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I danni che provocano i clan

 

I danni che provocano i clan

Venerdì 30 Giugno 2017

di Giancarlo Astegiano

Una delle azioni tipiche delle “mafie” che, purtroppo, abbiamo conosciuto e che incontriamo con sempre maggior frequenza riguarda il condizionamento delle amministrazioni pubbliche, soprattutto a livello comunale e di aziende sanitarie, ma non solo.

In questi casi, la repressione penale non è sufficiente perché l’attività criminale crea danni ulteriori, dati dalle condizioni contrattuali degli appalti, sicuramente sfavorevoli per l’ente pubblico, dalle assunzioni o dalle consulenze clientelari, dai maggiori oneri per la comunità a seguito dello scioglimento degli organi elettivi delle amministrazioni locali e, più, in generale dalla perdita di credibilità delle istituzioni pubbliche.

Si tratta di danni, anche ingenti, che restano sullo sfondo del procedimento penale che ha quale scopo quello di punire singoli, specifici e tipici delitti.

E’ indubbio, inoltre, che le amministrazioni pubbliche coinvolte dai processi di infiltrazione non abbiano sempre la forza e la capacità di agire per il risarcimento dei danni subiti, spesso di difficile identificazione e quantificazione, anche perché, in alcuni casi, la linea di confine fra condizionamento esterno degli amministratori e funzionari pubblici o loro partecipazione a processi collusivi è, quantomeno, incerta.

L’aspetto della sanzione patrimoniale è, però, essenziale perché, da un lato, potrebbe portare risorse fresche a comunità che ne hanno bisogno e, dall’altro, come dimostra l’esperienza di questi anni toccherebbe un settore molto sensibile per l’organizzazione delle attività criminali.

E’ compito specifico della Corte dei conti agire, per il tramite delle sue Procure, per il risarcimento dei danni subiti dalle amministrazioni pubbliche a causa di comportamenti caratterizzati da dolo o colpa grave degli amministratori e dei funzionari pubblici. Non può agire per i danni arrecati da terzi e, forse, occorrerebbe un ripensamento da parte del legislatore e la previsione di un’azione sostitutiva in capo alla Corte dei conti, da esercitare in tutte quelle situazioni nelle quali, per i condizionamenti esterni o per le ridotte dimensioni o capacità operative dell’Ente – per le più svariate ragioni – sia necessaria un’incisiva azione risarcitoria.

Comunque, allo stato, il giudice contabile, a titolo di esempio, può agire contro i funzionari pubblici nei casi di appropriazione di somme di denaro, di gravi violazione delle norme sugli appalti (con lo strumento del “danno alla concorrenza”, vale a dire la differenza fra valore di mercato della prestazione e valore applicato all’Ente”), di recupero delle somme di consulenze e incarichi illeciti.

Nel 2009 il Parlamento ha limitato le possibilità di azione della Corte dei conti a tutela dell’immagine e della credibilità delle amministrazioni pubbliche ai soli casi nei quali vi sia stata sentenza di condanna passata in giudicato per un reato contro la pubblica amministrazione (ad esempio corruzione, abuso di ufficio e così via), escludendo, quindi, la possibilità di perseguire tutti gli altri comportamenti che abbiano comportato reati anche molto gravi, quali, ad esempio, l’associazione mafiosa.

Anche a seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice della giustizia contabile (7 ottobre 2016) residuano dubbi sull’abrogazione della norma del 2009 e sulla possibilità per la Corte dei conti di perseguire il danno all’immagine ed alla credibilità pubblica conseguente al compimento di reati diversi da quelli contro la pubblica amministrazione.

Sarebbe auspicabile un chiaro intervento legislativo che potrebbe essere un segnale concreto della volontà dell’ordinamento di contrastare, anche sotto il profilo patrimoniale, la criminalità organizzata, magari potenziando il potere di azione della magistratura contabile a tutela della ragioni finanziarie delle amministrazioni pubbliche.

Fonte:http://mafie.blogautore.repubblica.it/