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Gratteri: «A 13 politici milanesi i voti delle cosche»

Il primo errore è nella premessa. «Non ha senso parlare di infiltrazioni quando ormai le mafie in Lombardia hanno messo radici dagli anni 70. A chi giova continuare a sottovalutare la presenza delle cosche?». Nicola Gratteri, 53 anni, procuratore aggiunto a Reggio Calabria, è uno dei magistrati più esposti nella lotta alla ‘ndrangheta. Ha curato, insieme ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano, le inchieste Infinito e crimine che hanno portato all’arresto di oltre 300 affiliati alle cosche in tutto il Paese, 168 solo a Milano.

Calabrese di Gerace, non spreca le parole. Ma Gratteri non nasconde le proprie preoccupazioni per «il sonno» della Lombardia su questo tema. Accuse arrivate anche dal capo della Dda milanese Ilda Boccassini. Se, come hanno scritto i magistrati della Dna nella relazione 2010, in Lombardia ci sono «almeno 500 affiliati», c’è anche molto silenzio dal mondo della politica, dei media e della società civile: «L’operazione di luglio ha messo in luce le connessioni delle cosche con 13 esponenti politici lombardi: sindaci, assessori, consiglieri comunali, provinciali e regionali, deputati e semplici candidati. I media ne hanno parlato per qualche giorno – sostiene il procuratore aggiunto -, poi niente più. L’inchiesta ha coinvolto politici che, seppur non indagati, avevano in modo più o meno consapevole beneficiato dei voti della ‘ndrangheta. Se fosse accaduto al Sud se ne sarebbe parlato per mesi».

Il prossimo 11 maggio uno di questi politici, l’ex assessore provinciale Antonio Oliverio, andrà a giudizio proprio per rapporti con le cosche. Per l’ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia Chiriaco invece il primo processo è già iniziato: «Le inchieste ci confermano anche al Nord un numero sempre maggiore di esponenti di partito che ricorrono al voto dei mafiosi». Dalle indagini sono emersi anche rapporti con istituti bancari. «Basta pensare a coppola e lupara, oggi ci sono figli di boss laureati» (come il caso di Antonio Piromalli) o ancora, ripete Gratteri, «professionisti, uomini cerniera che si mettono al servizio dei clan: direttori di banca, commercialisti, broker». E per l’Expo? «Ogni arrestato è già stato sostituito, ne sono convinto: a chi giova dire che la mafia non esiste? Non a chi la combatte».

Nicola Gratteri è stato uno dei primi magistrati a esporsi in prima persona anche fuori dalle aule dei Tribunali. L’ultimo libro indaga i mali del sistema giudiziario («La giustizia è una cosa seria», con Antonio Nicaso) ma parla soprattutto delle infiltrazioni della ‘ndrangheta al Nord: «L’inchiesta del 13 luglio scorso chiarisce in modo inequivocabile il modello di colonizzazione delle cosche anche a Milano e in Lombardia: ci sono locali di ‘ndrangheta uguali, come cloni, a quelli della provincia di Reggio Calabria. E questi cloni sono legati da un cordone ombelicale alla Calabria. Quando si decide la politica criminale della Lombardia ci vuole l’assenso, l’avallo, del “crimine” di San Luca». Ogni capolocale, in sintesi, si deve adeguare alla «politica» criminale della ‘ndrangheta. «Carmelo Novella, boss allora a capo della Lombardia, è stato ucciso per questo: voleva gestire gli affari in autonomia».

E proprio gli affari sono il grande business delle cosche al Nord. «Non vanno sottovalutate le estorsioni, servono a delimitare un territorio, a controllarlo e a rendere evidente a tutti che in una determinata zona comanda una particolare famiglia». Ma la grande torta sono gli appalti e la politica: «Grandi capitali da investire, grandi opere da costruire, è inevitabile che le cosche vengano a Milano», sottolinea Gratteri. In mezzo l’allerta per l’Expo. «Entrare negli appalti è importante perché serve a far lavorare gli uomini affiliati alla cosca, ma anche per esternare il potere: dove un Comune non riesce a far lavorare 50 o 100 operai, lì interviene il capolocale che impone le sue aziende per il trasporto terra, per il ciclo degli inerti». A Milano il 70% del movimento terra parla calabrese: «Gli appalti sono fondamentali perché poi quando sarà ora di votare, siccome la mafia vota e fa votare, i cinquanta operai padri di famiglia che andranno a lavorare in quel cantiere voteranno per il candidato prescelto dal capomafia. Condizionare il voto è facile, non c’entra destra o sinistra. Si vota sempre per il cavallo vincente».

(Tratto da Associazione Saveria Antiochia OMICRON)