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Guardiamoci in faccia,é dura cambiare un Paese che ha perso la memoria”

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Guardiamoci in faccia: è dura cambiare un Paese che ha perso la memoria

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Pubblicato: 09 Aprile 2016

senza memoria oddi Francesco Bertelli
L’Italia è un paese sempre più marcio in ogni suo settore. Ma non solo. L’Italia è anche un paese che ha perso uno dei valori fondanti della democrazia: la memoria. La memoria di un passato recente che ritorna in forma diversa, magari nelle sembianze di politicanti dalla faccia pulita, giovani che vorrebbero spaccare il mondo e rinnovare il tutto a colpi di slogan. Per poi fare che cosa? Niente. Non cambia niente in Italia.

Ci dimentichiamo di tutto e più di venti anni dopo vediamo che antimafia e mafia certe volte si confondono. Finisce così che in televisione trovi il figlio di Totò Riina che si fa il suo monologo a Porta a Porta, senza che da parte del conduttore vi sia una minima traccia di intervista seria. Non viene rispettato il dolore dei familiari di quelle vittime che il padre di Riina Jr ha ordinato di uccidere o di quelle in cui fu usato come miglior killer sulla piazza da ambienti segreti che ruotano intorno allo Stato. Si dirà: “E’ un modo per parlare di mafia”. A mio avviso non quello giusto. Poteva venir fuori un’intervista seria (come quando Biagi intervistò Sindona o Liggio). Così è stato solo uno spot per pubblicizzare il libro del figlio del più sanguinario uomo di Cosa Nostra esistente.

Poteva tutto essere gestito meglio. E i vertici Rai che non si assumono la responsabilità sono ancora più ridicoli di un conduttore che non ha osato far domande scomode. Stupisce anche il Presidente del Consiglio non dica una parola a riguardo.

Forse la miglior soluzione era non farla quell’intervista.

Il nostro passato recente ci dice che 23  anni fa, uomini dello Stato, uomini del Ros e uomini di Cosa Nostra, scesero a patti. Non per evitare ulteriori stragi dopo quella di Capaci, come molti esperti vogliono farci credere. No. Quella trattativa (citata in tante sentenze tra cui quella del 2002 del Trib. Di Firenze) ha avuto varie fasi ed iniziò prima di Capaci. Come protagonista c’è il Capo dei Capi, Totò Riina. Si sente tradito dagli uomini della Dc, subito dopo che la Corte di Cassazione nel gennaio 1992 ha confermato gli ergastoli del Maxiprocesso. Ecco che viene stilata una lista di politici (e magistrati) da togliere di mezzo. E saranno quei politici minacciati a intavolare ulteriori dialoghi per tirarsi fuori d quell’incubo di essere uccisi per dirigere le stragi verso altri obiettivi (questo è il fondamento del processo ancora in corso sulla trattativa Stato – Mafia) : ecco che Falcone e poi Borsellino saltano in aria. Scompaiono molte cose dai computer di Falcone (sono uomini a lui vicini che manomettono il tuo Toshiba dove scriveva tutto), e scompare l’agenda rossa di Borsellino. Molti si sono dimenticati di tutto questo.

Spuntano indagini su figure in apparenza simboli dell’antimafia, che poi si rivelano il contrario. E la società civile, non avendo più quella rabbia del 1992 ha perso anche la forza e la voglia di combattere. Così facendo non ci siamo accorti che la mafia è entrata in politica. Non il semplice mafioso con la coppola in testa: l’imprenditore. La mafia dai colletti bianchi. L’imprenditore che si fa protettore degli interessi di cosche sparse per tutta l’Italia (perché ci siamo dimenticati anche il fatto che Cosa Nostra, Ndrangheta e Camorra si sono diffuse ormai ovunque), il lobbista che presenzia commissioni su commissioni e determina magari l’esito di quell’emendamento cruciale per i suoi compari legati magari ad altri lobby e ad altri centri oscuri di potere.

La vicenda Tempa Rossa è solo l’ultimo di scandali. Forse il bello dovrà ancora saltar fuori, ma quello che emerge dalle intercettazioni rese pubbliche è il tipo di linguaggio, mafioso, che i signori politici, ignari di essere intercettati, utilizzano per rimpallarsi le varie accuse: “quartierino”, “pezzo di…”, “gang”. E continuiamo a meravigliarci che un ministro favorisse con la sua posizione gli interessi del suo fidanzato (lobbista). Ci dimentichiamo che quello stesso ministro era stato scelto da un signore che si chiama Silvio Berlusconi, che per venti anni ha governato questo paese (e continua a farlo), leader di un partito il cui fondatore si trova attualmente in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, definito come “l’ambasciatore” , “l’anello di congiunzione tra mafia e politica”. Ci dimentichiamo anche che quello stesso Berlusconi ha pagato Cosa Nostra per decenni in cambio di incolumità e leggi in favore della criminalità. Ma di questo non ricordiamo più nulla.

Ci continuano a dire che il Tempa Rossa è un’opera pubblica. Ma se spremiamo un po’ la nostra testa si capisce subito che non è così: il Tempa Rossa è un’opera privata che riguarda la Total ,società privata, e due soci (Eni e Shell) anch’esse private. Significa che alla fine, quel gasdotto che servirà a trasferire il petrolio estratto dalla Basilicata alla Puglia per poi essere portato via da navi francesi, produrrà dei vantaggi privati; cioè ci guadagneranno le società private sopra citate.   Ci dimentichiamo anche che le dimissioni del ministro Guidi siano avvenute grazie alle intercettazioni telefoniche. Strumento che un giorno si e l’altro pure, i politici discreditano e puntano a normalizzare con la cosiddetta “stretta” sulle intercettazione. Un termine quasi minaccioso.
Durante questi venti anni, vuoi per la tv commerciale, vuoi per la disinformazione generica, abbiamo perso tanto; forse troppo.

Ogni anno fra corruzione, riciclaggio ed evasione fiscale, vengono sottratti allo Stato 200 miliardi di euro. Sai quante manovre potremmo farci. Ma ogni governo che arriva (compreso questo) ci racconta che la coperta è corta e che i soldi non ci sono. Quel che manca non sono i soldi ma la volontà politica. Ci dicono anche che varie leggi finalmente sono state realizzate dopo anni di attesa. Però se andiamo a vedere nel dettagli così non è: un falso in bilancio inutile (non punibile per chi lo falsifica per bisogno proprio; cioè sempre),; una lotta all’evasione annacquata (decine sono le procure che dopo aver individuato gli evasori sono costretti a non procedere nei loro confronti. E via discorrendo.

Nel frattempo però molti anni abbiamo perso e la nostra democrazia risulta più che mai in pericolo a seguito di una riforma costituzionale che sembra uscita paro-paro dal programma “rinascita” della P2 di Gelli. Ci siamo dimenticati che la sovranità appartiene al popolo e che l’unico rimedio che abbiamo ,per far si che il combinato disposto fra riforma costituzionale e legge elettorale non veda la sua realizzazione finale, è il referendum del prossimo autunno. Sarà quella l’ultima spiaggia. Dopo questo, il piano per consentire l’appropriazione totale di un Paese ad una politica che ormai è espressione di una volontà criminale, sarà completo. Ed è quella stessa volontà che 23 anni fa portò ad una trattativa (preceduta da altrettante nei decenni precedenti).

Pasolini diceva: “Io so ma non ho ne prove”. Noi abbiamo tantissime prove di questa volontà criminale del potere politiche: sentenze, leggi architettate nell’ultimo comma per favorire gli interessi di pochi a danno dei molti, una mafia che, non mettendo più le bombe, se ne sta più tranquilla. Ma ci manca la cosa più importante per controbattere e utilizzare queste prove come un’arma: la memoria. E’ questo che occorre per portare una società intera (da pochi a molti , fino ad arrivare a “tutti”) a rialzare la testa.

Con la memoria non si fa fatica a distinguere tra i giusti dai corrotti. Non si confonde l’antimafia con la mafia. Si impara a poter scegliere, a dialogare a confrontarci e a ritrovare quella dignità che giorno per giorno ci viene strappata. Ma occorre impegno e il tempo che ci rimane per salvare questo Paese è sempre meno.
Riprendiamoci la memoria.