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Go, Johnny go!

di Claudio Cordova – Poco più di un anno. Tredici mesi, per l’esattezza. Questo il tempo trascorso dall’insediamento alla carica di procuratore di Reggio Calabria di Giovanni Bombardieri. Un tempo adeguato per tracciare un primo bilancio sull’attività svolta in nome – sembrerebbe – di una parola d’ordine: cautela. Troppa? Cerchiamo di capire. In una delle dichiarazioni immediatamente successive all’arrivo in riva allo Stretto dopo gli ottimi anni a Catanzaro, Bombardieri ha assicurato che avrebbe dato all’ufficio “la sua impronta”. Non facile. Il procuratore è arrivato dopo circa un decennio di attività investigativa e giudiziaria che ha tolto Reggio Calabria dall’oblio, portandola alla ribalta nazionale. Gli anni di Giuseppe Pignatone, infatti, hanno seguito un periodo di confusione e veleni negli uffici giudiziari, che ha contribuito a rafforzare la posizione della ‘ndrangheta sul territorio di Reggio Calabria e della sua provincia. Il corso palermitano in riva allo Stretto ha portato, di fatto, alla cattura di quasi tutti i latitanti più pericolosi della criminalità organizzata: da Giuseppe De Stefano, passando per Giovanni Tegano, fino ai grandi boss della Piana di Gioia Tauro e della Locride, post strage di Duisburg. Non solo. Nonostante resistenze e ostilità, le conquiste giurisprudenziali ottenute con la sentenza “Crimine”, che ha sancito l’unitarietà della ‘ndrangheta, rappresentano già una pietra miliare e uno strumento preziosissimo nel contrasto alle cosche. Il successore di Pignatone, Federico Cafiero De Raho, si è caratterizzato per l’estrema vicinanza alla comunità, che ha contribuito (eccetto il grugnito di qualche pseudo intellettuale) ad aumentare la stima e la fiducia della popolazione nell’Istituzione magistratura. Il corso di Cafiero De Raho, inoltre, è riuscito a mantenere alto il livello della lotta al crimine, con il fiore all’occhiello rappresentato dalle indagini che hanno messo nel mirino la componente occulta della ‘ndrangheta e la cupola massonica della criminalità organizzata. Insomma, l’eredità è pesante. A partire dal 2008, Reggio Calabria si è ritagliata un ruolo importante e, finalmente, si è iniziato a parlare di ‘ndrangheta anche a livello nazionale. Non è un caso che l’Ufficio sia diventato un trampolino di lancio, dato che Pignatone ha spiccato il volo verso la Procura di Roma, probabilmente l’ufficio giudiziario più importante d’Italia, e Cafiero De Raho verso il prestigioso e fondamentale incarico presso la Procura Nazionale Antimafia. Per questo, il compito di Bombardieri non è semplice e serve, adesso, un colpo di reni in più direzioni. In primis, sotto l’aspetto investigativo. Lungi da noi solamente pensare che la magistratura debba rispondere a logiche populiste, ma è alta l’aspettativa di chi crede che la giustizia ora debba essere capace di colpire ancora quei comitati d’affari fatti anche da insospettabili, che hanno retto e reggono le sorti della vita politica, economica e sociale del territorio. Nel primo anno di attività, tutto questo non è accaduto e, proprio conoscendo la capacità di coordinamento e di leadership di Bombardieri, non si può non pungolarne la voglia di “osare”, ovviamente restando ben ancorati – come siamo certi che sarà – ai principi sanciti dalla nostra Costituzione. Non è solo una questione quantitativa, di numero di arresti o di sequestri. Avendo, di fatto, rinunciato allo strumento dei fermi, con un Ufficio Gip che spesso è in affanno nell’autorizzare gli ordini di cattura, è inevitabile che non ci possa essere un ritmo incessante. Ma non è una questione di numeri, sarebbe banale e odioso se fosse solo questo. E’ una questione qualitativa e di visione, soprattutto in un periodo in cui altri uffici – Catanzaro, ovviamente, ma anche Dda del Nord, come quelle di Milano e Bologna – stanno colpendo duramente la ‘ndrangheta in tutte le sue articolazioni. E così si ritorna alla domanda: troppa cautela? Una realtà come Reggio Calabria e la sua provincia, in cui da sempre la ‘ndrangheta gioca molto sull’acquisizione del consenso sociale, non può permettersi di viaggiare a marce basse, sotto ritmo, rispetto alla lotta al crimine. Una società sonnacchiosa come quella reggina e calabrese va pungolata, messa di fronte allo strapotere delle cosche e alla loro ferocia. La comunità va “parlata”. E questo porta al secondo punto, quello relativo alla comunicazione e alla prossimità. Non possono tornare i tempi in cui gli uffici giudiziari (e in particolare la Procura, probabilmente quello più esposto) siano stanze chiuse, con magistrati blindati dietro le proprie scrivanie o nelle aule. Soprattutto in un periodo in cui ignominiose vicende nazionali hanno fatto crollare la credibilità dell’Istituzione magistratura. Per questo, anche sotto il profilo comunicativo, serve un cambio di passo. Nessun dubbio sulla qualità e la credibilità della maggior parte dei magistrati reggini: ma la città ha bisogno di sentire una magistratura presente, ma, soprattutto, vicina. Ha bisogno di essere informata rispetto alle attività su cui è possibile che ciò accada. Perché? Perché tutto ciò alimenterebbe il dibattito. E di ‘ndrangheta e, più in generale, di ribellione al malaffare e all’immoralità se ne deve parlare il più possibile. Perché tutto ciò contribuisce a far comprendere che non ci sono intoccabili, anche se questi hanno l’aspetto dei sepolcri imbiancati. Far comprendere che certi cognomi possono essere fatti ad alta voce, senza paura. Non è un buon servizio – solo per fare un esempio recente, datato 18 giugno – liquidare l’importante arresto di alcuni narcotrafficanti legati alla cosca Bellocco (uno dei casati storici della ‘ndrangheta, quindi) “solo” con poche righe di freddo comunicato stampa. Ora serve l’impronta che tolga anche alla popolazione ogni alibi sulla parte dalla quale schierarsi. Il tempo di rodaggio è finito.

27 Giugno 20109

fonte:ildispaccio.it