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I cittadini non sono più tutti uguali di fronte alla legge?

Legittimo impedimento, Napolitano firma

Il provvedimento consente lo slittamento dei processi a carico di premier e ministri. Di Pietro: ora referendum. Il capo dello Stato riceve da Calderoli la bozza delle riforme: serve larga condivisione. Pdl alla Lega: la cabina di regia è di Berlusconi. Bersani: partiamo dal Senato federale

Con qualche giorno di anticipo sul limite temporale entro cui era chiamato a pronunciarsi, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha promulgato la legge che stabilisce “Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza”, approvata in via definitiva dal Senato il 10 marzo scorso.
Il premier e i ministri per 18 mesi potranno ‘saltare’ le udienze nei processi penali in cui sono imputati presentando una ‘giustificazione’ autocertificata da Palazzo Chigi. Il provvedimento, approvato in via definitiva dal Senato lo scorso 10 febbraio, entrerà in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il senso della ‘leggina’, pensata per garantire “il sereno svolgimento” delle attività di governo, è quello di una legge-ponte, transitoria, in attesa di un lodo-Alfano bis per via costituzionale, ossia lo ‘scudo’ per le quattro più alte cariche dello Stato, o la reintroduzione dell’immunità parlamentare con l’autorizzazione a procedere.
Le disposizioni, in pratica, consentono agli esponenti del governo (esclusi i sottosegretari) di ‘congelare’ i processi per un periodo di sei mesi continuativi, che potranno essere prolungati, di rinvio in rinvio, fino a un massimo di circa un anno e mezzo (i 18 mesi), sempre per ‘motivi istituzionali’. La sospensione vale solo quando premier e ministri sono imputati. Potranno quindi presenziare a processi come parte lesa.

La decisione del capo dello Stato segue di pochi giorni quella, di segno diverso, assunta rispetto alla legge-delega in materia di lavoro. Un provvedimento che Napolitano ha rinviato alle Camere per una nuove deliberazione, spiegando in un sintetico comunicato – seguito da un’articolata lettera al Parlamento letta in aula a Montecitorio da Gianfranco Fini – che è stato “indotto a tale decisione dalla estrema eterogeneità della legge e in particolare dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni”. Giudizio però accompagnato dal riconoscimento degli “apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento”. Un’annotazione sottolineata dagli esponenti dell’esecutivo. Anche in ragione di ciò il passo compiuto dal capo dello Stato era stato commentato in modo soft da governo e maggioranza: il governo aveva espresso a caldo, per bocca del ministro del Welfare Maurizio Sacconi, la disponibilità ad accogliere i rilievi del Quirinale. Linea successivamente ribadita al Quirinale, in un colloquio con Napolitano, dal premier Silvio Berlusconi.

La decisione di Napolitano in merito alla legge sul lavoro ha fatto crescere la suspense intorno alla scelta del Colle su un provvedimento più controverso quale quello sul legittimo impedimento. Il via libera del Colle è una decisione destinata a lasciare il segno sul prosieguo della legislatura.

La soddisfazione del centrodestra per la promulgazione di una legge che mette al riparo il premier da offensive giudiziarie è facile da indovinare. Alla comunicazione del Quirinale, Antonio Di Pietro ha risposto annunciando l’immediato ricorso a un referendum abrogativo.
In modo meno scontato, il sì del Colle può però “liberare” in tutto o in parte il Pd di Bersani dall’ipoteca giustizialista in vista della partita delle riforme. Una sfida cui li richiama proprio il capo dello Stato, il quale, in relazione all’incontro svoltosi stamattina al Quirinale col ministro della Semplificazione legislativa Roberto Calderoli, precisa che il colloquio ha consentito all’esponente leghista dell’esecutivo di esporre gli “orientamenti generali in discussione nel governo e nella maggioranza in materia di riforme istituzionali”. Quanto alla bozza di lavoro consegnata da Calderoli e Napolitano, “non poteva esservi e non vi è stato – puntualizza il Quirinale – alcun esame dei suoi specifici contenuti”.

All 20.00 nessun commento dai vertici dei democratici. A rompere il ghiaccio è Igazio Marino, che non lesina le critiche: “Il legittimo impedimento è la protezione per pochi potenti. E’ una legge ingiusta e autoritaria che non serve né alla giustizia né tanto meno ai cittadini che a stento riescono ad arrivare a fine mese”. Per il senatore del Pd “combinando questo provvedimento con il processo breve e la prescrizione dei reati, il potente non solo si sottrae definitivamente alla giustizia ma la manipola a suo vantaggio. Avremo così un Paese dove se sei politicamente influente sei anche al di sopra delle leggi. E ciò è intollerabile. Il legittimo impedimento si presta, inoltre, ad applicazioni di incostituzionalità che dovranno essere portate all’attenzione della Corte dei Conti”.
Ma la linea che prevale sembra essere quella contraria al referendum richiesto da Di Pietro. “Il legittimo impedimento rappresenta una brutta pagina, ma il referendum abrogativo non risolve i problemi che la norma crea”, spiega Donatella Ferranti, deputata del Pd e membro della commissione giustizia. Perché se e la consultazione popolare non raggiungesse il quorum “saremmo punto e daccapo e anzi allungheremmo i problemi”.
“Ora il legittimo impedimento è legge- conclude la deputata democratica – e spetta all’interprete vagliarne anche la costituzionalità con gli strumenti che ha a disposizione”.

Napolitano coglie comunque l’occasione per segnalare che ha “ha ricordato e ribadito i punti di vista da lui ripetutamente espressi circa la necessità e le possibilità di ricerca della più larga condivisione in Parlamento delle scelte da compiere in questo campo di speciale complessità e delicatezza”. Un larga condivisione cui Napolitano esorta entrambi gli schieramenti: in questo senso, il sì alla promulgazione del legittimo impedimento comporta responsabilità e opportunità sia per Bersani sia per il governo e la maggioranza che lo sostiene.
Frida Roy

(Tratto da Aprile online)