriale non meno agguerrita di quella militare, capace di fare breccia su quella parte della società sempre più delusa dallo Stato. «Occorre – ha detto il magistrato – rafforzare gli strumenti per il recupero ed il riutilizzo dei patrimoni illeciti confiscati alle mafie» e «questo risultato lo si può ottenere anche puntando su squadre comuni tra più forze investigative ed operanti in una pluralità di Stati, vista la dimensione sempre più multinazionale di queste holding del crimine».

Un tema su cui concorda il pm antimafia  Francesco Cascini, non senza spiegare con impressionante lucidità di aver trovato al suo arrivo nella Dda romana, un anno fa, uno scenario organizzativo parcellizzato, con affidamenti degli incarichi secondo i turni e non in ragione di una logica territoriale. «Oggi – ha detto il dottor Cascini – con l’arrivo di Giuseppe Pignatone alla guida della Procura, ci sono cinque pubblici ministeri che si occupano di reati mafiosi nella capitale ed altrettanti dediti alle altre zone del Lazio». E’ partito dunque un lavoro di squadra cui è sottesa un’attività d’intelligence che sta già dando i primi risultati importanti, pur nella evidente difficoltà di contrastare organizzazioni radicate ormai da vent’anni e giunte alla seconda o terza generazione, soprattutto nel Sud Pontino.

Le conclusioni di un incontro così intenso non potevano che essere affidate al presidente di Cassazione Antonio Esposito, che recentemente si è occupato fra l’altro di sentenze come quelle a carico dell’ex presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro o dell’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi. Dopo aver smantellato il falso mito delle Commissioni Parlamentari Antimafia, «che in cinquant’anni di attività non hanno mai accertato nulla», il presidente ha ribadito, riprendendo la sollecitazione iniziale di Di Cesare, che la penetrazione criminale nel Lazio è già arrivata da tempo ed oggi esercita un controllo capillare sul territorio, «benché fino a poco tempo fa ci fossero sindaci, prefetti ed anche alcuni magistrati secondo i quali si trattava solo di una esagerazione giornalistica». Quanto alle carenze di una certa parte della magistratura, il presidente Esposito ha ricordato come il fenomeno esista e venga puntualmente contrastato, citando ad esempio l’annullamento, da parte della sua Sezione, di una serie di sentenze pronunciate da una Corte d’Assise calabrese che aveva più volte cancellato ergastoli a grossi calibri delle ‘ndrine.

Strappando applausi a scena aperta, i tre magistrati hanno concluso i loro interventi convenendo sulla opportunità, lanciata dal  Segretario  della Caponnetto Di Cesare, di attivare sezioni distaccate delle Direzioni Distrettuali Antimafia nelle Procure operanti su territori del Lazio a maggior penetrazione mafiosa.

All’incontro è intervenuta la deputata di zona Anna Teresa Formisano. Presenti inoltre, fra gli altri, la rappresentante del comitato di lotta per il mantenimento del Tribunale di Cassino, avvocato Patrizia Menanno, ed altri rappresentanti della Caponnetto come il cancelliere Carlo Lubrano e la vicepresidente Simona Ricotti.

Da segnalare infine i rappresentanti delle associazioni gemellate con la Caponnetto Antonio Turri (“I cittadini contro le mafie e la corruzione”), Salvatore di Bona (“Terra nostra”) e Antonio Parisi (“Camminando nel sociale”).