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Il Caso Fondi dalla Via Flacca alla via Pontina. La conquista del clan dei casalesi

Erano passate da poco le nove di mattina di un anonimo 13 marzo del 1996, quando Carmine Schiavone, cugino del più noto Francesco Schiavone detto“Sandokan”, entra nella caserma dei Carabinieri di Latina,accompagnato dagli uomini della scorta del servizio centrale di protezione ai pentiti di mafia. Lì, colui il quale burocraticamente  veniva definito il collaborante di giustizia Carmine Schiavone, si apprestava a raccontare  l’ascesa dei cartelli  “casalesi”e le mire di tutte le mafie italiane sui grandi affari criminali e “legali”che avevano nel Lazio ed a Roma partenza o arrivo.

Lì,nell’ufficio di uno dei più capaci e tenaci investigatori antimafia di questo Paese, oggi generale Vittorio Tomasone, attuale comandante dei carabinieri di Roma, si dipanava la storia delle mafie uscite vincenti dalle guerre intestine ai clan campani,calabresi e siciliani.

Senza alcun tentennamento Carmine Schiavone dichiarava di aver ricoperto,sino alla data del suo pentimento,la carica di cassiere a tutela degli interessi economici della cupola del clan dei casalesi e che quello che era disposto a far verbalizzare era frutto di conoscenze dirette .

In particolare raccontò le vicende legate alla guerra tra il clan Schiavone e il clan Bardellino.La rottura avvenuta nel 1988 che  culminò con l’omicidio di Antonio Bardellino e la definitiva residenza a Formia del fratello di quest’ultimo Ernesto.

Sino ad allora (1988)ambasciatore e referente dei casalesi nel basso Lazio era stato Antonio Salzillo,nipote dei Bardellino. Salzillo sin dai primi anni ’80 si stabilì a Latina ed entrò in contatto con imprenditori locali.

Attraverso l’utilizzo di alcune società di movimento terra e per la costruzione di strade, ricollegabili a questi imprenditori, i “casalesi”  entrarono nel giro degli appalti per la costruzione della terza corsia autostradale nel tratto Roma-Napoli e percepirono il 10 per cento sui grandi guadagni realizzati,cosi come su tutti gli altri lavori in appalto effettuati dalle numerose imprese riconducibili al gruppo criminale.

Sempre Carmine Schiavone, con dovizia di particolari, riferisce ai Carabinieri che la zona di competenza di Salzillo andava da Sabaudia a Roma ed in questa area disponevano di 30 uomini (“soldati” di camorra)  che venivano regolarmente stipendiati da lui stesso con tre milioni al mese.

Lo stipendio mensile generoso, se chiaramente  riferito ai primi anni ’80,  era percepito dalla manovalanza criminale che attuava il controllo del territorio nella zona compresa tra Sabaudia e Roma .

La parte meridionale della provincia di Latina,quella compresa tra il Garigliano e Terracina, era stata affidata a Gennaro De Angelis, che svolgeva, a copertura della sua vera funzione di capo zona dei clan, l’attività di rivenditore di automobili.Quest’ultimo, a dire di Schiavone :“rappresentava per noi  il punto di riferimento per le attività di penetrazione ed investimento…e si preoccupava di allacciare i contati politici necessari a conoscere in anticipo le decisioni che sarebbero state prese in materia di urbanizzazione e di edificazione”.

Al De Angelis, sosteneva Carmine Schiavone, venivano corrisposti 50 – 60 milioni al mese per pagare i soldati di camorra che controllavano per conto dei clan campani il territorio del sud pontino.

In questa lunga confessione del pentito più “illustre”
del clan dei casalesi quello che maggiormente lascia attoniti è la capacità dei vertici criminali di “gomorra”di coinvolgere il mondo della politica, dell’impresa locale, anche al di fuori delle loro aree di tradizionale influenza e di fare “impresa criminale” con le famiglie mafiose di altre regioni, come avvenne ed avviene a Fondi.

Qui riferisce Schiavone per quanto riguarda i rapporti, ancora oggi saldissimi, tra camorra campana e ‘ndrine
calabresi: “Di Fondi   conosco personalmente da svariati
anni i fratelli Venazio e Carmelo Tripodo.Conoscevo anche il loro genitore Domenico Tripodo, detto Mico.Quest’ultimo era un personaggio di spicco della ‘ndrangheta calabrese…entrambi i Tripodo si sono interessati di stupefacenti e non hanno mai interrotto i legami con la terra di origine…il mio gruppo (casalesi) ha ceduto al Carmelo Tripodo dai 15 ai 30 Kg. al mese di cocaina ,dall’anno 81-82 al 1992…trattava non solo cocaina ma anche eroina grazie ad appoggi a Torino e in Calabria”.

I fratelli Carmelo è Venazio Tripodo sono tra i protagonisti dell’attualissima  “Fondi Connection” e a quanto risulta dagli atti della commissione di accesso al Comune voluta dal prefetto Frattasi e dagli atti dell’inchieste Damasco I e Damasco II della DDA di Roma sono il nesso che unisce mondo della politica e degli affari con quello delle mafie, non solo nel comune di Fondi, ma anche in altre più importanti sedi Istituzionali provinciali,regionali e nazionali.

Tra i personaggi di maggior spicco che a vario titolo dal Garigliano a Roma interagiscono con Carmine Schiavone, questi cita  l’avvocato Cipriano Chianese ,uomo cerniera in molte indagini sullo smaltimento dei rifiuti in Campania, Michele Zagaria , Mario Baldascini, tutti coinvolti in importanti indagini e processi di mafia.

Del complesso quadro criminale legato allo smaltimento dei rifiuti nel Lazio,torneremo a parlare  e cercheremo di analizzare  come  la Regione Lazio sia divenuta, subito dopo la Campania,  la prosecuzione “ naturale”di quel potere criminale che oggi definiamo “ecomafie”.E’ in quel contesto che matura il 29 marzo del 1995 l’omicidio di Don Cesare Boschin,parroco di B.go Montello,una piccola frazione alle porte di Latina, dove la camorra dei casalesi interrava fusti e fusti di rifiuti tossici.

Questo lo scenario criminale sino al 13 marzo del 1996.
Da allora ad oggi, nonostante l’ottimo lavoro di molte procure antimafia d’Italia, e l’impegno delle Forze dell’ordine, i casalesi, le ‘ndrine calabresi e la mafia siciliana  hanno, con l’aiuto dei loro referenti politici ed imprenditoriali , attraversato  Nettuno e tutto il litorale romano, Aprilia, e Pomezia e si apprestano a consolidare la loro incessante attività all’interno del raccordo anulare, subito dopo l’incrocio che vede terminare la via Pontina.

E questa è la stessa storia che continua…

Antonio Turri, Libera Lazio

(Tratto da Articolo21)