Cerca

HANNO PORTATO L’ITALIA ALLO SFACELO………..

 

 

Nessun’altro – oltre agli avvocati  ed a chi ,come noi,si vede chiamato  a frequentare,per ragioni delle sue attività,un giorno sì e l’altro pure ,aule di tribunali,di procure,di commissariati,di caserme -può rendersi conto della profondità del baratro nel quale hanno fatto precipitare questo Paese.

Dalle piccole cose  si possono capire quelle grandi.

Le tragedie umane comprese.

I drammi.

La disperazione diffusa.

Il senso dell’impotenza.

L'”anomia” di Durkheim.

Il dissolvimento dello Stato e della Giustizia.

La resa alle caste ed ai clan.

Ai poteri occulti ed alle mafie.

L’altro giorno siamo capitati in un presidio di polizia ed abbiamo constatato che mancava perfino la carta per stampare la copia di una denuncia. 

“Non ne abbiamo,usiamo fogli riciclati,ci è stato detto. Perché non hai portato una copia ?”.

Infatti ce ne eravamo dimenticati.

Ci siamo visti cadere il mondo addosso ed abbiamo subito avuto appieno il senso dell’impotenza e dello sfacelo nei quali sono costretti ad operare (si fa per dire perché senza gli strumenti base non si può operare o si opera,tutt’al più,male) coloro  che sono chiamati ad assicurare la legalità e la Giustizia nel Paese.

Ma non é solo la carta che manca,perché,fra la benzina  che scarseggia,i trattamenti economici che sono quelli che sono,i rimborsi spesa che ritardano se non addirittura mancano e tutto il resto,oggi a Tribunali,Procure e Presidi di polizia non si consente più di fare con serenità ed appieno  il loro lavoro.

Senza considerare,poi,una legislazione che é quella che é,con leggi carenti  e non raramente fatte male  ed in contraddizione l’una con l’altra.

E,quando in un Paese, si riduce la Giustizia allo stato in cui sta in Italia,inevitabilmente vengono a crollare le basi  della Democrazia e della stessa civiltà.

Di chi la responsabilità di tutto ciò se non dei governanti e di chi li ha sostenuti e li sostiene?????

Perché,diciamoci la verità:le colpe maggiori vanno attribuite ,più che ai primi, a chi  li ha votati e li vota.

In un altro Paese avrebbero accompagnato alla porta questa gente già dai primi disastri che ha combinato.

 

 

 

 

lunedì 05/12/2016

Voleva tutto, ha perso tutto
di Antonio Padellaro

Il No venuto dal popolo italiano, forte e chiaro, che ha sbaragliato il tentativo di Matteo Renzi di rottamare la Costituzione della Repubblica ricorda un’altra vittoria del No, quella contro il referendum democristiano del 1974 sull’abrogazione del divorzio che il vecchio Pietro Nenni commentò con parole divenute famose: hanno voluto contarsi, hanno perso. La stessa illusione che ha perduto domenica 4 dicembre 2016 l’ambizioso politico fiorentino, che tra le sue qualità non ha quella della prudenza visto che come un giocatore d’azzardo al tavolo da poker da tre anni a questa parte non ha fatto altro che raddoppiare la posta: dalle primarie del Pd all’occupazione del Nazareno alla conquista di palazzo Chigi. Poteva accontentarsi di guidare il Paese (anche se con l’imbarazzante soccorso degli Alfano e dei Verdini) fino alla scadenza della legislatura del 2018. Ma una perniciosa bulimia del potere, alimentata dal 40 per cento delle Europee del 2014 gli ha suggerito l’idea di accaparrarsi l’intero piatto.

Attraverso il famoso combinato disposto costituito dal dominio sulla Camera (grazie al superpremio di maggioranza previsto dall’Italicum) e dalla trasformazione del Senato in un dopolavoro di nominati (grazie alla riforma Boschi). Gli è andata male, anzi malissimo. Prima la progressiva crescita nei sondaggi dei Cinquestelle gli ha consigliato di smontare l’Italicum per non ritrovarsi Beppe Grillo seduto al suo posto a palazzo Chigi. Poi, questa notte Renzi è stato sommerso da un plebiscito: non quello che sperava ma di segno diametralmente opposto. Gli italiani sono corsi a votare in massa come nessuno aveva previsto avendo compreso l’enormità della posta in gioco. Così Renzi, che cercava da questo voto la legittimazione mai ricevuta in elezioni politiche, ha ricevuto la più pesante delegittimazione. Ha voluto la conta e ha perso tutto. Ha travolto nella sconfitta, oltre al suo presente e forse al suo futuro politico, anche il governo e con il governo la stabilità tante volte invocata come bene supremo della nazione. Le sue dimissioni – inevitabili – aprono ufficialmente anche la resa dei conti nel Partito Democratico dove coloro, e non sono pochi, che in questi anni si sono sentiti ingiustamente emarginati e maltrattati non vedono l’ora della rivincita. Matteo Renzi paga anche per responsabilità non sue ma che ha colpevolmente subìto. Non dimentichiamo che la riforma della Costituzione e il suo stravolgimento fu chiesta, anzi pretesa, da Giorgio Napolitano in quel blitz che in pochi giorni portò alla inopinata giubilazione di Enrico Letta e al conferimento dell’incarico al sindaco di Firenze. Renzi, per dirla tutta, si è imbarcato nell’avventura che lo ha portato al naufragio referendario su mandato imperativo dell’ex Capo dello Stato. Da cui, non dimentichiamolo, si fece anche pesantemente correggere la lista dei ministri, a cominciare da quel Nicola Gratteri, magistrato tra più autorevoli nella lotta alle mafie, entrato al Quirinale come ministro della Giustizia e poi sostituito in gran fretta da Andrea Orlando. Fu da quel momento che la sua immagine di giovane iconoclasta dei soliti riti della vecchia politica cominciò a snaturarsi. Su molti altri errori dovrà riflettere Renzi nel caso non faccia seguire alle annunciate dimissioni da premier il ritiro dalla vita politica, già ipotizzato e poi smentito (come troppi suoi annunci del resto). Primo: la Costituzione è patrimonio del popolo italiano non certo di un ceto politico inzeppato da opportunisti e voltagabbana. Secondo: riformare la Carta si può se necessario, ma l’aver trasformato 47 articoli determinati per il funzionamento delle istituzioni in un pasticcio incomprensibile è stato da irresponsabili. Un allarme lanciato dai più illustri costituzionalisti, non solo inascoltati ma definiti dal nuovo che avanza (anzi avanzava) come professoroni, gufi e rosiconi. Terzo: l’incredibile sovraesposizione mediatica del premier la cui faccia spuntava a ogni ora da ogni schermo televisivo non solo non ha pagato ma ha finito per provocare una reazione di rigetto che certamente ha contribuito ad accrescere la dimensione della sconfitta. Quarto: con l’arroganza, la presunzione, il disprezzo per chi non la pensa come te, con espedienti vergognosi a partire dall’uso delle malattie come propaganda elettorale non si fa molta strada. E alla fine si va a sbattere.