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Il caso Palamara e il dovere dei magistrati

Il caso Palamara e il dovere dei magistrati

24 MAGGIO 2020

A distanza di più di un anno dal suo “esplodere”, la vicenda-Palamara continua a devastare l’immagine della magistratura e dei suoi organi di rappresentanza, oltre che del Consiglio superiore della magistratura

DI ARMANDO SPATARO

A distanza di più di un anno dal suo “esplodere”, la vicenda-Palamara continua a devastare l’immagine della magistratura e dei suoi organi di rappresentanza (l’Associazione nazionale e le “correnti” che ne fanno parte), oltre che del Consiglio superiore della magistratura. È ormai regola in questo Paese che la pubblicazione di atti giudiziari contenenti riferimenti a condotte anche solo imbarazzanti – e non necessariamente integranti reato – scateni campagne denigratorie. Anche per la magistratura occorre usare attenzione e misura, non essendo accettabile che quanto sta emergendo dalla documentazione sequestrata nel caso Palamara sia ragione di crisi della Anm. Non appare in alcun modo condivisibile che si siano dimessi presidente e segretario dell’Anm. In particolare il presidente e i magistrati del suo gruppo di appartenenza lo hanno fatto perché non tutte le componenti dell’organismo direttivo dell’Associazione sarebbero disponibili a mantenere un posizione di fermezza, come quella assunta un anno fa, contro forme di “malcostume diffuso di correntismo degenerato e carrierismo spinto, fino a pratiche di vera e propria clientela”.

Ciò non è servito ad evitare ingiustificati attacchi mediatici all’onorabilità dell’intera Associazione. Anzi, alcuni magistrati che erano stati già designati quali candidati a far parte del futuro Comitato direttivo hanno fatto un passo indietro. Ciò non sembra giusto perché proprio nei momenti difficili, come questo, occorre invece limitarsi a chiedere le dimissioni di chi ha violato regole deontologiche o attivare le valutazioni del “Collegio dei probiviri”. Non si può però negare l’insoddisfazione, ed anzi la forte delusione, dei magistrati per la logica, descritta ormai come imperante, che sembra ridurre l’Anm a mero contenitore di decisioni prese dalle correnti, minando l’effettiva unità associativa e rendendola formale e vuota di contenuti.

L’Anm non può essere il luogo dove le correnti depositano i propri deliberati interni dettati da interessi particolari, così come il Csm non può essere l’istituzione dove le scelte dei dirigenti o l’attribuzione di altri incarichi avvengono sulla base di accordi e logiche premiali delle correnti. Se ciò è risultato purtroppo spesso innegabile, non si giustifica affatto la logica della rassegnazione, ma deve affermarsi quella della reazione virtuosa. Nella magistratura si assiste troppo spesso all’ingresso massivo del qualunquismo persino al suo interno: c’è chi auspica automatismi nelle nomine a incarichi direttivi e semi-direttivi, la penalizzazione di chi ha svolto attività fuori ruolo e chi continua a sostenere che la auspicata riforma del Csm deve partire da quella del suo sistema elettorale, invocando in varie forme l’ipotesi del sorteggio per designarne i componenti del Csm. Sarebbe lo strumento per contrastare le deviazioni correntizie? No, sarebbe un’offesa enorme all’intera magistratura!

 

È questo ciò su cui devono interrogarsi gli elettori: la migliore riforma consiste nell’invocare per i magistrati elettori, così come per i cittadini nelle elezioni politiche, una più approfondita conoscenza dei programmi e dei profili dei candidati. Una scelta consapevole che, senza cancellare luoghi di aggregazione ideale e culturale come le correnti devono essere, conferisce autorevolezza ai rappresentanti eletti.

Fonte:https://rep.repubblica.it/