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Il boss D’amico rischia l’ergastolo: in secondo grado chiesti 16 anni di carcere per Lauria

«Volevano chiuderci le piazze di droga e così ammazzammo Cipolla» Fraulella inchiodato dal pentito
Il boss D’amico rischia l’ergastolo: in secondo grado chiesti 16 anni di carcere per Lauria

di REDAZIONE

Domenica 5 Giugno 2016

NAPOLI SUD. Rischia una condanna all’ergastolo anche in Corte d’Assise d’Appello. Questo è quanto ha chiesto il procuratore generale dopo la relazione del giudice a latere per Giuseppe D’Amico detto “fraulella”.Conferma a 16 anni anche per Gaetano Lauria, “’o somaliano”, che si è accusato del delitto ma che ha avuto una pena pesante perché il suo contributo non era stato determinante per il prosieguo delle indagini che invece erano già cristallizzate. Questo quanto rischiano in secondo grado D’Amico e Laurio accusati dell’omicidio di Alessandro Malapena detto”Cipolla”, un emergente del clan De Micco intercettato dai sicari in viale Margherita e freddato davanti a una telecamera fissa. Allora la guerra tra i due gruppi di mala, che ancora non si è conclusa, infuriava ancora di più.

L’indagine, grazie ai poliziotti del commissariato Ponticelli, giunse rapidamente a un punto di svolta. Com’è emerso nel processo, le chiavi della riuscita inchiesta sull’omicidio Malapena sono state tre: l’identificazione dei presunti responsabili attraverso le immagini sfocate della telecamera di viale Margherita, il pentimento di Giovanni Favarolo, ex nuova leva dei D’Amico, e a seguire quello di Gaetano Lauria. Il primo si era avvicinato ai “Fraulella” da poco, dopo essere stato minacciato da esponenti del gruppo De Micco. “Stai con noio no?”, gli avevano detto a muso duro. “Perché ricordati, chi non sta con noi è contro di noi”.“Giuan ’o boss”, chiamato così perché fin da piccolo aveva un atteggiamento da duro, si era buttato dall’altro lato, un po’ per protezione e un po’ per simpatia. Fino a quando però, decise di cambiare vita. Agli atti dell’inchiesta c’è anche un verbale ritenuto molto utile dai pm della Dda, che hanno coordinato le indagini.

Ecco alcuni passaggi di quel verbale. «Il giorno dell’omicidio (di Alessandro Malapena, ndr) ci siamo incontrati a casa di Nunzia D’Amico, io, “Peppino fraulella” che sarebbe Giuseppe D’Amico, Gaetano Lauria e “Pisellino” di cognome Aprea, figlio di Gennaro Aprea, Salvatore Ercolani e Giacomo D’Amico. Ci vedemmo per decidere cosa fare nei confronti di Gennaro Volpicelli, Salvio “Bodo” che sarebbe Salvatore De Micco, Enea De Luca, Omar di cui non ricordo il cognome, il figlio del “Mio-babbo”, Roberto Boccardi e“Cipolla”, Alessandro Malapena. Il loro gruppo infatti, voleva farci chiudere le piazze di spaccio al Conocal e le bancarelle di sigarette, e ci voleva ammazzare. Nel corso della riunione decidemmo di vendicarci». Il 1 ottobre 2013 Giovanni Favarolo, alias “Giuan ’o boss”,nuova leva del clan D’Amico di Ponticelli, ruppe gli indugi e si pentì accusandosi dell’omicidio Malapena. Ha tirato in ballo Giuseppe D’Amico, Gaetano Lauria e il giovane Aprea, ma per quest’ultimo il Gip respinse l’ordinanza di custodia cautelare. «Ho capito subito cheD’Amico avrebbe sparato».

fonte:www.internapoli.it