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IL FATTO QUOTIDIANO.IT.”MAFIA CAPITALE E LA PALUDE DI LATINA.TRA OMERTA’ E MINACCE,INDAGARE NON SI PUO”.

“Terra dei Fuochi”,”Terra di lavoro”,”Provincia di Casale”,tre marchi che raffigurano  l’ampia fetta di territorio italiano che comprende l’alta Campania ed il Basso Lazio.Un territorio che fa Stato a sè,stato nello stato e dove lo Stato,quello con la S maiuscola e quello vero,ammesso che sia riuscito qualche volta ad insediarsi,é collassato sotto la pressione di boss,greche,re,principi e padroni,ed é oggi ridotto al ruolo di comparsa che non conta assolutamente niente.Zero. Qua si sta ancora con lo sguardo rivolto al passato,glorioso o inglorioso che esso sia stato  a seconda dei punti di vista e delle culture personali,e non c’é,da parte di nessuno,il benché minimo sforzo intellettuale per “capire” le cause di quella “palude”-culturale e morale prima di tutto e,poi,economica,politica,istituzionale- rappresentata da quell’ampia fetta di territorio che comincia a nord di Napoli e  si estende fino alla Capitale ‘Italia. Carmine Schiavone- morto all’improvviso per alcune fratture costali,si dice,a seguito di una caduta nell’ abitazione  dove si era rifugiato in provincia di Viterbo- ha definito questo territorio “ provincia di Casale” perché tale é ritenuta dai “casalesi”,il clan più feroce della camorra del nostro Paese.Un territorio dove “saltano” Prefetti ( e non solo Frattasi,ma anche,molto prima di lui,la V.Prefetto Vicario Ingenito ) che vogliono capire certi fatti e vengono subito rimossi e trasferiti altrove,capitani della Guardia di Finanza che si uccidono  dopo appena qualche mese che vi hanno messo piede e dove Presidenti di TAR  dicono che……”la legalità é un optional”.Senza parlare  di Ilaria Alpi che pure partì nella sua inchiesta da Gaeta e dal suo porto per finire come é finita in Somalia.O,per passare all’oggi,degli attentati a Bruno Fiore a Fondi,degli insulti minacciosi a Benito Di Fazio a Sperlonga e,ancora,delle minacce al giudice Aielli a Latina,delle pallottole  contro l’autovettura del giudice Iansiti a Latina,delle raffiche di querele  a giornalisti,a noi dell’Associazione Caponnetto e a chiunque volesse mostrarsi un tantino curioso di quanto é accaduto,accade ed accadrà sempre in  terra pontina,”provincia di Casale”,terra di boss,re,principi e greche nella quale pullulano “economisti”  e “storici”,di parte o meno,ma nella quale non si vede nemmeno l’ombra di un sociologo,del quale si sente il bisogno come del pane,capace di analizzarne struttura sociale,mentale,culturale , motivazioni e genesi.E non vogliamo parlare nemmeno degli “incontri”  dei quali ha scritto Il Mattino di Napoli fra  elementi della camorra e di pezzi dello Stato che sarebbero avvenuti in una villa o un’ abitazione di Gaeta.Gaeta ancora una volta,terra dei misteri della “provincia di  Casale” e quindi di camorra  e del cui Porto  hanno parlato e si sono interessati Ilaria Alpi e Carmine Schiavone.
Territorio a perdere,insomma,preda di bande che vi imperversano facendo il bello ed il cattivo tempo .”Zona franca”,dove lo Stato,quello vero e non lo stato-mafia,sembra lontano mille miglia e dove la magistratura fa fatica perfino ad indagare.
Un’amica  tempo fa  a Roma ci  ha detto:”Non vi accanite  sulla provincia di Latina altrimenti  qualcuno può tentare di delegittimarci  sostenendo che siamo una realtà locale e non nazionale”. A quell’amica abbiamo risposto che parlare di una Latina siffatta significa parlare della Capitale d’Italia perché i “guai” di Latina si ripercuotono  a livello di Roma,come lodevolmente   ci spiega Andrea Palladino,bravo ed acuto giornalista,su Il Fatto che sotto riportiamo.E parlare della Capitale  d’Italia significa parlare del Paese.

Mafia capitale e la palude di Latina: tra omertà e minacce, indagare non si può

di  | 13 dicembre 2014

Mafia capitale e la palude di Latina: tra omertà e minacce, indagare non si può

Mafie
Minacce ai pm, fughe di notizie e decreti di intercettazione appena attivate in mano a chi non doveva averle. Il procuratore aggiunto di Roma: “Senza registrazioni telefoniche e ambientali non riusciamo a fare inchieste sulle organizzazioni mafiose”

di  | 13 dicembre 2014
Lo sguardo dei due poliziotti all’ingresso della prefettura di Latina improvvisamente si irrigidisce. Claudio Fazzone – il senatore divenuto famoso per aver difeso la sua città natale Fondi dallo scioglimento per mafia – entra senza guardarsi attorno. Questo è il palazzo da dove partì la commissione d’accesso che andò a verificare l’operato della giunta retta dal suo amico e socio Luigi Parisella, tra il 2008 e il 2009. E questo era l’ufficio dove sedeva Bruno Frattasi, il prefetto che chiese a Maroni di mandare a casa il consiglio comunale fondano, con il sospetto di essere stato troppo tenero con i clan di ‘ndrangheta e camorra. Oggi il senatore Fazzone varca la soglia con un ruolo inaspettato: componente della commissione parlamentareantimafia, arrivata a Latina per capire quanto forte sia il peso della criminalità organizzata a sud di Roma. Presenza, la sua, sorprendente, visto che fino a ieri a palazzo San Macuto non si era fatto mai vedere.

Latina è da decenni un pezzo dello scacchiere delle mafie, dove ‘ndrangheta, Cosa Nostra e camorra si spartiscono affari, pezzi di territorio, conquista del litorale, logistica: “Una presenza ormai radicata e strutturata” avevano spiegato il procuratore della Dda di Roma Giuseppe Pignatone e il suo aggiunto Michele Prestipino, dopo aver a lungo raccontato l’inchiesta di Mafia Capitale, basando le parole sui tanti fascicoli accumulati dall’antimafia da più di un decennio. Processi che hanno visto imputati – poi condannati – gente del calibro di Zagaria, o i fratelli Tripodo, figli del mammasantissima di Reggio Calabria don Mico, nome storico delle cosche del sud, ucciso nel carcere di Poggio Reale negli anni ’70.

Su una cosa Fazzone non ha dubbi: “Il consiglio comunale di Roma va sciolto per infiltrazione mafiosa”, racconta ai giornalisti a margine della audizioni che la commissione parlamentare ha tenuto oggi. In tanti si guardano negli occhi: “A Fondi era differente – aggiunge, intuendo il paradosso delle sue parole – lì non c’era un solo consigliere comunale condannato, solo un assessore finito nell’inchiesta per problemi personali. Qui le mafie non sono strutturate – spiega – la presenza è la conseguenza di qualche personaggio arrivato da fuori. Non generalizziamo, ne va di mezzo l’economia del territorio”. Una realtà ben lontana da quella disegnata dagli ufficiali che nel 2008 analizzarono le carte del comune del sud pontino, sottolineando in rosso gare d’appalto, procedure extra ordinem, amicizie sospette. Se Roma brucia, Latina per il momento sonnecchia.

Dietro l’aria di festa natalizia che già si respira nelle strade c’è un giudice minacciato pesantemente, con due manifesti funebri appesi davanti alla scuola delle figlie. Si chiama Lucia Aiello, e fu lei a presiedere la sezione penale che giudicò i mafiosi di Fondi. La commissione parlamentare antimafia l’ha convocata per ascoltare il suo racconto, che viene definito “toccante e intenso”. Uscendo dalla sala della prefettura di Latina spiega di aver ricordato il clima pesante che viveva quando doveva giudicare i fratelli Tripodo di Fondi, poi condannati fino in Cassazione per mafia. Sensazioni che difficilmente può dimenticare, che si mescolano con l’immagine di quei due manifesti funebri che una mano ignota le ha dedicato poco meno di un mese fa. Poi tocca al procuratore Andrea De Gasperis, al presidente del Tribunale e ai comandanti delle forze dell’ordine. Cosa hanno raccontato? “Non chiediamo dettagli sulle indagini in corso, neanche in seduta segreta – spiega il capogruppo del M5s in commissione antimafia Francesco D’Uva – perché c’è sempre il rischio che tra i 50 parlamentari commissari vi possa essere qualcuno che poi riferisca le notizie riservate”. Insomma, non si sa mai, di questi tempi meglio non fidarsi. E a Latina certe prudenze assumono un certo peso.

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Il giorno prima della missione e delle audizioni nella capitale pontina è stato il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino a spiegare alla commissione come sia difficile fare indagini antimafia da queste parti. “Vi racconto un episodio significativo”, aveva esordito, chiedendo apertamente di non secretare il suo racconto. Una storia apparentemente strampalata di spioni e ricatti, ma che bene descrive la palude pontina in fondo mai bonificata del tutto. “Tempo fa un signore querela una persona per molestie. Un fatto banale – ha esordito il magistrato romano – che alla fine termina con una remissione di querela”. I due, però, continuano ad avere screzi e decidono di incontrarsi a Roma per risolvere la questione. La vittima della molestia si presenta con un giubbotto antiproiettile. L’altro si allarma, chiama i carabinieri che lo perquisiscono. E qui c’è una sorpresa degna di una spy story: “I carabinieri trovano addosso all’uomo alcuni decreti d’intercettazione appena attivate, proprio su Latina”, ha raccontato Prestipino davanti a commissari decisamente sorpresi.

Atti d’indagine della Dda di Roma coperti da segreto. La giustificazione è ancora più sorprendente: “Sono un collaboratore dei servizi di sicurezza – ha raccontato l’uomo, un romano, titolare di una società di security a Londra, ma ben noto nella capitale – e ho avuto un incarico da chi si occupa di intercettazioni a Latina”. Peccato che la Dda non ne sapesse nulla. Alla fine alcuni titolari della ditta incaricata di eseguire quelle delicate attività tecniche d’indagine sono stati indagati. “Capite come è difficile fare indagini a Latina? – ha commentato il magistrato romano – Senza intercettazioni non riusciamo a fare indagini per mafia”. Non è chiaro al momento se questa storia – divenuta pubblica in questi giorni – sia ascrivibile ad una semplice leggerezza. E, soprattutto, non è chiaro il profilo di Molayem, che sosteneva di lavorare perfino per il Mossad. Se Mafia Capitale vuol dire politica, affari e metodo mafioso, la palude pontina aggiunge un altro elemento al quadro. E’ il silenzio. Tra i coloni veneti che qui arrivarono negli anni ’30 si dice spesso “magna e tasi”, mangia e stai zitto. Qui in fondo le mafie investono e a guadagnarci sono in tanti. Forse troppi.