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Formia, uno carabiniere e l’altro vicino al Clan dei Casalesi: assolti giornalisti che raccontarono incompatibilità

Formia, uno carabiniere e l’altro vicino al Clan dei Casalesi: assolti giornalisti che raccontarono incompatibilità

17/07/2018

di ADRIANO PAGANO

Articolo 530, comma 1 c.p.p., perché il fatto non costituisce reato”. Con questa formula il giudice del Tribunale di Cassino Lucio Epifanio ha emesso ieri pomeriggio una sentenza di assoluzione nei confronti del sottoscritto (Adriano Pagano), difeso dall’avvocato Francesco Ferraro, e di Francesco Furlan, difeso dagli avvocati Lino Magliuzzi e Gianpiero Parente. A intentare la causa era stato Raffaele Zangrillo, che aveva querelato i due giornalisti per il reato di diffamazione a mezzo stampa. I fatti sono riportati all’interno di un articolo datato 13 novembre 2015 e intitolato “L’universo Zangrillo: dal Sistema Formia al porto di Gaeta, con i fratelli carabinieri”, che oggi, causa sequestro da parte della Procura di Cassino delle pagine del blog dove era stato pubblicato, è possibile leggere solo sul sito dell’associazione antimafia Antonino Caponnetto.

UNA CONDANNA ESEMPLARE – La difesa di Raffaele Zangrillo (e il pubblico ministero), che si era costituito anche parte civile – a differenza del fratello Pietro, anch’egli citato nell’articolo ma senza mai aver agito contro quella pubblicazione -, ha chiesto una condanna che potrebbe definirsi “esemplare“: due anni di reclusione e seimila euro di ammenda. Ma perché una richiesta di condanna così dura? Per avere raccontato che Vincenzo e Raffaele Zangrillo sono fratelli, ma mentre uno rappresentava lo Stato, l’altro era ritenuto contiguo a un sistema criminale e tradizionalmente alternativo allo Stato. Insomma, per aver raccontato che il Maresciallo dei Carabinieri Raffaele Zangrillo, al momento della pubblicazione, svolgeva compiti di polizia giudiziaria in servizio presso la Tenenza di Gaeta, dipendente dalla Compagnia di Formia, e allo stesso tempo, il fratello Vincenzo, nello stesso piccolo territorio, dal 1985 in poi aveva accumulato un patrimonio di 22 milioni di euro (confiscato il 2 marzo scorso), partendo da umile meccanico: per la Dia di Roma grazie alla propria vicinanza con il Clan dei Casalesi.

INFORMARE NON E’ DIFFAMARE – Il titolo dell’articolo e i commenti arrivati in seguito alla pubblicazione non sono, giustamente, piaciuti a Zangrillo. Ed è dispiaciuto anche a chi scrive aver dovuto leggere e ascoltare parole molto offensive nei suoi confronti da parte di persone arrestate dallo stesso Maresciallo e che, semmai,andavano inchiodate (loro sì) alle proprie responsabilità e velleità diffamatorie. Non possono certo i giornalisti rispondere anche di questo. Per quanto riguarda il titolo, va ribadito che trattasi solo di sintesi come in effetti ancora meglio si comprende una volta all’interno del testo integrale dove è riportato “certo è che i parenti non si scelgono, e quindi nulla hanno a che vedere, secondo le risultanze dell’indagine, Pietro e Raffaele con le vicende di camorra che hanno riguardato e stanno riguardando l’imprenditore Vincenzo” (estratto integrale dal testo originale dell’articolo). Certi dell’integrità professionale e umana di Raffaele Zangrillo, mai è stato detto o solo inteso dire il contrario, ma allo stesso modo, come ha sentenziato il Tribunale di Cassino, è da ritenersi corretto raccontare circostanze che interessano la società civile e l’opinione pubblica.

UN MESTIERE PERICOLOSO – E’ spiacevole – devo confessare – e scomodo scrivere questa notizia/commento, doverlo fare in prima persona, a un passo dall’autocelebrazione e dall’ostinazione maniacale che nulla toglie e aggiunge a quanto già detto, e come i fatti, per come si sono sviluppati, confermano. Purtroppo questo spiacevole esercizio diventa un obbligo morale e anche un’analisi drammatica del mondo dell’informazione locale. In questo silenzio assordante, inquietante, nessuno scriverà nulla su questa vicenda, come nessun’altro scrisse nulla allora e in altri innumerevoli momenti. Ed ecco il motivo perché gli unici “pazzi” imputati siamo stati io e il collega Furlan, senza alcuna assistenza legale o anche solo umana (salvo quella determinante, quasi spirituale, degli avvocati Lino Magliuzzi, Francesco Ferraro e Gianpiero Parente).

Per molti colleghi non sembra valesse la pena raccontare di Zangrillo e di quelle incompatibilità ambientali così foriere di rischi e preoccupazioni, delle contiguità politiche, delle parentele scomode e delle attività criminali: meglio forse dedicarsi all’analisi politica da fini-dicitori, all’editoriale fascio-comunista in difesa dei diritti dei lavoratori altrui mentre si affamano strafottente i propri, meglio ancora la gestione di un magazine patinato per signore dove si consiglia l’arricciacapelli più adatto alla propria folta chioma o lo scalda mutande parificandone gli effetti divulgativi di una inchiesta o di un reportage, meglio far finta di fallire col sostegno economico e politico delle lobby del territorio contro le quali è vietato scrivere per poi rinascere più servizievoli di prima, meglio la ricostruzione dinamica del tamponamento di periferia, meglio restare appiattiti nei confini sicuri dei gazzettini e mattinali ufficiali e delle paghe da fame che fanno tremare le gambe su pavimenti costantemente tremolanti, meglio servizi su commissione, a pagamento, meglio un contratto precario e una ritenuta d’acconto che la valorizzazione commerciale di una libera informazione. Meglio non vendere, non fare opinione, non adempiere al proprio ruolo. Non vale la pena rendere noto l’esito di questo processo e di questa vicenda, tanto quanto non era pensabile scrivere di certe notizie. Dove sono tutti gli attenti analisti, guerrieri dell’antimafia e della denuncia pubblica? Dove gli intellettuali del tè alle cinque?

Noi abbiamo più volte pagato con il posto da giornalista, perché scrivere di certe cose dicono che non si può, hanno tentato di farci fuori in ogni modo e in qualche modo ci sono riusciti. Avrà ragione chi disse che svolgere il mestiere in questo modo è pur vero pericoloso (cit.), ma farlo come leggiamo e vediamo è decisamente poco dignitoso.

 

Fonte:http://www.h25.tv/