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Il 25 aprile, Festa della Liberazione e la Resistenza vanno rispettati! Berlusconi non tenti di riscriverli

Pericolosi giochi lessicali
La pacificazione esiste da sessantaquattro anni, sull’unica via possibile che è quella da parte di ex nostalgici di riconoscere le crudeltà del passato, ammetterne errori, contribuire a difendere la democrazia sancita dalla Costituzione. La politica attuale ha il dovere di rispettarla e applicarla, non di minarla attraverso riscritture e nuovi battesimi

Il gioco lessicale venuto fuori durante la celebrazione del 64° anniversario della Liberazione, che per il premier neo antifascista dovrebbe diventare anniversario della Libertà, può trasformarsi nell’ennesimo uso di simboli e valori secondo i costumi dell’opportunismo.

La questione non sta tanto nel cambiare denominazione al 25 aprile, stramberia figlia di quel post modernismo politico che definisce Seconda Repubblica qualcosa di addirittura più vecchio della Prima. Né il divieto assoluto di sostituire il termine liberazione con libertà perché essi esprimono concetti apparentati nello stesso spirito antidittatoriale che ha animato quella grande lotta di democrazia chiamata Resistenza al nazifascismo. Tale sostituzione è pleonastica quanto inutile perché la storia patria ha già scritto che Liberazione e Libertà vanno a braccetto contro l’oppressione dei regimi nazista e fascista e chi, come i “ragazzi di Salò” durante la guerra, li aiutava a ucciderne libertà e liberatori. La Festa del 25 aprile ha da sempre riassunto anche lessicalmente quel concetto che la memoria non deve cancellare: liberazione, e dunque libertà, dalla dittatura nazifascista e dalle loro sciagure.

Troppo didascalico? Non lo pensiamo, in una fase in cui la trasformazione e l’inquinamento dei fatti storici sono l’operazione primaria dei nostrani giustificazionisti dei regimi dell’oppressione, coloro che equiparano solo perché sono morti i partigiani combattenti per la libertà e i repubblichini sostenitori dei lager. Questa distinzione non può né deve scomparire, la pietà per defunti non ne riabilita gli orrori della vita ed è bene che l’attuale opposizione ne tenga conto. Che non baratti il termine liberazione con la disponibilità del Berlusconi/ter di ritirare la proposta di legge sull’equiparazione fra partigiani e saloini per poi magari vedersela ripresentata alla vigilia del 65° anniversario della Festa della Libertà (chiamerà allo stesso modo pure quella del suo Pdl?). Negli ultimi tempi anche i più morbidi del fronte antifascista – coloro che nei decenni del centrosinistra degli anni Sessanta, Settanta e seguenti partecipavano alla celebrazione del 25 aprile ma cercavano di smaltirla in fretta – s’accorgono quanto sia stato deleterio non preservare le radici della recente storia del Paese.

Forse meditano gli ex democristiani confluiti nel Pd, i comunisti liberal disposti a comprendere le “ragioni repubblichine”, i pochi socialisti emancipati dall’autoritarismo craxiano che tanti uomini e voti ha portato alla nuova destra italica come l’oblio seminato abbia spianato la strada al revisionismo storico fomentandone un secondo cialtrone. Purtroppo, alla stregua dei valori civili e ideali abbandonati da molti partiti e della disinformazione diffusa da tanti media, tutto ciò incrementa lo scempio del plagio della gioventù.
Anziché ricordare chi e con quali coraggio e altruismo ha liberato l’Italia nei venti mesi che seguirono l’8 settembre si mescola l’acqua sorgiva delle montagne partigiane col putridume in cui marciva la Decima di Valerio Borghese, riproponendo onore indistinto per tutti in nome della pacificazione. La pacificazione esiste da sessantaquattro anni, sull’unica via possibile che è quella da parte di ex nostalgici di riconoscere le crudeltà del passato, ammetterne errori, contribuire a difendere la democrazia sancita dalla Costituzione. La politica attuale ha il dovere di rispettarla e applicarla, non di minarla attraverso riscritture e nuovi battesimi.
Enrico Campofreda

(Tratto da www.aprileonline.info)